philosophy and social criticism

Braibanti, il rivoluzionario

di Alberto Grifi

Nel ’67 ho lavo­rato col gruppo di spe­ri­men­ta­zione tea­trale che Aldo Brai­banti avera radu­nato intorno a sé. Fil­mavo le prove degli attori (Carlo Cec­chi, Isa­bel Ruth, Mas­simo Sar­chielli, Lou Castel…). L’humus cul­tu­rale che Brai­banti aveva messo in moto era straor­di­na­rio. Sape­vamo che la sua bella ami­ci­zia con un gio­vane di 25 anni dove si mesco­la­vano affetto, pit­tura, poe­sia e scienza, era stata inter­rotta vio­len­te­mente: il padre del ragazzo accom­pa­gnato da alcuni ener­gu­meni irruppe nella pen­sione dove i due vive­vano, fece immo­bi­liz­zare Aldo e tra­scinò via il figlio per chiu­derlo in un ospe­dale psi­chia­trico a Verona, dove gli fecero 40 elet­tro­shock e 8 shock insu­li­nici in due anni «per­ché dimen­ti­casse tutto».

Quando Brai­banti fu arre­stato, accu­sato di aver sog­gio­gato la per­so­na­lità del suo amico, insomma per il reato di pla­gio, si sca­tenò sulla sua testa una cam­pa­gna stampa tanto ben orga­niz­zata quanto ver­go­gnosa. Con Gior­dano Fal­zoni e Patri­zia Vici­nelli pre­pa­rammo dei volan­tini ciclo­sti­lati inti­to­lati: «Per Aldo Brai­banti con­tro la cac­cia alle stre­ghe», per una rac­colta di firme che por­tavo anche ai gior­nali, per­ché si facesse un po’ di chia­rezza su quel rogo da inqui­si­zione intorno al quale bal­la­vano mira­co­lati da Padre Pio, ses­suo­fobi bigotti e fana­tici dell’elettroshock.

Una mat­tina arriva a casa mia una squa­dra di que­stu­rini. Mi por­tano davanti a un ragazzo che avevo appena intra­vi­sto giorni prima sul set di un film che stavo girando, tro­vato in pos­sesso di 0,6 grammi di hashish, che bal­bet­tava che gli sem­brava che io gli avessi detto che c’era un ame­ri­cano che ven­deva fumo. Non avevo dro­ghe né la poli­zia si curò di cer­carle. Durante gli inter­ro­ga­tori ci fu una tele­fo­nata con non so chi. Mi amma­net­ta­rono, pas­sa­rono dal lei al tu e mi por­ta­rono a Regina Coeli. Ci sono rima­sto 2 anni: spac­cio di stupefacenti.

Al pro­cesso in Corte d’Assise con­tro Brai­banti, pre­sie­duto da Orlando Falco, lo stesso al quale fu affi­dato poco dopo Val­preda, la Corte si faceva crasse risate alle spalle dell’imputato facen­dosi descri­vere i col­la­ges di Brai­banti da un elet­tri­ci­sta di Fio­ren­zuola d’Arda, che asse­riva di essere stato pla­giato anche lui. Un giu­dice chie­deva a Brai­banti: «Lei stu­dia le for­mi­che; quante uova può fare una ripro­dut­trice?». E Brai­banti rispon­deva cor­te­se­mente: «Una fon­da­trice può deporre un numero enorme di uova». Il giu­dice gon­go­lava, l’imputato era caduto nel tra­boc­chetto: «Lo vede allora che nel suo inte­resse per le for­mi­che c’entrava anche il sesso?».

Mi sono spesso chie­sto se il pro­cesso con­tro il «mostro» Brai­banti fu una prova gene­rale del pro­cesso con­tro il «mostro» Val­preda. È vero che tutti e due sono stati covati nelle viscere più putride dello Stato e dei suoi fun­zio­nari, ma per cogliere una pos­si­bile con­ti­nuità tra i due pro­cessi, per sta­bi­lire se la regia è la stessa, biso­gne­rebbe col­mare un vuoto di infor­ma­zioni sul caso Brai­banti. Le sce­neg­giate in costume medioe­vale che si pro­du­ce­vano in tri­bu­nale, l’ignoranza spu­do­rata della mate­ria su cui si sen­ten­ziava, erano così scan­da­lo­sa­mente evi­denti che a nes­suno veniva in mente che die­tro le «quinte» ci potes­sero essere altre inten­zioni oltre quella che ten­deva a resti­tuire, con­tro le con­qui­ste demo­cra­ti­che, la peg­giore delle dit­ta­ture, capace di man­te­nere il potere minac­ciando galera e elet­tro­shock per chiun­que si rifiu­tasse di pie­gare la testa. A nes­suno veniva in mente che forse il pro­cesso era un’operazione di camou­flage (…),

Un anno dopo, al pro­cesso Val­preda, tutto era chiaro dal primo giorno. Orga­niz­zato da man­danti che ave­vano indi­vi­duato i bom­ba­roli da arre­stare ancor prima che la bomba esplo­desse, aveva il fine di far sal­tare l’accordo sui con­tratti di lavoro e instil­lare l’idea che in ogni comu­ni­sta c’era un terrorista (…).

Al con­tra­rio, per il pla­gio, che finezza stra­te­gica! Riba­dire pale­se­mente il mono­po­lio della pro­du­zione di con­senso e nascon­dere i mec­ca­ni­smi dell’economia che il con­senso produce.

Il noti­zia­rio I diritti dell’uomo, diretto da Luigi De Mar­chi, del luglio ’68 sug­ge­ri­sce, per com­pren­dere qual­cosa in più sul caso Brai­banti, di con­si­de­rare che il fra­tello di Aldo, medico di Fio­ren­zuola d’Arda, era rap­pre­sen­tante di uno dei gruppi che ammi­ni­stra­vano le Terme di Bace­da­sco, con dieci sor­genti di acque mine­rali e una por­tata trenta volte mag­giore di quella di Chian­ciano. E che i Qua­derni Pia­cen­tini, fon­dati dai fra­telli Bel­loc­chio, cui si unì subito Aldo, ave­vano sol­le­vato una cam­pa­gna stampa con­tro la spe­cu­la­zione edi­li­zia che dan­neg­giò un per­so­nag­gio legato al Gruppo Agnelli. Sem­bra che que­sti abbia par­te­ci­pato a due riu­nioni di pre­lati di un’opera pia molto potente, legata al gruppo Lefe­vre, che con­fina con leTerme, al fine di pro­gram­mare la «sca­lata» per met­tere le mani sulla società di Bacedasco.

Ecco dun­que ciò che acco­muna i due pro­cessi, ciò che si nasconde die­tro l’etica del potere, ciò che ha la pre­tesa di dare signi­fi­cato a tutto l’esistente: l’economia. Si sa che i soldi «ser­vono per vivere», ma si dimen­tica che il denaro appiat­ti­sce il mondo e lo riduce a merce.

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tysm literary review, Vol 7, No. 12,  March 2014

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