philosophy and social criticism

Il testimone è solo

di Jean Genet

Dopo il nome, l’età, le prime parole del testimone sono pressappoco le seguenti: «Giuro di dire tutta la verità…» Prima di scriverlo, mi ero ripromesso di dire tutta la verità in questo libro; non nel corso di una cerimonia, ma ogni qualvolta un palestinese mi chiedeva di leggergli l’inizio o un altro passo, mi domandava di pubblicare in questa o quell’altra rivista, feci ogni sforzo per proteggermi. Giuridicamente, il testimone non è né colui che si oppone ai magistrati… Secondo il diritto francese, egli ha giurato di dire la verità, non di dirla ai giudici. Il testimone giuda in udienza, davanti al tribunale e alla difesa.

Il testimone è solo. Parla. I magistrati ascoltano in silenzio. Non risponde solo alla domanda implicitamente posta, del “come”, ma per far intravedere il “perché” di “quel come”, egli getta luce sul “come”, lo rischiara con una luce che, talvolta, potremmo definire artistica.

Poiché i giudici non si trovano mai nei luoghi in cui si compiono i fatti su cui dovranno giudicare, il testimone è necessario, ma sa che il realismo di una descrizione non dirà nulla a nessuno, tanto meno ai magistrati, se egli non vi aggiunge le ombre e le luci che fu il solo a distinguere. I giudici possono dichiaralo prezioso, lo è.

Per quale ragione, nell’aula del tribunale, si compie questo giuramento dall’aspetto medioevale? Forse perché nasconde la solitudine del testimone, questa solitudine che gli dà la leggerezza da dove può dire la verità, poiché nell’aula si trovano, forse, tre o quattro persone capaci di ascoltare un testimone.

Una realtà è certamente fuori di me, esiste da e per se stessa. La rivoluzione palestinese vive, non vivrà che di sé. Una famiglia palestinese, composta essenzialmente da madre e figlio, che furono le prime persone che incontrai a Ibrid, – è allora che l’ho scoperta, la rivoluzione. Forse dentro di me. La coppia madre-figlio si trova anche in Francia, ovunque. Forse avrò riflesso una luce che mi apparteneva, facendo di loro non degli stranieri che mi trovavo a osservare ma una coppia uscita da me, e che la mia attitudine a fantasticare ha sovrapposto a due palestinesi, un figlio e sua madre, alla deriva in uno scontro armato, in Giordania? Tutto quello che ho detto, scritto, se n’è andato, ma perché questa madre e questo figlio sono la sola cosa profonda che mi rimane, della rivoluzione palestinese?

Ho fatto tutto quanto mi è stato possibile per comprendere in che modo questa rivoluzione assomigliasse poco a ogni altra, e in un certo senso l’ho capito. Ma ciò che mi resta sarà questa modesta casetta a Ibrid, dove ho dormito per una notte, e quattordici anni durante i quali ho tentato in tutti i modi possibili di sapere se quella notte c’era stata davvero.

[da Un Captif amoureux, Gallimard, Paris 1986. Traduzione di Ilde Mattioni]