philosophy and social criticism

Tocqueville, il liberalismo a Algeri

Simone Paliaga

Domenico Letterio, Tocqueville ad Algeri, Il Mulino, Bologna 2011.

Quando ai primi di maggio del 1841 la nave avvista le coste africane l’emozione ritempra le idee di Alexis de Tocqueville, uno dei padri del liberalismo conservatore. Sono passati più di dieci anni dacché le truppe francesi sono sbarcate sul suolo algerino mentre il battello si avvicina alla costa. I contorni dell’abitato di Algeri cominciano a spuntare all’orizzonte e i pensieri del politico normanno iniziano a correre, convinto che “esportare civiltà e democrazia” sia possibile. Il destino della democrazia, per lui, d’altronde non coincide mai con quello della libertà, soprattutto quando è in gioco l’interesse francese e la conquista coloniale. È questo, un aspetto del suo pensiero spesso lasciato sullo sfondo.

Leggere La democrazia in America o l’incompleto La Rivoluzione e l’Ancien Régime gratifica le anime belle più che conoscere il Tocqueville teorico del colonialismo. In due lettere, vari discorsi sugli affari esteri della Francia, due viaggi, due rapporti ufficiali presentati nel 1847 alla Camera dei deputati e in note e appunti sparsi nei suoi epistolari, il pensatore liberale teorizza l’espansione francese in Nord Africa, come ci racconta Domenico Letterio.
Il 31 gennaio del 1830 Carlo X decide l’occupazione dell’Algeria per vendicare un’offesa inflitta al console francese da parte del dey Hussein e debellare la pirateria che imperversa su quei mari. Ma è solo un pretesto per incipriare una monarchia ormai allo sbando e ostacolare l’egemonia inglese sul Mediterraneo. L’abbandono dell’Algeria per la Francia significherebbe decadenza. «Qualunque popolo – scrive Tocqueville – che si ritiri spontaneamente all’interno dei suoi antichi confini proclama che i bei tempi della sua storia sono passati. Esso entra con ogni evidenza nella fase del suo declino».
L’impresa coloniale della patria dei Lumi non procede con belletti e dichiarazioni di diritti ma cammina sulla punta delle baionette. «Ho spesso sentito in Francia ritenere criminale che si brucino i raccolti, che si vuotino i silos, che ci si impadronisca degli uomini disarmati, delle donne e dei bambini. Queste a mio parere sono delle necessità spiacevoli, ma alle quali ogni popolo che voglia fare la guerra agli arabi è obbligato a sottomettersi». E ancora: «Credo che il diritto di guerra ci autorizzi a devastare il paese, e che lo dobbiamo fare sia distruggendo le messi al momento del raccolto, sia facendo quelle rapide incursioni cui viene dato il nome di razzie, il cui obiettivo è quello è di impadronirsi degli uomini o del bestiame».
D’altronde non è possibile nulla di diverso verso “razze” non progredite che avrebbero potuto ispirare l’immagine del buon selvaggio. «Se Rousseau avesse conosciuto i Cabili avrebbe cercato nell’Atlante i suoi modelli. Lì avrebbe trovato uomini liberi quanto l’individuo isolato che gode della sua selvaggia indipendenza; felici della loro condizione». L’arretratezza però non dipende da limiti razziali ma dalla diffusione dell’Islam. «Tutti gli atti della vita civile e politica – scrive Tocqueville – si basano sulla legge religiosa. Tale confusione tra i due domini è causa del dispotismo e dell’immobilità sociale che ha sempre contraddistinto le nazioni musulmane e che le ha fatte soccombere alle nazioni che hanno adottato il sistema opposto» e tutto per colpa di «Maometto, che ha esercitato un’influenza più nociva che salutare».
Prima di lanciarsi in simili dichiarazioni Tocqueville si dedica allo studio del Corano per conoscere il popolo da colonizzare. Passo indispensabile per «tornare ai nostri usi e francesizzare il paese intorno a noi». L’obiettivo dell’operazione coloniale non è dunque solo la conquista del territorio ma metterlo a frutto. E «finché non avremo una popolazione europea in Algeria e saremo accampati sulla costa africana» sarà impossibile. Occorre pertanto incoraggiare l’arrivo di coloni e allontanare dalle loro terre gli arabi e i berberi. Critico in linea di principio nei confronti della deportazione Tocqueville era invece favorevole a concentrare gli algerini in pochi villaggi per liberare una gran quantità di terreni e metterli a disposizione dei francesi. «In genere sono contrario alle misure violente che di solito mi paiono tanto inefficaci quanto ingiuste. Ma qui occorre riconoscere che non è possibile trarre vantaggio del suolo che circonda Algeri se non per mezzo di simili misure».
Certo, se dal suo viaggio negli Stati Uniti Tocqueville impara che l’uguaglianza tra gli uomini è un esito inevitabile delle istituzioni moderne, dalla permanenza in Algeria scopre che in realtà questo è un principio che comporta numerose eccezioni soprattutto qualora siano in gioco gli interessi della Francia: «non v’è alcuna utilità né abbiamo alcun dovere di lasciare che i nostri sudditi musulmani si facciano un’idea esagerata della loro importanza, né si debbano persuadere che noi siamo obbligati a trattarli in qualunque circostanza come se fossero nostri concittadini e nostri eguali». Lezioni di liberalismo.

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ISSN:2037-0857