philosophy and social criticism

La vita come azzardo

Maurizio Montanari

«Giocare per me è meglio della vita. La vita è una preparazione al gioco. Il gioco è la vita!». Questo mi riferisce il vero giocatore d’azzardo in seduta, estraendo dal suo discorso quell’elemento sinthomatico ed irriducibile che non richiede alcuna interpretazione, ma solo una gestione.

Quando parliamo di dipendenza dal gioco, specie in questo tempo di crisi lavorativa che ha visto un aumento esponenziale dell’affido della propria sorte alle slot machines di periferia, fenomeno altrimenti chiamato “ludopatia”, dobbiamo operare una differenza tra coloro i quali cadono nella spira del gioco e al contempo offrono spiragli di uscita e guarigione, e chi invece fa dell’azzardo un elemento strutturale del proprio essere. I secondi sono ovviamente una esigua minoranza, ma esistono.

A tale scopo dobbiamo utilizzare alcuni elementi di clinica, utili a comprendere la fenomenologia e la struttura dei cosiddetti “inguaribili”, e per i quali qualsiasi approccio di tipo “disintossicante” ha dato esito negativo. Uno tra questi è il concetto di perversione.
Di cosa parliamo quando parliamo di perversione nel contemporaneo? Allontaniamoci, per poi integrarla, dalla categoria freudiana, intesa come deviazione dall’istinto sessuale e fissazione su pulsioni parziali. Parliamo invece, implementando questa lettura con gli strumenti di Lacan, di un’altra legge, che da un lato regola la vita di molti che oggi, sempre più, bussano ai nostri studi, e dall’altro affiora dal sottobosco della città, mostrando la sua forza storica di regolatrice sottotraccia dei costumi.

La perversione perde così quella connotazione sessuale che il frasario comune le assegna, per riappropriarsi del ruolo di struttura libera e a sé stante. Struttura che si connota si per l’indugiare in eccessi di godimento, senza limite e freno, ma anche per il suo rapporto ambivalente ma necessario, con la Legge. Il perverso obbedisce ad altri codici, altre leggi, altri costumi, sovente in antitesi con quelli che regolano la convivenza civile.

Partiamo da un caso clinico, ovviamente modificato ed epurato dei dati che lo possono rendere riconscibile. Fare la conoscenza di questo paziente, significò per me addentrarmi per la prima volta, e in profondità, nel mondo sommerso del vero gioco d’azzardo. Non quello della macchinette, né quello dei cavalli o dei dadi. Bensì quello nel quale la vita è essa stessa una variante del gioco.

«Per vedere le gambe delle donne, si doveva andare in Chiesa, all’uscita. O menter lavavano i panni». Questa frase apre uno scorcio sulla quotidianità opprimente e censoria dell’infanzia di questo imprenditore che bussa alla mia porta. È titolare di uno studio legale molto avviato in città, padre di un figlio di pochi anni e pone una richiesta iniziale inerente a problemi di dipendenza dal gioco d’azzardo. Dopo venti anni di uso sistematico di droghe e frequantazione di bische, lamenta problemi cardiaci, crescente senso di isolamento e manie di persecuzione. Conosce gli effetti collaterali della cocaina e chiede un aiuto per stemperarli. Vorrebbe diminuirne il consumo, poiché teme di avere un infarto, di essere scoperto dalle forze dell’ordine vedendo così rovinata la sua carriera, e che il ritiro sociale che avverte diventi radicale. Non ha mai intrapreso alcun percorso disintossicante perché non vuole smettere: nè, l’abuso di droga, nè la passione per il tavolo verde. All’apparenza si tratta della richiesta di un uomo che in nome della buona reputazione e della salute cerca di ridimensionare le sue dipendenze

Capirò più tardi che la vera scena che lo vede protagonista non è quella allestita per l’altro sulla quale verte la domanda iniziale, quanto il retrobottega ben celato a sguardi indiscreti.

Dopo aver lasciato il piccolo paese del sud Italia, scopre la sua vera vocazione: organizzare eventi in quel mondo che anima la movida notturna cittadina. Diventa da subito un frequentatore delle sale da gioco, accanito scommettitore alle corse clandestine di cavalli nonché organizzatore di bische. A contorno di tutto, l’onnipresente cocaina, che non solo consuma, ma che inizia a smerciare. Nel tempo la sua fama cresce, sino a farne una sorta di guru riconosciuto del divertimento fuori-norma. Si pone a cavallo della legge, difendendo legalmente davanti al giudice quelle stesse persone che sono suoi sodali e clienti nelle interminabili notti di godimento. In tal modo comincia a delinearsi un inatteso quadro perverso: egli è custode di un sistema che ha bisogno della legge, pur infrangendola. Senza la legge che punisce lo spaccio e l’azzardo clandestino, non potrebbe arricchirsi difendendo coloro che commettono questo reato, gli stessi che lo pagano per essere riforniti di coca.

Proibizione e sanzione sono elementi centrali di questo edificio. Infatti la clinica mostra che il perverso è ben lontano dall’ignorare la legge. Ne ha invece bisogno come punto di gravità attorno al quale muoversi mantenendo una distanza di sicurezza, un incedere che ne fa a meno comprendendola, un punto di riferimento dal quale non si può prescindere senza mai farci davvero i conti. Una legge sfidata, stuzzicata, fatta uscire dalla tana per poi prenderne le distanze quando questa diviene punitiva o si presentifica sotto forma di sanzione. Se la legge, infatti, non fosse sospesa come una minaccia all’orizzonte, il suo atto non avrebbe né valore né sapore, il godimento verrebbe a mancare nelle sue gesta.

Il perverso non chiede un’analisi poiché, come scrive lo psicoanalista J. A. Miller, egli non ne ha bisogno, perché conosce con esattezza la ragione del suo stare al mondo. Egli sta al mondo per il godimento e sa bene dove cercarlo. Cosa domanda dunque quando ci convoca? In questo caso sono stato chiamato per esercitare la funzione di limite, affinché egli potesse continuare nel suo stile di vita, evitando che l’Altro sociale lo sanzionasse o il godimento schiacciasse il corpo. Cedendo il cuore, o finendo in carcere, egli non avrebbe potuto continuare a nuotare nei suoi eccessi.

Le rare volte che ci interpella, il perverso non entra dalla porta del sintomo, non cerca un contatto con l’inconscio, ma un sostegno regolatore.

Inizialmente mi assegna il posto di un autovelox dell’eccesso per mettere un limite laddove egli non lo percepisce. Per poi ricominciare. Entrambi conoscevamo dunque la reale scena nella quale egli si muoveva, ma ho scelto di attenermi a ciò che domandava, producendomi in una sorta di segretariato al servizio di un giocatore incallito accettando di monitorare con lui gli effetti indesiderati che lo angustiavano. Questo non detto ha regolato e sostenuto le sedute. Se io mi fossi lasciato andare con la luce ad illuminare il retrobottega, se ne sarebbe andato.

Grazie a questo lavoro di attesa è stato possibile un secondo tempo, nel quale una domanda diversa si è fatta spazio, sovrapponendosi a quella inziale. È lui che, dopo molte sedute passate a parlare delle sue mirabolanti imprese, del timore dell’arresto e di chi trama alle sue spalle, accenna ad aprire un’altra porta. Dietro alla quale fa la sua comparsa il figlio. «Forse, dottore, è proprio tutta la mia vita che è organizzata male. La cocaina e i dadi sono solo una delle cose che mi danno problemi. Penso a mio figlio: cosa penserà di me? Cosa sarà di lui se muoio o finisco dentro?»

Mi faccio trovare disponibile alla sua parziale rettifica. In casi come questo se si vuole che una domanda leggermente più strutturata emerga, è necessario dare la possibilità alla grande mascherata del perverso di mettersi in scena, con l’intento di colpire e scioccare l’interlocutore, opponendo a ciò il silenzio. Bisogna lasciare sedimentare tutta l’ esibizione oscena e il clamore che egli vuole gettarvi addosso, mostrando impassibilità. Egli ha dapprima dovuto raccontare l’eccesso, solo dopo ha chiesto un aiuto per non caderci dentro, per dare un futuro al figlio. Nel momento in cui si assume un atteggiamento paternalista, o si punta il dito con intento di svelare il complesso ma prevedibile marchingegno del perverso, egli se ne va. Far prendere alle sedute una deriva confessionale significa far antecedere un ammonimento al normale e naturale tempo di esposizione del quale il perverso ha bisogno per proiettare le proprie monotone giravolte di godimento. Solo dopo questo infinito e sfiancante prologo, lungo il quale mai mi ha visto turbato, ha accettato di rivedere in parte la sua vita senza limite, in nome di qualcosa di nuovo, un’alterità situata in un posto diverso rispetto ai suoi canali di godimento. C’è voluto tempo per l’ingresso del figlio nel suo discorso. Dietro alla domanda iniziale una più strutturata ha visto la luce.

Dare un padre affidabile al figlio diventa da quel momento un argomento che riempie i suoi discorsi, più della la paura della polizia e del timore che si parli male di lui. Si badi bene: questo uomo non si “redimerà”, non modificherà la sua vita, non rinuncerà a godere. Frequenterà sempre il tavolo verde. Cercherà tuttavia di non esserne inghiottito, avendo scelto di fare spazio al figlio.

L’analista sa, ma non può dire. E se lo dicesse, violerebbe quel margine posticcio che la società innalza tra sé e le proprie oscenità. Di questo l’analista oggi è testimone. Quale è dunque il compito dell’analisi, oggi? Quello di rendere conto che il patto sociale sul quale fondiamo il nostro quieto vivere, non è per niente quieto, intriso di verità seminascoste occultate dalla società stessa

Ho guardato sino in fondo Missisipi Grind, che descrive la parabola di due individui totalmente dediti alla legge perversa dell’azzardo, capaci di mettere da parte lavoro, oggetti, la vita stessa per vedere cadere due dadi.

L’epilogo del film, va a collimare esattamente con quello che nella clinica ha incontrato alla fine, il piu’ incallito dei due, Gerry, arrivato ad abbruttirsi e rendersi reietto per il godimento insuperabile che l’azzardo gli dava, sceglie di porre fine a questa condotta, per tornare sui suoi passi a cercare la figlia lasciata per strada.

In questo film , trovate la cifra del vero giocatore d’azzardo, che viola la legge obbedendo compulsivamente ad un altra lex, piu forte e inattaccabile. I due raccontano di un terzo il quale, provando a smettere di giocare, si sarebbe fatto bandire da tutti i casinò degli Usa, grazie ad una legge che prevede l’auto-messa al bando. Dopo essere stato rifiutato da diverse sale da gioco, dopo cioè aver messo alla prova la tenuta della legge, il suddetto si traveste mutando la sua identità, riuscendo a fregare i controllori e rimettendosi davanti al tavolo verde. Piu chiaro di così.

Il perverso, il vero perverso, ha bisogno di una legge da sfidare. La passione per l’azzardo va al di la di ogni possibile cura o trattamento, perchè è una struttura umana colma di godimento e passione. Nessuno di voi offrirà mai qualcosa di piu gaudente e appetitoso che il gioco a persone siffatte.

Le visite di questi pazienti ci offrono poi una visuale particolare del mondo, sfrondato dagli orpelli dell’apparenza, fornendo la cifra della diffusione dei codici perversi nel quotidiano.

Essi raccontano di zone grigie nelle quali luci ed ombre, lecito ed illecito si fondono. Quegli stessi luoghi indagati da Céline che affermava: «Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini». Come afferma J. Kristeva il sistema simbolico dell’uomo si costituisce attraverso la costruzione di barriere tra l’osceno ( la sozzura) ed il pulito. Escrementi, sangue, saliva, limitati da una ben definita linea di demarcazione dopo l’espulsione, sono destinati a non essere toccati o maneggiati ( se non , appunto, con disgusto), pena l’ammenda. Ciò che determina il pulito, il lecito, è appunto il lordo, l’osceno.

La linea divisoria formale mostra oggi piu’ chiaramente le fenditure e le porosità che tradiscono una contaminazione antica e reciproca tra i due canali. Legge e anti legge si fondono nell’ombra delle profondità carsiche, per poi dividersi e fronteggiarsi all’uscita dal sottosuolo. Sin dai tempi dello sbarco alleato in Sicilia, passando per le stragi dei servizi deviati, sino a “mafia capitale”, la lex italiana è sempre venuta a patti con universi illegali. L’analista oggi fotografa e notabilizza questo punto di giuntura, costretto ad una forzata posizione di testimone. Gli analizzanti che frequentano bische illegali, che sono dediti all’abuso clandestino di sostanze stupefacenti, che conoscono alla perfezione i luoghi della città ove si pratica sesso estremo, si danno appuntamento in territori conosciuti da tutti. Ma sui quali vige l’osservanza di un tacito e reciproco silenzio. Facilmente poi il perverso si presenta come un probo viro, uomo di mille virtu’, preoccupato di stabilire i fondamenti stessi di una legge, così che facilmente diventa moralista Molti di essi si ammantano di un’aura moralizzatrice affinchè questa nasconda l’osceno gemello che in qualche modo deve essere nascosto alla vista. E tanto piu’ forti ed ostentate sono le virtu’, tanto piu’ sono profonde le oscenità che devono essere celate.
Il mio studio stesso, nel quale lavoro da oltre dieci anni, ha al suo interno un particolare che testimonia di questa doppia città, popolata di notte, refrattaria alla luce del giorno Tra la parte della sala di attesa e lo studio vero e proprio, c’è un intercapedine di legno massiccio a scomparsa. Una cosa grossa e pesante, il cui significato mi è stato spiegato solo da poco dal’ anziana dirimpettaia. Era la bisca del paese, con la chiusura dall’interno, attraverso la quale , chi più chi meno assiduamente, sono passati quasi tutti i rappresentanti delle famiglie locali. Chi per voluttà o per brivido, chi per disperazione, chi per allontanare per pochi giorni l’appuntamento col monte di pietà. Un luogo di perdizione e fuorilegge, conosciuto da tutti, e tacitamente accolto in silenzio nel seno della comunità.

La psicoanalisi dunque registra la doppia morale sulla quale stanno in equilibrio di specchiati cittadini, virtuosi amministratori della res publica, personalità religiose, che in seduta descrivono le nequizie nascoste del potere, la diffusa corruttela, i sogni abusatori. L’analista sa, ma non può dire. E se lo dicesse, violerebbe quel margine posticcio che la società innalza tra sé e le proprie oscenità. Di questo l’analista oggi è testimone. Quale è dunque il compito dell’analisi, oggi? Quello di rendere conto che il patto sociale sul quale fondiamo il nostro quieto vivere, non è per niente quieto, intriso di verità seminascoste occultate dalla società stessa.

Ma da quale posto la psicoanalisi osserva questo quitidiano? L’analista non è, per dirla con Zizek, un kinico, colui che «mina coscientemente gli apparati dell’ideologia dominante, al fine di esporre gli interessi corrotti» allo scopo di scoperchiare, divellere, dare scandalo. Figura questa che patisce un forte isolamento, poiché la città non vuole che qualcuno gli mostri quella verità che si rifiuta di vedere(si pensi al destino dei vari Assange, Snowden, Englaro, che hanno gridato le nudità del re).

Nemmeno è un cinico, cioè un collabò, «colui che è consapevole degli interessi particolari che sono alla base degli assiomi , ma (li) sostiene e riproduce». L’analista occupa una posizione terza, diversa da queste. Egli prende atto, senza colludere, ma anche senza rivelare. È un silente testimone del nostro tempo. Con un compito, come indica Julia Kristeva: «se un analista riesce a stare nel solo posto che è il suo, il vuoto (..)gli è forse possibile (..) costruire un discorso intorno a quell’intreccio d’orrore e di fascino che segnala l’incompletezza dell’essere parlante[6]’. Egli deve ‘ radiografare l’orrore senza capitalizzarne il potere(..) esibire l’abbietto senza confondersi con esso». Egli dunque, come Céline, cammina sul limitare del lato grigio della città, dovendo rimanere in equilibrio.

Maurizio Montanari è psicoanalista Responsabile del centro di Psicanalisi e psicoterapia LiberaParola

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