philosophy and social criticism

Un camice bianco per la bonifica umana

Francesco Paolella

Francesco Migliorino (a cura di), Scarti di umanità. Riflessioni su razzismo e antisemitismo, Il melangolo, Genova 2010.

Non bisogna cacciare indietro i fantasmi del passato, e in primo luogo quelli legati alla violenza dei razzismi di Stato nel Novecento. Come scrive Francesco Migliorino, curatore di questo libro, è ancora oggi più che mai necessario applicarsi in un paziente «esercizio di memoria» su quelle persecuzioni, evitando ogni comoda commemorazione. Volendo riprendere quanto scritto da David Bidussa in un recente volume (Dopo l’ultimo testimone, Einaudi), occorre rifuggire una esposizione solo emozionale e retorica dell’antisemitismo e della Shoah, trattandosi invece di affrontare tutte le ambiguità ancora irrisolte e di far emergere i diversi livelli di coinvolgimento (anche sul piano ideologico e culturale).

Il libro è l’esito di una ricerca corale e interdisciplinare da cui emerge quanto sia stato determinante l’apporto di saperi solo apparentemente neutrali e oggettivi nel preparare il terreno alle forme violente di esclusione sociale (e poi di eliminazione fisica). Non è tuttavia possibile limitarsi ad argomenti quali la diligenza o la acquiescenza di scienziati, tecnici e burocrati, per spiegare il loro coinvolgimento nelle politiche razziste e antisemite durante il nazi-fascismo. L’idea di isolare e «scartare» le «vite indegne di essere vissute» non è stata una peculiarità nazista. Da diversi saggi emergono infatti le origini ottocentesche dei dispositivi disciplinari volti a governare la popolazione, prendendone in carico la vita, la salute, e cercando di individuare scientificamente gli individui e i gruppi «pericolosi» per la società, e considerati poi fattori di inquinamento razziale. I medici nell’Italia fascista sono stati protagonisti di un progetto di «bonifica umana», che ha trovato nelle politiche del regime la concretizzazione di idee e progetti ben più antichi e radicati fra gli studiosi di demografia ed eugenetica. Bonificare la popolazione significava mettere in pratica un modello differenziale di classificazione, per catalogare, secondo gradi di normalità (statistica), gli individui dal punto di vista fisico, psichico e morale. Il saggio di Migliorino si concentra sul caso dei manicomi criminali, veri «policlinici della delinquenza», in cui è stata messa in campo una macchina per «sterilizzare il materiale settico», rappresentato dagli internati. Una «depurazione» che si accompagnava in Italia a misure per incrementare la popolazione. David Bidussa, discutendo della questione demografica in Italia a partire dal Settecento, mostra come già dalla metà del XIX secolo sia emersa una politica natalista, che Mussolini, con il celebre «Discorso dell’Ascensione» del 1927, non farà che rilanciare.

Mauro Bertani, partendo da una questione posta da Foucault, studia la reazione della psicoanalisi con il nazi-fascismo e il razzismo, in un contesto in cui i saperi medico-psichiatrici hanno contribuito a creare una retorica scientifica e una sterminata raccolta di stereotipi, indispensabili affinché in tante parti d’Europa si affermasse l’antisemitismo. Si trattava di un ambizioso progetto di «profilassi conservatrice», che aveva proprio nei manicomi i centri fondamentali, anche dal punto di vista simbolico. Da decenni si assisteva poi alla medicalizzazione di quelle manifestazioni psichiche che si consideravano proprie della «razza ebraica» (la predisposizione al nomadismo, all’instabilità, all’isteria). Di fronte a tutto ciò, la psicoanalisi ha rappresentato una contestazione radicale: «Freud ha liberato uno spazio in cui diventerà possibile demistificare le strutture, discorsive ed istituzionali, del sapere psichiatrico».

Un altro tema trasversale nel libro è la relazione fra razzismo e antisemitismo. Sono in ultima analisi identificabili? Per Francesco Germinario c’è una differenza fondamentale: pur condividendo il progetto di una differenziazione gerarchica fra le persone, il razzismo ha convissuto con l’ideologia liberale, mentre l’antisemitismo si è sempre presentato come antiliberale e antiborghese. Il razzismo è stato uno strumento efficace per fissare naturalisticamente e gerarchizzare le differenze (si pensi al problema delle colonie): l’egualitarismo liberale non avrebbe mai potuto essere esteso alle razze inferiori (dominate), essendo la civiltà a loro naturalmente estranea. Per l’antisemitismo l’ebreo rappresentava la sintesi dei valori moderni: diritti, democrazia, e poi comunismo. Il razzismo si rivolgeva alle periferie (degli Stati), mentre l’antisemitismo criticava, per sovvertirlo, il centro stesso, mosso da una insoddisfazione profonda per l’esistente. L’antisemita accettava la logica gerarchica, ma ribaltandola: «Gli ebrei stanno ai francesi come i francesi stanno ai negri», essendo l’Europa stessa una colonia del dominio ebraico.

La seconda parte del volume è dedicata alle applicazioni dell’antisemitismo di Stato: se Pietro Nastasi e Angelo Guerraggio ricostruiscono le conseguenze delle leggi antiebraiche nel mondo scientifico italiano (sottolineando il silenzio generale verso la «pulizia» dalla presenza dei colleghi ebrei), Ernesto De Cristofaro riprende i temi trattati in un suo importante lavoro (Codice della persecuzione, Giappicchelli), dedicato al confronto fra politiche razziste in Italia e in Germania. L’antisemitismo ha inevitabilmente coinvolto, fino a stravolgerlo, il diritto italiano: ad esempio, nel diritto penale ha ripreso forza l’idea della predisposizione alla devianza e al crimine di alcuni gruppi (in primis alcune razze): l’ebreo come nemico interno, come alterità pericolosa. Non possiamo trascurare, in questo senso, il saggio a firma di Roberto Finelli, che riprende da una prospettiva filosofica le nozioni di identità, negazione e alterità: la Shoah può essere considerata, pur senza assolutizzare una sola chiave di lettura, come «l’espressione più esplicita di quanto un’identità bloccata e impedita nell’accesso alle parti più emotive, più morbide e bisognevoli del proprio Sé (…) possa volgere tale struttura interiore di terrore e dominio in un terrorismo esterno, avendo proiettato e collocato nell’altro il fondo negativo della propria identità».

[da il manifesto, 17 novembre 2010]

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