philosophy and social criticism

L’editoria al tempo della crisi

Francesca Borrelli

L’intervista, parte di una serie dedicata alle trasformazioni dell’editoria e delle sue professioni, è apparsa su il manifesto del 7 aprile 2009.

Consapevoli della lezione del grande bibliografo neozelandese Donald F. McKenzie, secondo cui «le forme producono significati», guardiamo ormai a un testo come a un manufatto a sovranità limitata, la cui fortuna non è delegata una volta per sempre ai suoi onnipotenti ingranaggi, ma dipende (anche) dalle vesti con cui si presenta al suo pubblico. Detto altrimenti, quando leggiamo non siamo mai alle prese con astrazioni, bensì con oggetti – siano essi libri, riviste, dvd o schermate del computer – che funzionano come dispositivi capaci di governare l’incoscio della ricezione. Nessuno, nel campo della editoria italiana, ne è più consapevole di Romano Montroni, l’uomo al quale Giangiacomo Feltrinelli commissionò l’invenzione delle sue gloriose librerie, ormai trasformate in spersonalizzati mega store, ma all’epoca identificabili con il paradiso terrestre dei lettori.

Come nacque il progetto Coop

Di quel paradiso Montroni aveva una evidente nostalgia, che lo portò negli anni a diffondere il suo mestiere presso giovani apprendisti, poi a maturare un libro-memoir ironicamente titolato Vendere l’anima (Laterza, 2006) e finalmente a accettare la consulenza del progetto Coop librerie, una impresa voluta dal mondo cooperativo, nel cui statuto è scritto che tra i suoi compiti c’è quello di diffondere la cultura. E fu così che, per la prima volta, una libreria trovò accoglienza in un centro commerciale, e l’idea si moltiplicò fino a oggi altre sedici volte: il progetto porta la firma di Pierluigi Stefanini, oggi presidente Unipol, la cui biografia conta dieci anni come operaio in una società di produzione di macchine per l’imballaggio, poi la militanza come segretario del Pci bolognese nel 1985 e finalmente la presidenza della Coop Adriatica. Fu sua l’idea di mettere d’accordo cinque centrali cooperative su nove e fondare una Spa che diede vita alle librerie Coop, l’ultima creatura delle quali è l’attuale vanto di Romano Montroni, la libreria Ambasciatori di Via Orefici a Bologna. Le sue mura ospitavano, vent’anni fa, un cinema porno, ora fanno da perimetro a 1500 metri quadrati disposti su tre piani, 600 metri dei quali affittati a Eataly, una società a partecipazione cooperativa che offre ristoro e vende il cibo consumabile nei suoi bar e nei suoi ristoranti in scaffali poco distanti da quelli dei libri. È appunto a uno dei tavoli che affiancano i banconi affollati di volumi che ripercorriamo con Romano Montroni la filosofia di questa «portaerei del libro», un vero monumento alla lettura in una città le cui inziative culturali risentono pesantemente della crisi. È di pochi giorni fa, infatti, la notizia che il Festival della politica ideato dalla Laterza non si terrà, perché la Fondazione Carisbo, dopo avere manifestato il suo interesse, ha dovuto ritirare la promessa di sovvenzioni, in seguito alla decisione di Intesa San Paolo, il gruppo bancario di riferimento, di non distribuire dividendi azionari per il 2009. Inoltre, a pochi passi dalla libreria Ambasciatori, un altro punto di riferimento bolognese, la Nannucci Dischi, sta per cedere alla prassi di scaricare gratuitamente brani musicali dalla Rete, e dunque a giorni chiuderà le saracinesche, andando a incrementare quel 20-25 per cento di calo dei negozi del settore, che ha portato a organizzare, il 18 aprile, un Record store day mutuato dalla risposta americana alla chiusura di tanti mega store a alta fedeltà. In questa atmosfera, l’edificazione e il successo di un tempio della lettura com’è la libreria ideata da Romano Montroni induce un surplus di curiosità. Come dice anche nel suo libro, «il pubblico comincia dallo sguardo»: ovvero, nel campo della lettura non meno che in altri l’allestimento di uno spazio è fondamentale. Alla Ambasciatori, progettata dall’architetto veneziano Paolo Lucchetta, ci sono 52.000 titoli e quasi 100.000 volumi su 500.000 titoli disponibili sul mercato, ma la forza sta soprattutto nel numero degli editori presenti: 820, «una bella macchina da guerra» commenta Montroni. A Natale si è venduto circa il 5 per cento in più dell’anno precedente, e anche i primi mesi dell’anno sono andati bene, dunque è solo a titolo precauzionale che alcuni editori stanno prevedendo un leggero ridimensionamento della produzione. Forse la crisi servirà a riabilitare il ruolo della qualità dei servizi? Romano Montroni ne è persuaso, e dice che «la vera forza» della sua libreria sta «da una parte nell’assortimento e dall’altra nei venticinque giovani che ci lavorano, forti di quattro mesi impiegati nella formazione, otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana, in una scuola creata dal mondo Coop e da me coordinata. Abbiamo portato questi ragazzi a conoscere gli editori, i piccoli e i grandi, li abbiamo bombardati di informazioni, li abbiamo motivati e responsabilizzati.»

Il 23 aprile si inaugurerà la nuova libreria che occuperà gli spazi storici della Nautilus a Mantova, venduta alle Coop da Luca Nicolini, che rimarrà dietro i banconi, e che nonostante la sua invidiabile esperienza è stato arruolato anche lui tra gli allievi di Montroni. «L’importante è assicurare che una libreria sia continuamente propositiva: qui alla Ambasciatori, per esempio, in ogni settore le proposte vengono cambiate più o meno con una scansione settimanale. Ci regoliamo sulle recensioni, che i nostri librai leggono ogni mattina, e sugli appuntamenti previsti in città e altrove. Sembra la scoperta dell’acqua calda, ma per realizzarla ci vogliono librai motivati e competenti. Come si fa a ottenere tutto questo? Inducendo un alto senso di responsabilità. Qui non c’è la figura del buyer che prenota i titoli, qui sono i nostri librai – diretti da Francesca Sforzini, anche lei proveniente dalle Feltrinelli – che fanno le ordinazioni, decidono quali libri privilegiare nella esposizione, e poi ne rendono conto.» Uno sguardo tra gli scaffali dove stazionano gli avventori curiosi e a volte imbambolati rivela, ben visibili molti dei venticinque librai che si muovono effettivamente come api operose, tutti diversamente indaffarati. Nel frattempo Francesca Sforzini ha raggiunto il tavolo al quale siamo seduti, e si unisce a Montroni nello spiegare che, al contrario di quanto accade nella grande distribuzione, nella loro libreria si fa rifornimento e si concentrano tutte le diverse fasi del lavoro proprio quando i clienti sono presenti, in modo tale da coinvolgerli implicitamente e da comunicare loro una coralità di interesse intorno al libro. «Qui non vige lo slogan per cui lo scaffale parla da solo». Nessuno nomina le Feltrinelli, ma il riferimento è implicito. D’altronde la spersonalizzazione dei mega store non conosce sigle, tutto funziona allo stesso modo anche nelle librerie Mondadori, o nelle Fnac, insomma nella grande distribuzione. Dove la redditività dello spazio è un imperativo, e i piccoli editori sanno che se vogliono essere visibili devono… pagare. Anche voi, chiedo a Montroni più che altro a mo’ di provocazione, vi comportate così? «Nooo. Noi diamo visibilità ai titoli sulla base della credibilità degli autori, dei marchi editoriali e degli argomenti trattati. Ma magari bastasse fare vedere i libri per venderli! Bisogna tenere conto del fatto che il mercato è costituito al 70 per cento dai grandi editori e sarebbe profondamente sbagliato che il mondo cooperativo si trasformasse nella assistenza alla piccola editoria, perché questo equivarrebbe a fallire. Noi non rinunciamo al 30 per cento del mercato, ma allo stesso tempo sarebbe folle non sfruttare, per esempio, la potenza degli Oscar Mondadori. Il libraio vende, non educa alla lettura, e chi la pensa diversamente è una anziana cariatide». E che ne dite delle sorti delle piccole librerie indipendenti, accerchiate e soffocate dal vostro gigantismo? «Lei non ci crederà ma, se i dati ce lo confermeranno, pare che questa libreria a Bologna non tolga mercato agli altri. Cosa vuol dire questo?» Che stanno aumentando i lettori? «No, vuol dire che la nostra libreria è diventata un luogo di frequentazione e di sollecitazione che agisce dando una spinta al consumo. I lettori forti sono stimati intorno ai 400.000, sono il 30 per cento e determinano il 65 per cento delle vendite. Mentre il 30 per cento dei consumatori deboli copre il 6 per cento del fatturato. I dati restano fermi, dunque è sempre debole il numero degli acquirenti occasionali, e forse il nostro ruolo può essere un po’ quello dei pionieri del consumo librario».

Prima dell’era degli sconti

A proposito di pionieri, si ricorda Montroni quando, nel 1988, le Feltrinelli decisero di vendere i libri a peso? Lo si fece mai più? «Eccome se lo ricordo, fu una storia stupenda e non si ripetè mai più. La proposta partì da me in una riunione generale degli allora trentacinque direttori delle librerie, insieme a alcuni redattori della casa editrice, che opposero una forte resistenza. L’idea venne bocciata, si disse che il libro non si poteva mercificare. Poi, pensa che ti ripensa, la bravissima e lungimirante Inge Feltrinelli decise che sì, si poteva fare. L’idea partì il 2 di luglio, si vendettero a peso solo i tascabili, eravamo negli anni in cui gli sconti non si facevano ancora, fu uno shock». Il tempo passa, il divertimento resta, e dura anche l’idealismo che sostiene l’entusiasiamo di Romano Montroni, tuttavia sufficientemente realista da non rischiare di ritrovarsi, un giorno, imbalsamato tra le «vecchie cariatidi» che vigilano dall’alto sui banconi delle librerie.