philosophy and social criticism

Effetti collaterali dell’amore quando finisce

Giulia Zoppi

Rivka Galchen, Effetti collaterali dell’amore quando finisce, traduzione di Anna Rusconi, Piemme, Milano 2010.

Uscito in Italia a due anni di distanza dopo un successo di critica e di vendite decisamente lusinghiero negli Stati Uniti, questo romanzo è il debutto di una scrittrice che farà ancora parlare molto di sé.

Spiace che la traduzione del titolo ammicchi al lettore di quella che un tempo, si sarebbe chiamata “narrativa rosa,” o altro, perché l’originale Atmospheric Disturbances, tradotto alla lettera, sarebbe stato più attendibile e soprattutto meno equivoco.

Ci sono alcune premesse d’obbligo da valutare prima di accennare alla trama di questo thriller psico-emozionale: Rivka Galchen ha 34 anni, canadese di nascita, è cresciuta negli Usa, a Norman (Oklahoma), ha una laurea in medicina, una specializzazione in psichiatria e da qualche tempo insegna scrittura creativa alla Columbia University di New York. È figlia di un meteorologo (Tzvi Gal-Chen) e di un’informatica che lavorava presso il “National Sever Storms Laboratory”. La Galchen, prima di debuttare con questo romanzo, aveva al suo attivo prestigiose collaborazioni con il New Yorker , l’Harper’s Magazine, il New York Times e il Believer.

La trama, intricata e destinata a un crescendo impegnativo, quanto pieno di suspense, narra la storia di uno psichiatra di mezza età Leo Liebestein, che un giorno si accorge che la giovane moglie argentina che lavora in ospedale come traduttrice è stata sostituita da una sosia che le assomiglia in tutto e per tutto (salvo per alcuni piccoli ma decisivi particolari) ma non è lei. Indizio numero uno: Rema, la moglie, non avrebbe mai comprato un cane, men che meno color ruggine!

Ma non è che l’inizio. Dapprima con ironia (la Galchen gioca con estrema maestria su piani linguistici differenti, tra cui spicca per efficacia un umorismo cinico alla Woody Allen, che rende il tutto paradossalmente divertente), poi sempre più ossessivamente, Leo, suffragato dal suggerimento di Rema (non quella “vera” bensì, come Leo insiste lungo tutto il libro: il simulacro, il doppelgänger, l’impostora, la simil Rema e via delirando) che suggerendogli una strada per aiutare un paziente schizofrenico, Harvey, convinto di essere membro della Royal Academy of Metereology e solito alla fuga, si immerge in un stato di trance spazio temporale, in cui vaga nell’ossessiva ricerca della Rema autentica, con esiti paranoici difficili da descrivere, ma decisamente originali e funzionali al racconto.

Succede che Rema, proprio per uno scherzo amoroso con il marito, introduca in famiglia la fotografia di un noto metereologo (Tzvi Gal-Chen, il vero padre della scrittrice) ritratto con moglie e figli (la Galchen stessa, sua madre e suo fratello) per costruire intorno a quel ritratto una narrazione fantastica che giustifichi la sua idea di terapia per Harvey, innescando da quel momento un sintomo disfunzionale nel marito che lo induce progressivamente e senza scampo, a percorrere un intricatissimo viaggio alla ricerca della moglie autentica (scomparsa? Rapita? Defunta?) sotto le mentite spoglie di un metereologo, per giungere in Argentina, così come indicato da uno studio sulla “metodologia per il calcolo di temperatura, pressione, velocità verticali, a partire da rilevazioni con radar Doppler” che altro non sarebbe che la meteorologia applicata alla ricerca della verità sulla moglie scomparsa. La Galchen ha dichiarato che il suo amore per la scienza, il cui linguaggio è inapplicato nella tradizione narrativa, è un debito verso scrittori come Primo Levi, chimico e romanziere, ma ha una funzione preminentemente spiazzante, dal momento che Leo, novello metereologo, comincia a fare uso di una fraseologia fin lì sconosciuta, per descrivere “in altre parole” il cambiamento spazio temporale in cui cade alla ricerca di una risposta che ha il suo senso solo su un piano prettamente emotivo (ovvero il sentimento di abbandono per la perdita di Rema). Quel che accade ha il sapore di un thriller dai contorni fantastici e inesplicabili e, solo dopo una visita in Patagonia, insieme ad Harvey, una sua spiegazione. Leo in quanto psichiatra sa che la sua non è follia, quanto l’accadimento di qualcosa di eccezionale che lo ha inevitabilmente cambiato, così come ha cambiato la moglie che non è più veramente lei, ma un volgare “doppio”, messo lì per introdurlo ad un’esistenza suppletiva.atmosphericdist-041808

Galchen ha dichiarato che è solo perché non riusciamo ad accettare i cambiamenti che avvengono all’interno dei rapporti di coppia, che si comincia a parlarne come se fossero dei tradimenti e quindi a viverli come una sconfitta. Leo in effetti si allontana da Rema solo perché ella comincia ad amare improvvisamente i cani color ruggine (e chissà cos’altro ancora) e si convince dell’esistenza di una moglie odiosamente surrogata, proprio per non adeguarsi. Ora Rema e Leo sono diventati due solitudini che si cercano senza trovarsi. L’eco del doppio borgesiano è fin troppo evidente (l’Argentina e il suo inconscio: la Patagonia), Kakfa e Proust , ma soprattutto Pynchon con il suo The Crying of Lot 49 (nel romanzo della Galchen  si fa cenno ai “49 Quantum Fathers” di Harvey, ovvero la confraternita segreta che ha il controllo sulla mesosfera) sono i referenti narrativi su cui la critica statunitense ha maggiormente insistito nel parlare di questa opera prima. Si è accennato persino a una dichiarazione d’amore in forma di libro verso il padre Tzvi, probabilmente simbolo di una stabilità emotiva che l’autrice stentava a trovare. Di certo si sa che l’amore quando compare è deflagrante, ma quando finisce fa scoppiare temporali che sembrano uragani.