philosophy and social criticism

Intelligenza artificiale vs. Intelligenza naturale

Nel 1988, Hans Moravec azzardò una previsione. Secondo alcuni eccessivamente ottimistica, secondo altri tecnicamente infondata. In Mind Children. The future of robot and Human Intelligence, il futurologo austro-canadese, docente al Robotic Institute della Carnegie Mellon University individuava nel 2030 il punto di «equivalenza umana», ovvero il momento in cui la «mente artificiale» avrà raggiunto i livelli di complessità e potenza della mente umana. Apprestandosi a superarla.

Utopia? Speranza? Timore? A distanza di trent’anni dalla pubblicazione dell’influente lavoro di Moravec, sono pochi a credere che, in ragione dell’accelerazione della potenza di calcolo anche dalle macchine domestiche e dell’enorme mole di dati presenti sulle reti sociali processabili in tempo reale da queste macchine, il punto di convergenza non sia davvero prossimo a venire.

Roger Penrose Emanuele Severino si muovono al contrario su scenari diversi. Né critici, né entusiasti, nel confronto su Intelligenza artificiale vs. Intelligenza naturale che il 12 maggio li ha visti protagonisti a Milano, davanti a più di 800 giovani, la loro riflessione si è concentrata sui fondamenti da cui l’AI muove.

Fra i più eminenti matematici al mondo, sir Roger Penrose, rimarca come «accelerazione tecnologica, evoluzione del machine learning, Big Data e algoritmi non bastano per decretare il trionfo dell’Intelligenza Artificiale su quella naturale o umana». Maestro e poi collega di Stephen Hawking, col quale elaborò i celebri teoremi della singolarità, Penrose ha esortato a ridefinire la questione in altri termini.

Prima di tutto, osserva Penrose, la questione è di natura logica. Penrose si basa su una particolare lettura dei teoremi di Gödel per asserire l’impossibilità di «macchine intelligenti». Ma, soprattutto, per il professore emerito dell’Università di Oxford la questione è di natura fisica. «La nostra mente, la mente umana», racconta Penrose, «non è algoritmica nei processi che vi si svolgono. Su questi processi ancora sappiamo poco, ma quel che sappiamo è che non possiamo leggerli attraverso schemi rigidi».

Per Roger Penrose, dunque, il punto di «equivalenza umana non è prossimo ad arrivare e forse non arriverà». Ma, soprattutto, «ciò che chiamiamo Artificial intelligence non è veramente intelligenza. Sono quella umana è vera intelligenza».

Il termine «intelligenza artificiale» secondo Roger Penrose «è fuorviante e non privo di implicazioni e conseguenze sociali. Il problema risiede tutto qui». Assimilando processi altamente complessi e in gran parte ancora ignoti, come quelli che definiscono coscienza, consapevolezza e di conseguenza l’intelligenza propriamente umana, si finisce per cadere nella gabbia del riduzionismo. Negando altresì spazio (di riconoscimento sociale) alla creatività e all’innovazione.

Se Roger Penrose, approfondendo la tesi dei suoi best-sellers La mente nuova dell’imperatore Ombre della mente, si è concentrato sui presupposti e sulle incongruenze logiche e scientifiche dell’attuale dibattito sull’Intelligenza Artificiale, Emanuele Severino, fra i principali filosofi teoretici del nostro tempo, il cui lavoro comincia a essere conosciuto e discusso anche nel mondo anglosassone (cfr. la recente pubblicazione di The Essence of Nihilism, Verso 2016), ha invece posto l’attenzione sulle conseguenze.

Severino ha ricordato come tutto derivi da un quadro concettuale che può essere fatto risalire al concetto di “produzione” (in greco: poiesis) così come lo ha impostato Platone. «L’Occidente si muove lungo questa strada: la poiesis è la causa che fa passare qualsiasi cosa dal non essere all’essere». IL tema è dunque da leggere, per Severino, all’interno di categorie filosofiche di lunga durata. Le stesse che determinano non solo la nostra visione del mondo, ma l’idea stessa che «che il mondo, quindi l’uomo, quindi l’intelligenza siano interamente manipolabili».

Se la vera intelligenza, l’intelligenza naturale, si definisce attraverso le qualità della coscienza e, ancor più, come ha insistitot Roger Penrose, della consapevolezza, allora ha concluso Emanuele Severino «la consapevolezza è il campo in cui l’intelligenza artificiale non può arrivare e la produzione di consapevolezza diventa il tema cruciale del nostro tempo».

Innovazione digitale e innovazione sociale, ha poi suggerito Penrose, nascono proprio da qua: dall’insondabile e irriproducibile consapevolezza umana.

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