philosophy and social criticism

Rue Monnier

Marco Dotti

Adrienne Monnier, Rue de l’Odéon, traduzione di Elena Paul, postfazione di Edda Melon, :duepunti edizioni, Palermo 2010.

Rue de l’Odéon, sulla rive gauche della Senna, ai primi del Novecento era un posto tranquillo, quasi appartato. Si conciliava bene con l’indole dei lettori più riflessivi, come il poeta Pierre Reverdy o lo scontroso Léon-Paul Fargue, anch’egli grande lettore, certo, ma ancor più instancabile camminatore e frequentatore di piazze, il luogo in cui – scriveva – ci si sente più 0903_rue_de_l_odeon-cropvicini alla realtà. Indurre Fargue a “fermarsi” non era impresa facile, ma Adrienne Monnier vi riuscì. Fu al numero 7 di quella strada che, il 15 novembre 1915, Monnier stabilì il proprio “negozio”. Il padre le offrì il piccolo capitale che serviva per coronare il sogno di «essere libraia», la sua intelligenza tutta votata ai libri intesi come mezzi e non come fini, l’assiduità con cui gli amici – oltre a Fargue e Reverdy, Satie, Jules Romains, Gide, Artaud – le rendevano visita, e una non comune sensibilità per la “nuova letteratura”, fatta eccezione per Proust che non comprese, né amò, fecero il resto. E il resto non fu cosa di poco conto, anche se all’inizio Adrienne Monnier era poco più che una sconosciuta e le scelte che fecero della sua boutique un vero e proprio punto di riferimento per la letteratura contemporanea maturarono a poco a poco, sbocciando più per incauta ma diretta passione, che per influenza autorevole, ma indiretta, di qualche amico influente.

Diversa dai salons della “rive droite”, ma anche dai circoli a modo loro elitari di certe librerie delle medesima “rive gauche”, la “bottega” di Adrienne Monnier era un vero e proprio spazio di relazione e scambi intellettuali, non la trasposizione “su strada” di un salotto borghese, un luogo puramente commerciale o la succursale a pian terreno, come mormoravano i maligni, della “Nouvelle revue française”. Piuttosto «camera di meraviglie» e di transito «tra la strada e la casa», ribatterà Adrienne Monnier. «Costruita in tempo di distruzione», ossia nel corso della prima guerra mondiale, la Maison des Amis des Livres – questo il nome della sua libreria – fu un vero e proprio «atto di fede» incarnato. Un atto di fede nei libri e nel loro potere di farsi oggetto di mediazione tra gli uomini. È la stessa Monnier a ricordarlo, in uno dei suoi scritti ora pubblicati dalle edizioni :duepunti di Palermo in un volume davvero prezioso, dal titolo Rue de l’Odéon

Fin dall’inizio, il progetto della Monnier prevedeva una normale libreria e un cabinet de lecture, ovvero una libreria di prestito dove i “clienti” potessero sottoscrivere un abbonamento, prendere un libro e, nel caso, dopo averlo letto e apprezzato decidere se acquistarlo o no. Le memorie, i ricordi, le riflessioni consegnate a Rue de l’Odéon attraversano quasi mezzo secolo di letteratura europea, e non solo. Esemplari, da questo punto di vista, i profili di Walter Benjamin, Fargue, Paul Léautaud e Rilke, ma anche lo scritto più tecnico sul “prestito dei libri” o l’elogio del “libro povero”. A proposito di libri, la libraia Monnier trasformatasi ben presto in “mecenate” e editrice, confessava di avere «vissuto sempre alla giornata», trovando piena soddisfazione morale dalle proprie imprese del suo “laboratorio” editoriale, ma scampandola «per il rotto della cuffia sul piano materiale». Eppure, nel suo Elogio dei libri poveri, discutendo di orpelli e formati, di carte e legature, ha parole che ancora oggi dovrebbero far riflettere: «a pensarci bene, credo che i grandi libri non siano mai più a loro agio di quanto non lo siano nei libri poveri, e forse solo così sono davvero grandi. Sono i libri poveri a assicurare una circolazione oscura, vitale, come quella del sangue: con l’umiltà ne perpetuano la gloria e conferiscono loro la libertà di cui hanno bisogno per superare se stessi». Di particolare interesse anche il rapporto di Adrienne Monnier con le riviste, distribuite o fondate, da “Littérature” a “Mesures” (nella redazione figuravano Paulhan e Ungaretti) e “Commerce”, fino a “Le Navire d’Argent”, il suo mensile di ” letteratura e cultura generale” che avvierà le pubblicazioni nel giugno del 1925 e presto vedrà ampliarsi l’elenco dei collaboratori, da Joyce a Hemingway, da William Carlos Williams a Blaise Cendrars, da Gómez de la Serna a Saint-Exupéry. Difficile dar conto delle innumerevoli iniziative di quella che si potrebbe giustamente definire un “genio femminile”, se con questa espressione, sulla scia di Julia Kristeva, siamo disposti a intendere una «singolarità capace di condivisione».

Quella di Adrianne Monnier fu, nei fatti, una «saggezza attiva», per usare le parole spese nei suoi confronti da Yves Bonnefoy. Di certo, osserva invece Edda Melon nella sua rigorosa postfazione, mai citazione baudelairiana fu usata più a sproposito di quanto fece Saint-John Perse. Chiamando la Monnier «serva dal gran cuore delle lettere francesi» pensava di liquidarla con stile, rendendosi invece, semplicemente, ridicolo.

[da il manifesto, 19 marzo 2010]

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