philosophy and social criticism

Pasolini, morte di un poeta

di Francesco Paolella

Bruno Moroncini, La morte del poeta. Potere e storia d’Italia in Pier Paolo Pasolini, Cronopio, Napoli, 2019, 160 pagine


Si diffonde sempre più un’ombra di sacralità attorno a Pasolini, al suo ruolo di poeta-profeta, sempre provocatorio e sempre inascoltato, e, soprattutto, attorno al suo corpo massacrato. Tanti continuano a girare attorno al suo cadavere, al cadavere di quella che sembra la vittima per eccellenza di ciò che è intollerabile e intollerante; ma il suo cadavere non è, ad ogni modo, il cadavere di un eroe.

La vita di Pasolini (la sua vita è stata la sua opera – e mai come in questo caso l’autore è stato l’autore di se stesso) si è scontrata fino a consumarsi, fino a farsi consumare, con il Potere: Pasolini ha vissuto attorno e dentro di esso, ne ha subito e goduto le contraddizioni e ne ha rappresentato i vuoti e le aberrazioni. Si tratta, dunque, di fare, ancora una volta, i conti con la sua perdita; e, di più, con tutta la sua disperazione davanti alla vittoria conclamata degli “uomini nuovi” del nuovo Potere, quello del neocapitale e del consumismo totalitario. Questo lavoro di Moroncini illumina tanti angoli di quella disperazione (mai, però, rassegnata) e ci permette di liberare il campo da diverse semplificazioni e alcuni fraintendimenti. Pasolini non è mai stato, ad esempio, un reazionario né un passatista. Nel momento in cui il nostro Paese cambiava pelle e sangue, durante i lunghi, incoscienti anni del secondo dopoguerra, il poeta di Casarsa ha deciso di girarsi indietro, di dedicarsi anche a chi (gli scarti, i sorpassati, i disperati) di quello sviluppo avrebbe subito i mutamenti più grandi.

Come si sa, Pasolini avrebbe poi abiurato quella sua ultima speranza, accorgendosi della illusorietà di ogni resistenza naturale, antimoderna, “libera” al nuovo Potere. Come pochi, Pasolini ha intuito e seguito la trasformazione da una società repressiva a una tollerante e, allo stesso modo, ha riconosciuto nella generazione dei figli (contestatori, antifascisti, libertari) lo stesso desiderio di potere che già aveva visto nella generazione dei loro padri (uomini d’ordine, fascisti, censori).

«Non c’è nessun progresso: i figli sono come i Padri, il fascismo si trasmette identico fra le generazioni e più che il progresso lento ma inesorabile c’è il salto drammatico e violento fra una fase storica e la successiva, in cui un intero mondo umano scompare senza lasciare traccia» (pagina 109).

Moroncini rilegge Pasolini con Benjamin, Foucault, Lacan; e, soprattutto, rilegge alcune sue opere (Edipo re o Petrolio) anche alla luce delle sue vicende familiari – e sono fra le pagine più interessanti quelle dedicate al rapporto col padre, un militare e un fascista, poi reduce di guerra distrutto e violento, dal quale Pasolini ha cercato di difendersi e per il quale provò, allo stesso tempo, odio e compassione. Moroncini ci mostra poi in queste pagine tutte le scissioni di Pasolini, scissioni che sono state analizzate dallo stesso poeta: uomo a un tempo moderno e nostalgico, egli viveva come sospeso fra la sua vita diurna (la scrittura) e la sua vita notturna (il godimento).

E l’autore ci mostra quanto Pasolini sentisse, anche proprio attraverso le proprie scissioni, la crisi del proprio campo ideologico, cioè la crisi di una sinistra ormai complice della modernizzazione e del consumismo, i quali spingevano gli oppressi verso un godimento anestetizzante. Allo stesso tempo, l’ultimo Pasolini ha percepito quale nuovo ruolo avrebbe avuto la violenza nella nuova società emancipata e quanto essa avrebbe sconvolto ogni relazioni e corrotto ogni conflitto e ogni ideale.

«Come già per Dostoevskij, anche per Pasolini il danno del capitalismo (solo aggravato dalla sua declinazione consumista) sulle forme della soggettivazione consiste nell’estensione a macchia d’olio dei sentimenti della frustrazione e del risentimento prodotti dalla convinzione, infondata e di conseguenza deprimente, di aver diritto alla felicità. Come si ha diritto al proprio quarto d’ora di notorietà, così si ha diritto a godere sessualmente, a indossare l’articolo di moda, ad adattare il proprio corpo alle esigenze del consumo; e per questi diritti, perché siano affermati e riconosciuti, si può anche uccidere, anzi si deve uccidere» (pagina 137).

[cite]