philosophy and social criticism

Ohno Kazuo, un ricordo molto personale

Matteo Boscarol

Era forse il 2005 o il 2006 non ricordo bene, quando mi imbattei per puro caso nel butoh, un po’ tardi in verita’ (tardi per cosa poi?)  la fama di questa “cosa” che veniva dal Giappone si era ormai diffusa su tutto il pianeta, workshop in Europa, Asia e America avevano gia’ fatto moltiplicare gli appassionati ed i praticanti. La maggior parte delle persone che si interessavano,  e ancora si interessano, alla “cosa” vi sono giunte attraverso la danza o certo sperimentalismo teatrale. Potrei dire che vi arrivai partendo dall’amore per Artaud, oppure potrei collegarlo al mio interesse per le orme lasciate da Guattari nel suo passaggio giapponese, ma in entrambi i casi mentirei. Il mio incontro col mondo del butoh avvenne per puro caso, come tutte le altre cose significative successe nella mia vita. Mi trovavo in una scuola di lingue dove lavoravo e come consuetudine era presente sul tavolo degli insegnanti il Japan Times, giornale giapponese di lingua inglese, lo sfogliai come sempre e notai una fotografia in bianco e nero che attiro’ la mia attenzione ( si’ come i bambini). Un essere bianco semi nudo era congelato in una posizione di assoluta grazia ed allo stesso tempo di assoluto dolore ed infinito orrore.

Data la grana grezza del giornale l’ effetto di indiscernibilita’ della figura era magnificato, era come essere davanti ad un abisso, piu’ la guardavo piu’ non mi riusciva di definirla e quindi di riportarla entro i limiti del compreso. Ecco, a distanza di un quinquennio, dopo aver visto performance, incontrato persone, aver discusso, scritto, visto e anche partecipato a workshop, se dovessi dare un resoconto della “cosa” chiamata butoh, userei le stesse parole benche’ pompose ” assoluta grazia, assoluto dolore, infinito orrore”. E allora cosi’ sia. Ohno Kazuo e’ morto dopo aver rincorso durante tutta la sua vita una performance di morte e di oscurita’, ma in stato di grazia.

Hijikata se n`e` andato nel gennaio del 1986, mese freddo come il suo furusato Tohoku, ghiacciato come la rigidita` che il suo corpo aveva assunto negli ultimi mesi di vita, anche se all`interno si stava squagliando, stava “marcendo” cosi` disse lui stesso.

Ohno e` morto nel giugno del 2010, quando il paesaggio nipponico (del Giappone che conta, quello della terra) e` fatto dai risaie inondate di acqua che sono degli infiniti specchi che riflettono il cielo, Ohno stesso specchio di poesia che porto` il cielo in terra e la terra in cielo.

1986 Hijikata. 2010 Ohno. Il butoh delle origini (che brutta parola) non esiste piu`.

Ohno se ne e’ andato a 103 anni dopo una vita vissuta innumerevoli volte, prima soldato durante la Seconda Guerra Mondiale per nove anni in Nuova Guinea ed in Cina,  poi insegnante di educazione fisica in una scuola femminile, poi anchora seminudo sul finire dei sessanta a correre per quella pozza che era Shinjuku. Ritiratosi parzialmente nel 69 quando assieme a Chiaki Nagano (A Portrait of Mr. O) si dedico’ alla sperimentazione cinematografica, rinato nel 1977, a 71 anni, quando incontro’ la figura della danzatrice spagnola Antonia Mercé a cui dedico` “La Argentina” . Pasto Nudo negli ottanta e novanta quando oramai una star girava il mondo per elargire la sua grazia e ancora capace di stupire quando ormai paralizzato su una sedia a rotelle danzava solamente con le sue mani. Quando andai per incontrare lui e suo figlio Yoshito a casa loro in una Yokohama collinare e pittoresca, io e la mia amica ci perdemmo per le viuzze della zona, chiedemmo a qualche signora di passaggio ma pochi lo conoscevano per chi era e cosa faceva, ci dissero che li` abitava una famiglia di danzatori molto popolari per i gaijin (gli stranieri), questo per dare un`idea della figura minoritaria che Ohno rappresentava nel suo Giappone. Dopo aver intervistato il figlio andammo ad incontrare il padre, disteso oramai quasi impossibilitato a muoversi, parlava con molta difficolta` ma era disteso in mezzo alla stanza esibito con assoluta naturalezza agli ospiti in tutta la sua decadenza. Mi ricordo che gli dissero che amici dall`Italia erano venuti a trovarlo,  lui emise un urlo, si dimeno`, con la mano provo` a toccarmi, mi sfioro` soltanto ma fu un`emozione che compresi solo tempo dopo ormai nel treno sulla via del ritorno.

Nella sua vecchiaia, nel dolore del suo corpo che aveva attraversato il novecento ed i suoi cambiamenti, Ohno era, piu` che mai verso il finire dei suoi giorni, un essere di Grazia, quasi una figura cristica che su di se` volesse portare contemporaneamente la pena e la gioia del creato, questo forse uno dei motivi che, inconsciamente, lo spinse alla conversione cristiana battista, anche se un cristianesimo tutto personale, eretico e piu’ versato ad assonanze con figure mistiche o sante. L’eccesso della religione e del sacro, questo rappresentava Ohno. La volonta’ di portare il cielo in terra. E di danzarlo.

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ISSN:2037-0857