philosophy and social criticism

Scontro fra temporalità: capitale, democrazia e piazze

di Massimiliano Tomba

traduzione di Beatrice Catini

Mentre l’Occidente stava celebrando la “pacifica transizione verso la democrazia” del mondo arabo, in molte piazze del mondo si potevano leggere i seguenti slogan: “La democrazia è uno scherzo” (Bruxelles), “La democrazia è un’illusione” (Londra), “La democrazia è stata sequestrata”, hanno detto gli Indignati spagnoli fuori dal parlamento il 25 settembre 2012: “abbiamo intenzione di salvarla.” “Democrazia reale adesso”, rivendicano i manifestanti scesi in diverse piazze del mondo. Perlomeno, la “transizione alla democrazia” richiede che si approfondisca una questione: quale democrazia stiamo parlando?

I poteri occidentali hanno tentato sia di neutralizzare che di cooptare le proteste nel mondo arabo mostrandole come transizione da una forma governativa a un’altra. Una transizione che, da un lato, permette all’Occidente di mantenere la sua egemonia nel golfo ricco di petrolio, dall’altro lato presuppone il modello di democrazia rappresentativa dell’Occidente come l’unica configurazione della democrazia contemporanea. Come tratterò nel presente articolo, questo modello democratico è in crisi. E non perché esso abbia brillato in una qualche golden age della democrazia, ma perché le tensioni interne ed esterne ne mostrano ora tutta l’obsolescenza. Anche e soprattutto per la sua capacità di autolegittimarsi.

Un articolo recentemente pubblicato sul New York Times (Krugman 2011) denuncia l’attuale livello di disoccupazione pericolosamente elevata sia in America che in Europa, e la sfiducia nei leader e nelle istituzioni come parte di un contesto generale in cui “i valori democratici sono sotto assedio”. In effetti, questa condizione di emergenza è diventata la regola in paesi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia i cui governi sono sotto la pressione degli organismi sovranazionali. I tecnocrati finanziari sono stati portati al comando di queste nazioni, dove stanno prendendo decisioni giustificate da una qualche necessità superiore (Balibar 2011). Nello stesso tempo, l’ascesa della destra populista, dei gruppi neo-fascisti e la nascita di nuovi governi autoritari è diventato un fenomeno rilevante in molti paesi. Un articolo pubblicato sul Washington Post afferma: “la globalizzazione ha senza dubbio cominciato a indebolire la legittimazione delle democrazie occidentali” (Applebaum 2011). Questa dichiarazione è vaga ma contiene un elemento di possibile verità al di là delle intenzioni dell’autore: la democrazia occidentale non può più essere il modello per “la transizione verso la democrazia”. Non è che la globalizzazione di per sé indebolisca la democrazia, ma è il conflitto tra temporalità  politiche, economiche e giuridiche nel mondo globalizzato che sta destabilizzando la forma di democrazia nata nell’Occidente moderno.

In un suo articolo apparso nel 1997 con il titolo “What Time Is It?” Sheldon Wollin scrisse che “il tempo della politica non è sincronizzato con le temporalità, i ritmi e la velocità che governano economia e cultura” (Wolin 1997). Il punto cruciale della questione, scrisse Wolin qualche anno più tardi, è che “l’alta tecnologia e il capitalismo globalizzato sono radicalmente incongruenti con la democrazia” (Wolin 200: 20). La posizione di Wolin generò un interessante dibattito che può essere così schematizzato:  se da un lato Wolin vorrebbe che “il mondo rallentasse cosicché la democrazia potesse fiorire”, William E. Connolly, dall’altro, vorrebbe accelerarne la velocità nel nome del pluralismo e di identità multiculturali fluide (Connolly 2002; McIvor 2011)

Nel mio articolo prenderò in considerazione le temporalità del capitale, dello stato, delle insurrezioni popolari, i loro conflitti e le possibilità che esse dischiudono. Il problema reale non riguarda né l’accelerazione né la decelerazione della vita politica contemporanea e nemmeno il limite di velocità della democrazia, ma piuttosto riguarda il meccanismo di sincronizzazione delle diverse temporalità e i lori differenti ritmi.

Il conflitto delle temporalità

La democrazia si trova attualmente nel mezzo di un conflitto di temporalità. La democrazia partecipativa diventa sempre più un lusso. La discussione e il controllo pubblico delle decisioni centrali sono troppo lente e sembrano essere sempre meno compatibili rispetto alla crescente velocità dei processi decisionali economici e finanziari.

La democrazia sta così collassando sotto i colpi del martello della sincronizzazione: da un lato, c’è la temporalità economica che impone la velocità del processo decisionale; dall’altro lato, c’è la temporalità dello stato e la lentezza del processo decisionale democratico. Su scala globale, la separazione temporale tra istituzioni nazionali e transnazionali cresce e “i ritmi temporali più lenti degli stati nazione vengono marginalizzati dalla proliferazione transnazionale di una giustizia debole e di una politica veloce”. (Hope 2009: 79). La velocità della democrazia formale con le sue discussioni parlamentari e la ricerca del consenso è troppo lenta rispetto alla velocità e alle necessità del capitale. Mentre le due temporalità divergono sempre più, un nuovo processo di sincronizzazione si profila nella nuova “rivoluzione dall’alto”, che trova la sua propria legittimazione nella crisi economica, nelle misure di austerità, e talvolta nella crisi della legittimità della stessa classe dirigente.

Questa dinamica non è nuova. Nella sua analisi del conflitto tra capitalismo e democrazia, Polanyi scrisse che “dentro e fuori l’Inghilterra, da Macaulay a Mises, da Spencer a Sumner, non c’era un militante liberale che non esprimesse la convinzione che la democrazia popolare fosse un pericolo per il capitalismo” (Polanyi 2001: 234). Oggi il capitalismo è diventato un pericolo per gli stati democratici che, da Mises e Sumner a Friedman, Thatcher e Reagan, sono ridotti alle loro basilari funzioni autoritarie per mantenere la legge e l’ordine [Nota 1].

L’attuale rivoluzione conservatrice aspira a ri-determinare le funzioni politiche della sovranità statale che, lungi dal declinare, sta semplicemente riconfigurando la sua autorità temporale nel capitalismo globale. La rivoluzione conservatrice è composta da differenti temporalità: la rapida temporalità della finanza, le reazioni della sinistra e della destra che contestano le banche e il loro potere plutocratico; la verticalizzazione e l’accelerazione delle decisioni politiche da parte di un governo tecnocratico nazionale e sovranazionale, e le contro-temporalità di coloro che sostengono un rafforzamento del processo democratico a detrimento della finanza e attraverso la partecipazione popolare; il trasferimento di specifiche funzioni della sovranità statale a un livello sovra-nazionale e le contro-temporalità di coloro che vogliono rafforzare la sovranità e il ruolo dello stato-nazione. Infine, la violenza degli stati con le loro misure di austerità si imbatte nelle contro-temporalità delle proteste anti-austerità. Il nostro compito è comprendere la situazione attuale come la superficie sulla quale diverse temporalità si stanno scontrando. La loro sincronizzazione in base al ritmo del mercato globale viene costantemente operata da forze economiche ed extra-economiche. Nel contesto odierno in cui l’accelerazione finanziaria delle organizzazioni for profit si scontra con i bisogni di lunga scadenza di accumulazione del capitale (Hope 2011: 97), gli orologi delle borse mondiali battono il tempo delle decisioni politiche, delle modifiche costituzionali e del ritmo di lavoro.

In questo contesto, la forza extra-economica e i poteri extra-statali stanno sincronizzando differenti temporalità mentre, contemporaneamente, stanno producendo differenziali di plus-valore che rendono possibile trasferire profitti da differenti aree del mondo e tra capitali con diverse composizioni organiche (Tomba 2009). Il processo è intrinsecamente contraddittorio. Il capitale esige diverse temporalità: la sincronizzazione non significa infatti omogenizzazione, è piuttosto la grammatica che regola la traduzione da una temporalità a un’altra, disciplinando, con la violenza economica ed extra-economica, confini, flussi di migranti e salari. Essa regola così trasferimenti di plus-valore in base al ritmo del tempo di lavoro socialmente necessario. In questo contesto, forme assolute di sfruttamento e nuove forme di schiavitù non sono dimensioni connesse con il sottosviluppo ma sono, invece, parte dell’attuale sviluppo. Esse devono essere costantemente prodotte e ri-prodotte per permettere la realizzazione di plus-valore straordinario.

Sul piano politico, il capitalismo globale è guidato da due forze apparentemente contraddittorie, che sono state ben espresse nei recenti dibattiti sulla sovranità. Da un lato, esso spinge verso una deterritorializzazione e un superamento della dimensione geografico spaziale dello stato-nazione. Dall’altro, il capitalismo necessita della sovranità per striare lo spazio e temporalizzarlo. In effetti, ciò di cui oggi il capitale globale abbisogna sono le funzioni più tipiche della sovranità, come la decisione rispetto a inclusione e esclusione. Ricordando che oggi esclusione significa esclusione dalla cittadinanza, dai servizi sociali, dai diritti civili, dalla sicurezza e dal lavoro garantito, ecc.

La “rivoluzione conservatrice” e la “rivoluzione dall’alto” sono oggi gli abiti politici della sincronizzazione. L’attuale demolizione della democrazia non è regressione a tempi passati; al contrario, essa rappresenta la configurazione più adeguata sia del capitale che dello stato nel mercato globale dopo il sconfitta dei movimenti dei lavoratori. Lo stato sociale e il processo decisionale democratico, essi stessi risultati delle lotte di classe, sono diventati costosi in termini di tempo ed efficienza.

Lo smantellamento dello stato sociale, specialmente in Europa, non sarebbe stato possibile senza la sconfitta delle lotte dei lavoratori negli ultimi quarant’anni e l’esito della Guerra Fredda – queste due vittorie resero i vincitori boriosi. Questo processo presenta due facce. Durante la Guerra Fredda le democrazie occidentali erano addobbate come vetrine scintillanti che sfoggiavano sia merci di lusso che democrazia. Nello stesso tempo, la classe lavoratrice agiva come un soggetto collettivo capace di imporre diritti e accordi collettivi in grado di introdurre un minimo principio di democrazia nelle fabbriche e nella vita comune della società. Come sottolineava Marshall: “Nel ventesimo secolo, cittadinanza e sistema di classe capitalistico sono stati in conflitto” (Marshall 2009: 153-4). I diritti sociali, così come i diritti civili e politici non sono l’esito di uno sviluppo giuridico necessario, ma una conquista che la classe lavoratrice fu in grado di imporre allo stato. Quest’anomalia virtuosa, in cui dei soggetti collettivi impongono accordi collettivi e diritti sociali, è ora terminata e il treno della modernità prende di nuovo il suo corso sui binari del contratto di lavoro individuale e della privatizzazione dei servizi pubblici.
Lo stato e il capitale non tollerano soggetti e diritti collettivi. Contro di essi hanno combattuto una guerra centenaria: di fronte allo stato sono ammessi solo individui con i loro propri diritti individuali, così come nella relazione capitalistica tra datore di lavoro e lavoratori. Pertanto il primo passo della nuova rivoluzione conservatrice consiste nella distruzione delle conquiste, sia materiali che simboliche della classe lavoratrice durante la seconda metà del diciannovesimo secolo, al fine di cancellare l’anomalia.

La dichiarazione di guerra contro la classe lavoratrice come soggetto collettivo pretende di imporre relazioni “normali” tra stato e società. In altre parole individui privati atomizzati devono affrontare capitali multinazionali da un alto e il monopolio del potere dello stato, dall’altro. In Occidente, la guerra iniziò nel 1981 quando Ronald Regan annientò lo sciopero della Professional Air Traffic Controllers Organization e proseguì con il fallimento dello sciopero dei minatori inglesi del 1984-85, ad opera di Margaret Thatcher. Il capitale globale trovò nuovi spazi da occupare temporalmente e spazialmente, e un nuovo capitolo della storia fu inaugurato. La sconfitta della classe lavoratrice e la fine della Guerra Fredda “stimolarono un chiassoso trionfalismo espresso in termini di fine della storia e che semplicemente ripeteva a pappagallo precedenti dichiarazioni della fine delle ideologie” (Harootunian 2007: 489-90). La nuova corrente comunemente chiamata politica neo-liberale diviene libera di affermarsi attraverso “privatizzazione senza limiti, ridimensionamento interminabile, esternalizzazioni, infinita appropriazione attraverso espropriazione, e la trasformazione della quotidianità in una temporalità giorno-per-giorno, un tempo senza alcun futuro.” (Harootunian 2007: 490). Ma questo è solo un lato della storia.

Gli anni Novanta videro anche l’inizio di nuove mobilitazioni globali. È difficile fissare date e luoghi. Nel 1992 le Nazioni Unite sponsorizzarono il Summit della Terra a Rio de Janeiro che divenne l’occasione per il Forum Mondiale delle ONG e dei movimenti sociali. Da quel momento le proteste di Seattle, i movimenti no-global, gli Indignati, Occupy e i movimenti anti-austerità hanno ininterrottamente occupato le piazze del mondo. Queste mobilitazioni globali al capitalismo mondiale esprimono una reazione contro la devastazione dell’ambiente, contro processi decisionali sempre più tecnocratici, contro il collasso istituzionale e politico delle relazioni sociali e contro le misure di austerità. Contro la sincronizzazione capitalista e i suoi effetti, recentemente “i lavoratori hanno sincronizzato le loro proteste in Europa”, come è accaduto ultimamente negli scioperi europei contro l’austerità (Minder 2012).

Per comprendere il campo di possibilità aperto da questi movimenti, dobbiamo capire il tipo di reazione che esprimono, e cosa sono o potrebbero essere, al di là della semplice forma di reazione del momento.

Il Ballo di San Vito della classe media

In particolare in Occidente le recenti proteste sono in gran parte l’espressione di una classe media ben più larga di ciò che essa rappresenta in termini solo economici. Anche una parte consistente di classe lavoratrice si autorappresenta in termini di classe media. Ed è inutile sottolineare quanto questa autorappresentazione abbia effetti reali. Caratteristica della classe media è la forma di reazione: reazione alla perdita di status sociale e declino del sogno democratico. Nel loro declassamento, gli atomi della classe media precipitano come gli atomi di Epicuro: il loro clinamen produce diverse configurazioni. Si possono leggere queste configurazioni come differenti temporalità che coesistono e divergono nello stesso presente.

Al fine di comprendere le proteste della classe media, dobbiamo considerarle nel contesto della composizione di classe di questi recenti sollevamenti. Il testo di Marx sul 18 Brumaio e lo scritto di Ernst Bloch Non-contemporaneità e inebriamento costituiscono due notevoli lezioni di storiografia delle temporalità conflittuali. Nell’analisi della situazione economico-politica della Germania nazional-socialista, Ernst Bloch mostrò come fu possibile che “una quantità eccezionalmente rilevante di materiali precapitalistici” (Bloch 1992: 91) fosse riattivata dalla depressione economica in forma di fantasmi. Questi fantasmi non sono meramente fantasmi del passato, piuttosto sono manifestazioni di diverse temporalità che coesistono nell’etere del presente. Se l’analisi dialettica di Bloch talvolta fa appello a un punto di vista storicista, ciò dipende in gran parte dal tentativo politico di intervenire, attraverso il partito comunista, nella guerra contro il fascismo. Comunque sia la sua comprensione del multiverso temporale è, nondimeno, estremamente utile. “L’esperienza dell’attualità non è la stessa per tutti”, (1992: 82) scrisse Bloch. Alcuni di loro esistono solo esternamente nel presente. Essi, oggi, possono essere visti, “ma ciò non vuol dire che essi vivano nello stesso tempo degli altri” (Bloch 1992: 82) Dopo la crisi economica, un “ceto medio impoverito vuole tornare all’anteguerra, quando le cose andavano meglio per lui” (Bloch 1992: 86). La loro miseria e insicurezza produssero “nostalgia per il passato in forma di impulso rivoluzionario” e ne scaturì un non-sincronismo che può manifestarsi in forze reazionarie o riattivare energie rivoluzionarie.

Il problema della classe media può essere immaginato come un conflitto nella determinazione di dimensioni non-sincrone. “Elementi inattuali” (Bloch 1992: 91) stanno producendo e sono prodotti nel caos relativo che può spingere verso destra strati sociali, classi e interi paesi che non sono sincronizzati. Essi sono in ritardo, ma non perché appartengono al passato; infatti, sono presenti.

Nella recente crisi, una classe media occidentale terrorizzata punta a un ritorno alle precedenti condizioni di vita. In Europa, una parte della classe media sogna di ritornare alle condizioni pre-euro e alla loro valuta nazionale. Condanna l’eccessivo potere delle banche e le loro commissioni nascoste e brama il ritorno all’età delle botteghe nelle quali le relazioni umane tra commercianti e consumatori erano ancora possibili. Non essendo in grado di trascendere la società capitalista, la classe media punta alla trascendenza nei centri yoga della 5th Avenue e ricerca nelle mode dei movimenti new age una compensazione della sconfitta della moderna razionalità occidentale. Anche in questa reazione c’è un elemento di verità: in realtà, l’abilità degli economisti di fare previsioni è paragonabile a quella degli astrologi. Dai quali i politici accolgono spesso suggerimenti.

Le classi medie sono spaventate e la loro paura produce fantasmi. E’ possibile testare il grado di realtà di questi fantasmi attraverso gli effetti reali che producono. Sono parte dei movimenti e dei partiti di destra che, addirittura quando contestano l’eccessivo potere del governo, accelerano il processo di sincronizzazione e di verticalizzazione e concentrazione del potere attraverso la mobilitazione di parti della società non-sincrone.

Inoltre, come detto, nelle odierne società occidentali, la classe media non sta semplicemente nel mezzo. Una parte considerevole dei proletari si autorappresentano come classe media. E questa autorappresentazione ha delle conseguenze oggettive e soggettive: oggettivamente, è il risultato della crescita dello standard di vita che la classe lavoratrice raggiunse attraverso le lotte durante la seconda metà del XX secolo; soggettivamente, i proletari si riconoscono più come consumatori che come produttori.

Le classi medie in declino presentano un intero spettro di conflitti. Diventano razzisti come duplice reazione al bisogno di comunità e tentativo di imporre una nuova distribuzione delle scarse risorse secondo criteri che favoriscano i nativi. Contemporaneamente, c’è anche un conflitto generazionale all’interno della classe media: se il fantasma del desiderio del passato spinge le generazioni più vecchie verso la destra, le prospettiva senza futuro della nuova generazione spinge verso la ribellione per un differente tipo di vita. La gioventù reagisce contro il loro declassamento e contro la condizione vuota dell’essere giovani e atomizzati. Mente le generazioni più anziane rimpiangono le passate e più autentiche relazioni umane, i giovani stanno cercando una nuova umanità e relazioni più autentiche. Ciò che spinge gli uni verso i movimenti e i partiti di destra non è molto dissimile da ciò che spinge gli altri nelle piazze. “Salta agli occhi il carattere relativamente più vitale e completo delle relazioni tra gli uomini di un tempo. Esse erano ancora relativamente più immediate delle relazioni del capitalismo” (Bloch 1992: 96). Il punto più importante che Ernst Bloch sottolineava nella sua analisi del fascismo è che il carattere immediato delle forme più antiche delle relazioni tra gli uomini “nella sua relatività, in ogni caso, non serve solo a opporre in maniera puramente reazionaria il passato, che sarebbe ancora autenticamente vitale, al presente; esso fornisce anche a tratti, in positivo, una parte di quella materia che cerca di ripristinare una vita non distrutta dal capitale” (Bloch 1992: 96-97).

Per riassumere, la ribellione contro il presente si è riempita di fantasmi di temporalità non sincrone i cui contenuti e forme sono espressione di un problema più antico. La caduta della classe media incrementa la temperatura emotiva della società, cosicché, in tempi di crisi, le forze mitologiche riacquistano il loro potere originario. Il fascino della New age, l’Oriente, l’astrologia, il ripristino di una relazione originaria con la Madre Terra, o Gaia, introduce in un presente non-sincrono altre temporalità che mescolano forme utopiche con tendenze pseudo-restauratrici. Il mito di precedenti stati originari di paradisiaca beatitudine sopravvive nell’aorgica pretesa di fusione con la natura in cui una nuova vita diventerebbe possibile. La sinistra credeva di aver addomesticato queste oscure forze con le luci dell’Illuminismo, ma poi si ritrovò preda del fascismo.

La rivolta della classe media è come il ballo di San Vito. Il suo orientamento non è chiaro. Questo perché le sue inquietudini hanno luogo tra diverse temporalità nel contesto di un presente astorico. Questa fantasmagoria è tipica del capitalismo quando esso si presenta come un mondo di consumatori e prodotti senza tracce di memoria della loro produzione. Questo inganno è oggettivo: dal punto di vista della circolazione, le relazioni capitalistiche assumono l’aspetto di un “feticcio”, tale che in questa forma non “sussista più nessuna traccia dell’origine” del valore (Marx 1980: 53), che sembra così prodotto nell’ambito della circolazione, addirittura attraverso qualsiasi forma e tipo di attività. La rimozione dei “laboratori della produzione” è così radicale che perfino alcuni gruppi della sinistra radicale hanno cantato la canzone della fine del lavoro o il motivetto della fine della legge del valore. Quei “segreti laboratori della produzione” (Marx 1980: 208) sono stati in parte trasferiti in altre parti del mondo e, in tal modo, sostanzialmente cancellati dall’immaginario occidentale. Nell’oblio della produzione, i prodotti appaiono nella circolazione senza tracce del processo di produzione. Le ombre della produzione non seguono il prodotto. E diventano autonomi fantasmi, come nello Peter Schlemihl di Chamisso. Nell’impero del valore di scambio, la fantasmagoria è “la struttura nella quale il valore d’uso svanisce sullo sfondo” (Benjamin 2002: 7) e il valore di scambio diventa esso stesso valore d’uso. Il consumo compulsivo esprime l’impossibilità della merce di soddisfare i bisogni in quanto l’oggetto acquistato è, soprattutto, un valore di scambio. L’esperienza collassa o diviene indifferente e senza qualità in quanto riguarda valori di scambio indifferenti ai loro portatori. Gli individui vogliono essere stimolati, necessitano di essere distratti per compensare la loro povertà d’esperienza. E, naturalmente, ottengono ciò che cercano. Possono godersi interminabili happy hours nelle gigantesche Disneyland della metropoli occidentale.

L’imperativo “buy it now” rovescia il momento dell’ora in un assoluto. È un presente senza storia e memoria in cui le forme storiche della modernità capitalistica si naturalizzano. La sola via per immaginare il superamento di un presente astorico è attraverso dei disastri geologici. Nella moda dei film e dei romanzi apocalittici, la gente va cercando il cambiamento che non è più in grado di pensare. Nella fantasmagoria del presente astorico ogni cosa è ben organizzata e scorre. Ma senza vita. 

Memoria del futuro

“Es gibt kein richtiges Leben im falschen.” (Adorno 1974: 39) Una possibile traduzione di questa affermazione di Adorno potrebbe essere: “Non c’è una vita giusta nella falsa”. Il punto riguarda l’antica questione teologica della possibilità di una vita giusta in un mondo sbagliato. La sentenza di Adorno non esprime un pessimismo rassegnato sulla possibilità di una vita giusta, piuttosto presenta la vera questione teologica-politica della giustizia. La difficile questione della “vita giusta” ha senso solo in relazione all’idea di giustizia. Ma la giustizia non è qualcosa che si può realizzare secondo la relazione a un fine, perché non è possibile giustificare la nostra prassi attuale attraverso gli scopi che intendiamo realizzare. Il socialismo realizzato seguì questa logica attraverso i gulag e, oggi, la stessa logica si compie ancora quando lo stato bombarda per esportare la democrazia e difendere i diritti umani. Il futuro anteriore è la temporalità di questa logica: la violazione della legge è giustificata per realizzare un nuovo ordinamento globale nel quale le precedenti violazioni della legge saranno legittimate. Questa è la temporalità delle politiche sia dello stato che dei “rivoluzionari”. Kant aveva già sottolineato l’intrinseca contraddizione di questa temporalità quando scrisse che i rivoluzionari saranno legittimati solo nel momento in cui condurranno a termine la realizzazione di una nuova costituzione (Kant 1991: 82). Perseguire la logica temporale del futuro anteriore può solo produrre un’escalation militare che non è in grado di andare al di là dell’orizzonte dello stato. Una nuova temporalità politica deve essere pensata.

Il documento greco, “Principi e tesi di democrazia diretta” discusso e votato il 3 settembre 2011 in piazza Syntagma ad Atene si conclude con le seguenti parole: “Vogliamo tutto per tutti”. Ovviamente, volere tutto è come non volere nulla. Ciò che la sentenza dichiara è piuttosto una distanza. Il suo significato è: “Non vogliamo nulla che tu, stato o capitale, puoi darci”.  Ciò che viene qui espresso è il bisogno umano di un genere diverso di relazioni sociali, nelle quali “l’essere umano non può essere un mezzo né l’ecosistema può essere pensato come inesauribile e consumabile.”[Nota 2]

Questo nuovo inizio è assai diverso dalle tre domande poste da Sieyès all’inizio del suo pamphlet, What is the Third State?: “1) Che cos’è il terzo stato? Tutto. 2) Cosa, fino a ora, è stato nell’ordine politico esistente? Niente. 3) Cosa vorrebbe essere? Qualcosa.” (Sieyès 2003: 94) Conosciamo il risultato. Attraverso il meccanismo di rappresentazione, il terzo stato diventa il popolo, il soggetto politico in nome del quale il governo rappresentativo agisce. Diviene cioè più di qualcosa; dà origine al popolo-nazione, che nella sua unità e totalità diventa il soggetto politico assoluto della modernità.

Lungi dall’essere una totalità o anche solo una maggioranza numerica, il “99 per cento” esprime la parzialità che non incarna né “la vera volonté générale” né rappresenta “il 99 per cento”. Il 99% esprime la parzialità alla quale partecipiamo e per la quale esprimiamo “vero entusiasmo”, perché in essa si esprime l’universalità di un’idea (Kant 1991: 182). L’entusiasmo autentico si manifesta dalla presenza reale di una parte che è più universale del tutto. Questo miracolo politico è possibile quando la prassi politica è orientata al di là degli “interessi personali” verso un’idea di giustizia. Secondo Badiou, i recenti tumulti sono segnali di un risveglio della Storia e mostrano “il nuovo aspetto dell’organizzazione e da qui della politica” (Badiou 2012: 42). Badiou concepisce la piazza pubblica come lo spazio della “presentazione reale”, lo spazio della “restituzione all’esistenza dell’inesistente”, della gente che agisce assieme (Badiou 2012: 56, 93). Questo è vero. Ma non è sufficiente. La questione concerne l’universalità di una parte. In altre parole, riguarda lo sbocco politico di un universalismo partigiano. La natura inclusiva e universale dell’evento non dipende dalle scelte individuali dei partecipanti, ma dal dis-ordine dell’ordine esistente e della divisione gerarchica della società. Poiché la divisione della società in oppressi e oppressori è considerata ingiusta, gli individui della classe media possono prendere parte agli scioperi della classe lavoratrice proprio come i militanti bianchi possono prendere parte al Black Liberation Army. La questione riguarda cosa è giusto nel nostro essere assieme ed è basato su qualcosa che trascende la divisione esistente tra le parti (Rancière 2004) e che permette di mettere in questione l’intero ordine.

Eppure nemmeno questo è sufficiente. La giustizia è un’idea la cui realizzazione non è possibile. E ancor meno auspicabile. In pratica, essa è ciò che permette di aprire continuamente  nuove possibilità dello  stare assieme. Gli eventi sono anticipazioni di nuove relazioni umane. Perciò la rivendicazione per una reale democrazia può essere molto seria. Ma la vera questione è e resta: cosa intendiamo per “democrazia”? Le anticipazioni di nuovi tipi di relazioni sociali sembrano essere esperimenti preziosi all’interno di questi movimenti. La loro critica della democrazia rappresentativa può dischiudere nuove possibilità dell’essere assieme. Ma queste richieste richiedono concretezza. Infatti, non siamo assieme solo in una piazza o in un’assemblea. Siamo assieme ogni giorno con altre persone con le quali non decidiamo di stare assieme, come a scuola o sul luogo di lavoro. Possiamo essere in grado di scegliere la scuola e qualche volta anche il lavoro, ma non scegliamo il nostro capo e i colleghi.

Così, se la gioventù scesa in piazza sta reagendo contro una condizione generale di atomizzazione e contro un futuro ostacolato, quegli stessi giovani sono anche giovani lavoratori che lavorano molte ore per un salario misero e nessun diritto, se e quando hanno un lavoro. Durante un congresso di un noto sindacato italiano, un anziano lavoratore disse che non c’è per nulla democrazia se non c’è democrazia nel luogo di lavoro. La democrazia non è niente se il tuo corpo e la tua anima sono consumati in un luogo di lavoro malsano e il tuo capo può gridarti addosso come e quando gli pare e può licenziarti. Quando il capitale compra la forza-lavoro, compra anche la vita del lavoratore. Se la prima relazione è giuridicamente simmetrica, l’ultima è necessariamente asimmetrica. Marx mostrò quell’asimmetria che Hegel non era stato in grado di vedere e la mise al centro della sua analisi (Hegel 2001: § 67; Marx 1980: 201). Facendo ciò svelò quel che il giuridico vela. Questa asimmetria, basata sui rapporti di proprietà, non riguarda solo le relazioni di potere o le condizioni salariali inique, piuttosto essa è l’area di una ferita che non può essere rimarginata nelle condizioni esistenti. Se il salario sembra retribuire un determinato numero di ore di prestazione di energia psico-fisica umana, esso non retribuisce, tuttavia, il consumo globale dei corpi dei lavoratori, comprese le loro menti e anime, così come non si può retribuire la conoscenza endogena alla classe, che è espropriata dai lavoratori, incorporata nel capitale costante e contrapposta ai lavoratori (Tomba 2013: 127).

Questo è il terreno di prova della democrazia. Qui le tre vecchie questioni di Sieyès lasciano il posto alle tre questioni del comunismo: Cosa dobbiamo produrre? Di quanti prodotti abbiamo bisogno? Com’è la qualità delle relazioni lavorative? Le domande di Sieyès sono quelle della società civile. Le domande comuniste riguardano la produzione e la parte che è coinvolta in essi. Non c’è un terreno comune tra le due prospettive. Questa è la ragione per cui, nella crisi, la classe media non può stare nel mezzo.

La rivendicazione di nuove forme di relazione resta astratta se non intercetta la specifica relazione asimmetrica che caratterizza la produzione capitalistica. Tirare il freno d’emergenza non ha senso se non si tratta del freno del continuum storico della modernità capitalistica. Poiché uno “stipendio giusto” non è possibile all’interno del modo di produzione capitalistico, “giusta” può essere solo l’interruzione della relazione-salariale e quindi del continuum della “guerra civile” tra classi, che è la configurazione capitalistica della contrapposizione tra oppressi e oppressori.

Anticipare nuove forme di relazione significa mettere in discussione le relazioni lavorative quotidiane e il valore d’uso intrinsecamente capitalistico dei macchinari e della tecnologia. Ma significa anche che non è permesso giustificare la prassi come mezzo per la realizzazione di un fine. Compito politico di una nuova politica non può essere quello di essere mezzo alla realizzazione di un fine, ma piuttosto quello di metter fine alla relazione mezzi-fini e alla sua temporalità. E’ questa la temporalità dell’anticipazione.[Nota 3Questo compito tiene assieme etica e politica facendosi carico del cambiamento qualitativo delle relazioni.[Nota 4]. Sviluppare la democrazia al di là della sua attuale forma politica ha senso solo nella dimensione etica dell’anticipazione, una dimensione che riguarda sia la vita pubblica che privata dell’individuo. Il cambiamento reale non è nulla se gli individui non vanno al di là della distinzione tra pubblico e privato e se non superano se stessi nelle loro relazioni per diventare ciò che è anticipato. Altrimenti continuano a proiettare fuori di sé, magari anche con frasi e slogan roboanti, il cambiamento che evitano di fare in loro stessi.

Durante la Rivoluzione di Luglio in Francia, ricordava Benjamin, i rivoluzionari spararono contro gli orologi sui campanili delle chiese. Esprimevano così il bisogno di fermare il tempo per iniziare un tempo storico completamente nuovo. Analogamente la rivoluzione Spartachista nei suoi primi quindici giorni “cambiò l’esperienza del tempo”, interruppe il tempo storico classico e fondò un nuovo tempo in cui “tutto ciò che avveniva – con estrema rapidità – sembrava avvenire per sempre” (Jesi 2000: 20). Sparare agli orologi della borsa mondiale potrebbe significare oggi arrestare la loro temporalità per esprimere quelle che sono anticipate nelle nuove forme dello stare assieme. Questa possibilità è presente negli odierni movimenti e può dischiudere nuove temporalità che sono incapsulate nella modernità se solo fossero in grado di attraversare la soglia sulla quale è scritto “No admittance except on business”.

NOTE

L’elaborazione di questo saggio deve molto alle discussioni con e  colleghi e gli amici del seminario “Temporalities”, organizzato dal Committee on Globalization and Social Change presso la City University of New York  (CUNY). A tutti loro vanno i miei più cari e sinceri ringraziamenti. Così, se la responsabilità è mia, il risultato riflette un’esperienza e un impegno collettivi.

[1] Cfr. Harvey 2005: 29, 81, 195. Sull’analisi di Polanyi del conflitto tra capitalismo e democrazia: Dale 2008. Secondo Wendy Brown “la democrazia liberale non può essere sottomessa alla governamentalità politica del neoliberismo e sopravvivere”: Brown 2005: 46.

[2] http://takethesquare.net/2011/10/13/syntagma-release-on-directdemocracy-globalchange/

[3] Rosenzweig 2005: 236. “Senza questa anticipazione”, sottolineata da Rosenzweig, “l’istante non è eterno, bensì è qualcosa che si trascina perennemente oltre sulla lunga strada maestra del tempo”.

[4] Un possibile esempio è l’horizontalidad che è espressa nei movimenti in Argentina una “forma di processo decisionale diretta che rigetta la gerarchia e lavora come un processo in corso, provando a introdurre nuove relazioni sociali” (Sitrin 2012)

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N.B. Il presente saggio è la versione modificata di un articolo pubblicato in “South Atlantic Quarterly,” 113:2 (2014)

tysm literary review, Vol 2, No. 4 – april 2013

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