philosophy and social criticism

Tutta la città

cartoline

 di Francesco Paolella

Nota su: Paolo Caredda, In un’altra parte della città. L’età d’oro delle cartoline, ISBN edizioni, Milano 2014.

Spedire cartoline è diventata ormai una attività fuori dal tempo. Non servono più intermediazioni di carta per far sapere dove si vive o dove si va in vacanza, sperando, come sempre, di suscitare almeno un pochino di invidia.

Tra le cartoline che sopravvivono in mezzo agli altri classici souvenir nelle tabaccherie, si trovano ogni tanto alcuni esemplari con panorami e scorci francamente orribili, antiestetici, kitsch, che sopravvivono invenduti da chissà quanti decenni. Vedute insignificanti, sorpassate, di viali tristi e vuoti, senza la “vita” che oggi ci aspettiamo in qualsiasi immagine. Sono tracce ormai incomprensibili di un mondo scomparso, quando il boom anche edilizio del dopoguerra trasformò le città, ne creò di nuove. Immagini di solito periferiche, dove non emerge mai nulla, dove nulla distingue un viale, un palazzo, una piazza da qualsiasi altro viale, palazzo o qualsiasi altra piazza.

Paolo Caredda ha raccolto decine di questi panorami grezzi, con condomini semmai appena terminati e strade non ancora asfaltate. Case (le “case Fanfani” si diceva un tempo) che venivano costruite in fretta, prefabbricate e che si sapeva già dalle fondamenta che avrebbero condannato a un po’ di tristezza masse di uomini, di famiglie (che potevano però andare a vivere in un appartamento).

Dicevamo, cartoline anonime, frutto di una vera e propria “arte popolare”, che nel secondo dopoguerra (e fino alla fine degli anni Settanta) potevano dare sfogo all’orgoglio (banale) di gente comune. Per pochi soldi poteva così essere soddisfatto l’esibizionismo di neo-inquilini e neo-proprietari. Posti anonimi, senza qualità particolari, ma che rappresentavano ovviamente il mondo e l’orizzonte di chi voleva spedirne un’immagine per posta. Una specie di esibizionismo (pudico!).

Ogni tabaccheria, ogni cartoleria aveva le “proprie” cartoline, con le immagini del quartiere o del borgo, ripresi in diversi momenti e da diversi angoli da fotografi interessati soltanto a far presto e a non sprecare pellicola. Erano le tipografie stesse a proporre ai negozianti questo tipo di prodotto: un prodotto che evidentemente sapeva intercettare il bisogno di “auto-promozione” di tanta gente, il bisogno di mostrare la propria cosa, la propria via. Spesso infatti capitava che le immagini venissero “integrate” a penna dagli acquirenti con delle frecce, per indicare il posto preciso dove si viveva, il piano esatto del proprio appartamento nel condominio.

Un libro che rappresenta per noi superstiti soprattutto l’apoteosi del cemento, anche in una sua versione “sovietica”, con i panorami presi nelle città rosse dell’Emilia o a Sesto San Giovanni. Punti di vista non spettacolari e per questo assolutamente inservibili.

 

tysm literary review, vol. 12, no. 19, september 2014

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