philosophy and social criticism

I nostri fantasmi

di Francesco Paolella

Massimo Scotti, Storia degli spettri. Fantasmi, medium e case infestate fra scienza e letteratura, Feltrinelli, Milano 2014.

Non per fare per forza il verso a Marx ed Engels, ma erano davvero parecchi gli spettri che vagavano per l’Europa all’epoca del loro Manifesto; e tanti altri avrebbero vagato, apparendo e scomparendo a comando, anche in seguito per molto tempo ancora.

Ai fantasmi, come si dice, nessuno crede, ma tutti ne hanno paura. O comunque tutti subiscono il fascino di scoprire che esistono spiriti, forze invisibili, eppure presenti. Come i bambini, che rompono le bambole e i giocattoli per capire se quegli oggetti hanno un’anima, se sono vivi, allo stesso modo gli uomini anche oggi, continuano a essere immancabilmente attratti da ciò che è occulto. Continuano a vedere ciò che non si può vedere, a dare significati paranormali a luci e rumori, a voci e altri mille segni. Continuano ad aver bisogno di presenze che, però, non si presentano mai del tutto, chiaramente. In altre parole, hanno bisogno di sapere che il passato (i morti, il tempo andato, ciò che si è perduto) può essere più presente del presente stesso.

Lo spiritismo come oggi lo conosciamo, confinandolo ai margini della “cultura” e della “scienza”, anzi negandogli (e con ovvie ragioni) ormai ogni credibilità, lasciandolo in pasto ai riviste e programmi televisivi di intrattenimento, bene lo spiritismo è un prodotto della cultura americana dell’Ottocento, e che si è poi instaurato in Europa, colonizzandone il mondo letterario, ma anche quello scientifico.

Riuscire a dimostrare l’esistenza degli spettri era, nell’Ottocento del positivismo, una questione tanto seria quanto popolare. Una questione degna di indagini almeno all’apparenza rigorose. Tanti scienziati e intellettuali rispettati, celebri e “insospettabili” sono caduti nella rete di questa fascinazione collettiva. Per rimanere al caso italiano, basta ricordare quanto ha fatto e scritto Cesare Lombroso. Oggi le sue idee sono ormai svalutate, ma a cavallo fra i secoli XIX e XX possedevano, come si sa, un altro grado di attendibilità scientifica, oltre a essere oggetto di una fama davvero internazionale. Lombroso diede credito a una sensitività fra le più celebri allora nel vecchio continente, Eusapia Palladino:

«Un po’ caparbiamente, bisogna ammetterlo, Lombroso credette in quella donna dalla dubbia reputazione, puntando molto sulla propria autorità scientifica. Non fu d’altra parte il solo, se, com’è noto, la studiarono in molti, nel corso di esperimenti che si svolsero a livello mondiale: Eusapia viaggiò per mezza Europa e poi in America, chiamata dagli esperti nelle capitali della cultura e soprattutto dello spiritismo» (p. 259).

Tutti i ragionamenti sugli eccezionali poteri dei medium, sui fenomeni sbalorditivi che avvenivano durante le sedute spiritiche, sulle innumerevoli case infestate in ogni dove, oggi fanno sorridere. La cecità, anche da parte di persone altrimenti rigorosamente “scientifiche” (per non dire scettiche), può sembrare un fenomeno esso stesso inspiegabile. Grazie alle abilità suggestive su cui i medium costruivano la propria reputazione, e anche a causa di quel bisogno di vedere sotto la superficie delle cose di cui dicevamo, ci si fidava con la massima ingenuità di apparizioni incredibili e si cadeva vittime di trucchi e manipolazioni banali. Senza dubbio, la nascita della fotografia diede un grande contributo alla diffusione dello spiritismo. La fotografia, si pensava, poteva mostrare l’invisibile:

«L’idea era venuta dalle pratiche di riproduzione di immagini mediante la luce, ma ancor di più dagli errori nel procedimento di sviluppo e stampa, che offriva un aiuto insperato alle suggestioni fantasmatiche, anzi le suscitava, le ingigantiva, ne cancellava confini e limiti. […] Certo erano in molti a capire che si trattava di semplici prodotti del caso o dell’errore, ma alcuni, specialmente dopo che lo spiritualism aveva passato l’Atlantico, iniziarono a parlare di interventi soprannaturali. Le fotografie potevano rivelare qualcosa che di solito è negato ai nostri occhi, oppure – più temeraria spiegazione – erano gli esseri invisibili a modificare le lastre» (p. 196).

E vale la pena di rimandare, su questo tema, l’importante volume di Clément Cheroux, L’errore fotografico, uscito in Italia per Einaudi nel 2009.

Ma non dobbiamo pensare che il problema degli spettri fosse soltanto un divertimento, roba da racconti del terrore, un diversivo per un pubblico in cerca di impressioni forti e di spaventi a buon mercato. Si trattava (e, forse, si tratta ancora) di una questione estremamente concreta. Questo libro di Massimo Scotti può essere in questo senso una lettura utilissima anche per chi si interessa oggi di politica, e di “imprenditorialità politica” in particolare. Cosa è più necessario oggi di far credere all’incredibile? Come riuscire a combinare illusionismo, verità e propaganda e, allo stesso tempo, tenere a bada la disillusione del pubblico (del popolo) sempre in agguato?

D’altra parte, se una cosa davvero lega tutti i “messaggi” provenienti dall’aldilà, prodotti dai medium con i mezzi più diversi, questa è la loro assoluta povertà di contenuti, la banalità delle idee, la (ovvia) assenza di rivelazioni forti.

Gli spettri potevano essere un problema concreto, un problema da portare in tribunale. Un problema grave ad esempio per gli inquilini di case ritenute infestate, inquilini che per questo volevano ovviamente disdire, e per una “giusta causa”, il loro contratto d’affitto. Una questione legale che ha prodotto, e ancora in tempi abbastanza recenti, dotte dissertazioni di diritto civile. Scotti si sofferma in particolare la figura di un avvocato napoletano di inizio Novecento, Francesco Zingaropoli, che si specializzò a inizio Novecento su questo tema, ricavandone anche un discreto successo.

E, per restare a Napoli e passando alla letteratura, ecco alla magnifica, dolente commedia di Eduardo De Filippo, eccoci a Questi fantasmi (1946). Le storie di fantasmi sono di per sé massimamente teatrali, si giovano, per funzionare, del buio dei teatri e di persone con spiccate capacità recitative. La storia di Questi fantasmi è troppo nota per doverla raccontare. E’ significativo quanto disse De Filippo presentando l’edizione televisiva del testo, nel 1962:

«Io dico che i fantasmi siamo noi; lo siamo quando non vogliamo credere che una realtà ci annienta, anzi ci schiaccia».

I fantasmi sono i nostri dolori, e la nostra impossibile consolazione. E non è stato certo un caso se proprio in occasione della prima guerra mondiale ci fu ovunque in Europa un ritorno di fiamma dello spiritismo, prima già avviato verso il declino. Non è stato un caso se, accanto a miracoli e apparizioni sacre (Fatima è del 1917), i fantasmi di tanti soldati uccisi o dispersi vennero a visitare genitori, mogli, figli distrutti dalla loro morte.

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tysm literary review, Vol 7, No. 12,  March 2014

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ISSN:2037-0857