philosophy and social criticism

L’idolo denaro tra bisogno e desiderio

"denaro come idolo"

di Marco Dotti

Il denaro, scriveva Georg Simmel, concede la chance di scegliere. Opportunità fatale, perché questa possibilità di scelta si paga e si sconta ben oltre il valore del denaro.

Non avendo il denaro alcun rapporto con uno scopo, ne ottiene uno con la totalità degli scopi. Il denaro, osserva così Simmel, non ha identità con l’oggetto e, di conseguenza, non ha forma. Il denaro appare come «lo strumento la cui possibilità nelle applicazioni non previste ha raggiunto il massimo grado». È forse utile rimarcare come Simmel insista sulla distinzione tra «strumento» e«mezzo».

Un mezzo si esaurisce in uno scopo. Raggiunto lo scopo, il mezzo, quanto meno nella sua forma semplice e elementare, perde ogni interesse come mezzo e, sempre come mezzo, scompare. Lo strumento no, ha una sua persistenza e continua a esistere ben oltre la propria specifica attuazione.

imagesNel denaro possiamo vedere un mezzo concreto coincidente col concetto astratto di “mezzo”, per questo Simmel non esitò a qualificarlo come «mezzo perfetto» e «assoluto». Su questa scia, il medico e psicoanalista romeno Serge Viderman ha parlato del denaro come di un joker universale, un convertitore assoluto che, nell’epoca della sua digitalizzazione, porta al completo trionfo quella plastic money che, con Viderman, possiamo intendere non solo in riferimento alla struttura fisica della credit card, ma anche come plasticità infinita e indefinita, coincidente oramai con un potere di conversione pressoché illimitato o limitato solamente dalla fisica elementare di un conto in banca. Quanti soldi possono entrare in un deposito e quanti, fisicamente, ne possono uscire. Tolto anche questo limite, il potere di conversione sarà infinito.

Una critica che voglia andare davvero a segno su questi punti non può concentrarsi sull’uso distorto, ma deve toccare la logica stessa del denaro. Non siamo di fronte soltanto a una degenerazione nell’uso e nella distribuzione del denaro, particolarmente forte nel mondo “multipolare”.

Il denaro ci inganna sul rapporto tra bisogno e desiderio. In gioco, nella logica del denaro, non è un oggetto che possiamo distruggere (un bancomat, la filiale di una banca e via discorrendo), ma un fantasma.

O meglio, possiamo anche colpirne l’estrinsecazione materiale, ma non servirà a nulla, perché proprio come un fantasma si riprodurrà sempre, comunque, da ogni lato. In questo, il denaro ha la struttura dell’idolo. Nel mondo, scriveva d’altronde Nietzsche, ci sono più idoli che realtà, intendendo con questo che un idolo può cadere o vacillare – magari anche dinanzi a critiche ingenue – ma la sua struttura è tale che – come già insegnavano, a modo loro, i Padri della Chiesa e, ça va sans dire, Marx – saprà sempre rimettersi in piedi. Conviene qui ricorrere a un esempio, portato da Silvano Petrosino nel suo lavoro Soggettività e denaro. Logica di un inganno (Jaca book, Milano 2012) un collezionista di farfalle.

Money_origami_butterflyChe cosa fa, che cosa “desidera”, che cosa dice di “desiderare” il collezionista? Dice di desiderare quella farfalla, proprio quell’unica farfalla che gli permetterà di chiudere la sua collezione. Ciò che manca al collezionista è certamente la tessera del suo mosaico, ma non in quanto oggetto, bensì come qualcosa che lo porti oltre, che lo conduca a un compimento assoluto. L’investimento sull’oggetto non dunque è solo materiale, ma affettivo. Ecco allora che, «investita di una simile fantasticheria, quella tessera si trasforma in fantasma».

In questa riflessione, non si può non chiamrea in causa due autori, il Jacques Lacan dei Quatre Concepts fondamentaux de la psychanalyse e, soprattutto, colui che di Lacan fu maestro, Alexandre Kojève che nell’Esquisse d’une phénoménologie du droit ha particolarmente insistito sul desiderio e sul suo rapporto con l’assenza, la mancanza e il bisogno. Lacan e Kojève battono il tasto sulla mancanza come cifra del desiderio umano.

«L’uomo in quanto tale non è (…) che la presenza di un’assenza», scrive Kojève, ossia un desiderare senza fine un desiderio che non si annienta, nemmeno nella sua attuazione. Il denaro, che spesso ama celarsi dietro maschere miti, dietro l’immagine del relativo, è l’operatore della grande confusione attorno ai codici del desiderio. Un desiderio che tende a far coincidere falsamente – come nell’illusione del collezionista di farfalle – con un puro bisogno. Chiamare fine un mezzo significa allora non prestare attenzione al desiderio. Non prestare attenzione al disastro antropologico che il denaro può produrre.

È proprio la semplicità e la “modestia” con cui il denaro invade, ha invaso, invaderà, è proprio la falsa amicizia con cui il denaro si è presentato, si presenta e si presenterà nella vita di tutti i giorni che lo ha fatto vivere come un fine ultimo che ha occupato non solo l’orizzonte, ma l’intera coscienza pratica del soggetto.

Diventando un valore autonomo, il denaro è diventato al tempo stesso il più reale dei nostri fantasmi. Se è vero che senza denaro non si vive, «se è vero che – come scriveva ancora Kojève – anche l’uomo “è ciò che mangia”, egli resta però desiderio in quanto tale», non riconducibile alla semplice presenza di un oggetto. Mettersi all’ascolto di questo desiderio, oggi, appare quanto mai politicamente necessario.

tysm literary review, vol. 11, no. 16, juLY 2014

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