philosophy and social criticism

Bisogna mangiare Pasolini?

Francesco Paolella

Nota su: Marco Belpoliti, Pasolini in salsa piccante, Guanda, Milano 2010.

La grande bouffe (1973) di Marco Ferreri

Leggendo questo libro, a firma di Marco Belpoliti (l’autore, sempre per Guanda, de Il corpo del capo), si ha a tutta prima l’impressione che su Pasolini si debba ancora dire la verità. Nonostante la bibliografia sterminata e puntigliosa, nonostante le frequentissime citazioni (a proposito e non) soprattutto nel dibattito politico, nonostante gli appelli ancora recenti per una riapertura delle indagini sul “delitto Pasolini” (quali i veri autori?, c’è stato un complotto?).

Ma di quale Pasolini parla Belpoliti? O meglio: su quali Pasolini Belpoliti si applica? C’è soprattutto il Pasolini corsaro e luterano, il regista di Salò e l’autore mancato di Petrolio – il Pasolini oggi più frequentato. C’è ancora il Pasolini degli anni friulani, che “scopre” e mostra non tanto la sua omosessualità, ma la condanna a quelle persecuzioni e a quelle incomprensioni che lo avrebbero sempre colpito (a partire proprio dal processo per i fatti di Ramuscello del 1949 e l’espulsione dal PCI). C’è, infine, e prepotentemente, il Pasolini assassinato, che ancora oggi, non sarebbe stato davvero sepolto: quella morte violenta ne avrebbe fatto un santo e un martire, ma allo stesso tempo il suo omicidio sarebbe ancora oggi scandalosa, perché da 35 anni non sarebbe stato affrontato il vero inciampo, l’omosessualità del poeta. Quanto ha pesato per Belpoliti l’omosessualità nella vita di Pasolini, nella sua opera, nella sua irrisolta contraddittorietà? Molto, senza dubbio: l’amore per i ragazzi (eterosessuali) rappresenta in queste pagine l’elemento da cui non si potrebbe prescindere per poter fare finalmente i conti con Pasolini, il quale non avrebbe fatto altro, esagerando in ciò senza dubbio, che convivere male con questa sua “natura”. Questa è la vera rimozione per Belpoliti: così ad esempio leggiamo dalle sua pagine dedicate a Scritti corsari: «Nella vulgata che è stata fatta del Pasolini corsaro, critico rispetto alla società dei consumi, rispetto alla distruzione delle lingue locali, rispetto alla mutazione antropologica, rispetto alla distruzione del paesaggio e della cultura tradizionale dell’Italia, si è quasi sempre sorvolato sul tema dell’omosessualità e sull’elemento estetico» (p. 45). Tutto il pessimismo di Pasolini avrebbe avuto come fonte, come punto di origine, il fatto che i ragazzi stavano diventando sempre più brutti,sempre più nevrotici, sempre meno innocenti e che, soprattutto, erano sempre meno disponibili alla pratica omosessuale – perché il sesso “omologato” fra ragazzi e ragazze era sempre più “libero” e facile da ottenere. E’ questa una notazione che ci pare ricordare in particolare quanto ha scritto Dario Bellezza parecchi anni fa, in Morte di Pasolini. Nel passo citato c’è un preciso riferimento all’estetica. Alla base dell’etica di Pasolini e di tutto il suo lavoro critico e politico ci sarebbe appunto sempre un fatto visivo: dalla constatazione della tragedia della nuova bruttezza dei giovani italiani (i loro capelli lunghi, i loro sguardi, ma anche i loro sguardi, i loro desideri coatti) sarebbero venute in Pasolini le riflessioni paradossali sui comportamenti (sessuali, consumistici) dominanti, sui nuovi diritti concessi (l’aborto, il divorzio), sulla “mutazione antropologica” insomma. E da cui sarebbe derivata l’altrettanto scandalosa “nostalgia” di Pasolini per la vecchia Italia fascista e per l’Italia povera del dopoguerra, ancora incorrotta, dove ancora il suo amore per i ragazzi (sempre eros e agape a un tempo) poteva esprimersi. L’ultimo Pasolini sarebbe stato guidato proprio da questa delusione, autobiografica per così dire, visiva, ed erotica. Chi rappresentavano le lucciole, la cui scomparsa Pasolini ha raccontato poeticamente in quel celebre articolo? Ancora e sempre qui qui ragazzi perduti, secondo Belpoliti, il quale, a questo proposito, prende le distanze dal bel volume che Georges Didi-Hubermann ha dedicato di recente proprio a questo tema (Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze). Nelle pagine dello storico dell’arte francese ci sarebbero troppa politica e troppa società, e troppo poco corpo (il corpo di Pasolini anzitutto).

Questa impostazione – la ricerca di una verità di Pasolini da cogliere anche “sotto la superficie” – conduce ad affrontare molte questioni, riassumibili in quella della “identità sessuale”. La scelta di Belpoliti, pur suggestiva e motivata senza dubbio, rischia di ripetere il vecchio meccanismo per il quale un uomo è essenzialmente il suo sesso, con tutti i pregiudizi (odiosa eredità cattolica) che ne discenderebbero inevitabilmente. Rischia in altri termini di inchiodare Pasolini al suo essere stato un omosessuale. Se è senza dubbio vero che gli amori di Pasolini lo hanno segnato, rendendolo un “mostro” e uno scandalo vivente, compromettendo così il suo ruolo di intellettuale ed esponendolo incessantemente a un fuoco incrociato da destra (soprattutto) e da sinistra, non è il caso di “risolverlo”, catalogando lui e il suo scandalo in una definizione di questo tipo (uno scrittore omosessuale). Ricordavamo poco fa il libro di Dario Bellezza – che però ci pare Belpoliti non citi. Eccone un passo sulla “malattia” di Pasolini: «Non parlerò di peccato: potrebbero accusarmi di vedere nell’omosessualità di Pasolini solo il lato demoniaco, malefico, e sulfureo: parliamo allora di situazione karmica, di destino: sottolineiamo, senza moralismi certo, ma in nome della verità che se la malattia c’è, nessuno può guarirla, e la fame dei corpi senz’anima nessun guaritore poteva guarirla a Pasolini. Una fame insaziabile. Lì era la sua maledizione, la sua dannazione, e il suo peccato della carne» (Dario Bellezza, Morte di Pasolini, p. 53).

Il discorso sull’omosessualità è poi anche funzionale a Belpoliti per discutere del delitto Pasolini e di tutte le speculazioni (ad litteram) che vi si sono formate attorno. Omicidio politico? Pasolini punito per ciò che avrebbe scoperto (su Mattei, Cefis e così via)? Belpoliti rimanda in particolare a quanto ha scritto in più occasioni Nico Naldini, il poeta cugino di Pasolini, immaginando che quella morte sia stata il risultato di un incontro (mancato, ormai impossibile) fra Pasolini e Pino Pelosi. Un delitto essenzialmente sessuale. Belpoliti respinge, per questo come per i tanti altri casi irrisolti della storia repubblicana, ogni teoria complottista: «Il corpo di Pier Paolo Pasolini è ancora ingombrante e simbolicamente insepolto, così come quello di Aldo Moro, le due morti eccellenti, e per molti versi misteriose, intorno a cui si agitano politici, intellettuali, investigatori, critici, scrittori e poeti fin dagli ultimi anni Settanta» (p. 88). La distanza dall’interpretazione di Gianni D’Elia (si veda il suo Il petrolio delle stragi) non potrebbe essere maggiore. Al fondo ci sarebbe sempre il corpo scandaloso del poeta bolognese; non che possa bastarci in ogni caso la verità giudiziaria fin qui prodotta; ma per Belpoliti «il compito degli scrittori, dei registi, dei saggisti, credo, non sia solo quello di apporre una firma su un appello, quanto piuttosto di produrre delle visioni, così come Pasolini ha fatto con Petrolio, che ci illuminino sulla realtà più ancora delle verità di tribunali e poliziotti. Così è il libro di Nico Naldini [Breve vita di Pasolini, ndr]: una visione problematica di un delitto sessuale che scava nel profondo di una passione, e ci dice qualcosa su noi stessi, cosa che nessuna sentenza può fare» (p. 105). Ecco dunque perché sarebbe necessario mangiare in salsa piccante il maestro Pasolini, come il corvo di Uccellacci e uccellini.

Dimenticare Pasolini, per recuperarlo finalmente, liberato. Seppellire (finalmente?) quel corpo così ingombrante. Il corpo di Pasolini (anzi il suo “doppio corpo”) è ancora protagonista nella parte in cui Belpoliti commenta le celebri fotografie che Dino Pedriali ha fatto al poeta nell’ottobre del 1975, a Sabaudia e a Chia è questa senza dubbio la parte più interessante di questo libro. Pasolini vi è ritratto come se le immagini dovessero servire da testamento: nei nudi si ritrova senza dubbio lo stupore del fotografo, ma l’immagine del corpo di Pasolini è ormai il fantasma del suo corpo, o un corpo celeste, o già freddo, privo ormai di ogni vitalità. Nulla vi è ormai più di “erotico” – proprio come il sesso rappresentato in Salò o descritto in Petrolio. Come il “porno di massa” che domina nella rete. «Le fotografie di Pedriali sono immagini scattate post mortem, istantanee di un corpo già morto, che ci viene a visitare. […] Forse è davvero venuto il momento di seppellirlo in modo definitivo, il momento di congedarsi da lui, utilizzando per farlo una bellissima foto scattata quel giorno dal giovane fotografo» (p. 84).

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tysm, n. 1, dicembre 2010


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