philosophy and social criticism

Radio Montaigne

"Montaigne Compagnon"

di Francesco Paolella

Nota su Antoine Compagnon, Un’estate con Montaigne, trad. di Giuseppe Girimonti Greco e Lorenza Di Lella, Adelphi, Milano 2014.

 

Montaigne dalla sua torre-biblioteca guarda giù, guarda gli uomini, e non sa bene che pensare, li compatisce, esita, ride.

Questo santino dell’eroe scettico del Rinascimento è nella mente di chi ha avuto a che fare con i Saggi. Antoine Compagnon, del Collège de France, ha cercato (e ricavandone un notevole successo) di smontare, per arricchirla, questa immagine tradizionale di Montaigne. Nell’estate di due anni fa, Antoine Compagnon ha tenuto un programma radiofonico per France Inter, tutti i giorni verso l’ora di pranzo, raccontando qualcosa di Montaigne, del suo mondo, delle sue passioni, delle sue contraddizioni. Compagnon ha cercato di evitare la selezione di semplici sentenze estratte dai Saggi:

«Ridurre Montaigne a una serie di estratti era assolutamente contrario a tutto ciò che mi era stato insegnato, alla concezione dominante negli anni in cui ero studente. All’epoca di stigmatizzava la cattiva abitudine di ricavare dai Saggi una morale di stampo tradizionale sotto forma di sentenze e si predicava un ritorno al testo nella sua complessità, con tutte le sue contraddizioni» (p. 11).

Se scorriamo l’indice del libro ricavato da quel programma (e che ha pure riscosso molti consensi dai lettori francesi) vediamo una vera e propria biografia per frammenti: di Montaigne leggiamo, e in primo luogo ovviamente attraverso le sue stesse parole, delle sue scelte di vita (lo studio, le amicizie), del suo rapporto con la lingua e con il tempo (con la morte, con la memoria) e così via. Ma riusciamo – e in ciò assecondando la stessa passione di Montaigne per la storia e le biografia – ad avvicinarci ai suoi gusti, alle sue paure, ai suoi desideri. E ne ricaviamo il ritratto di un uomo complesso e appunto contraddittorio, che ha saputo, attraverso il suo libro, rendersi attuale per le generazioni successive di lettori, ma che allo stesso tempo deve ammettere di essere stato lui stesso riplasmato dal crescere della sua opera.

Nei Saggi si è concretizzato l’identità fra uomo e il suo libro:

«La realizzazione del calco ha trasformato il modello, che ne è uscito meglio “acconciato”, più composto. Il modello si riconosce nella copia, ma la copia ha modificato il modello: modello e copia si sono fatti l’uno a immagine dell’altra, si sono plasmati a vicenda, tanto da diventare indistinguibili» (p. 132).

E accanto a questo rapporto, le piccole lezioni di Compagnon ci rinviamo spesso a un altro rapporto, altrettanto essenziale: quello fra il corpo e la mente. Nell’uomo Montaigne i pensieri hanno bisogno delle gambe, delle sue gambe: si pensa meglio passeggiando, a piedi come a cavallo. Nel saggio Montaigne, epicureo o stoico che fosse, la mente deve giostrarsi fra i dolori del corpo, la malinconia, la noia, l’incombenza della morte, contro la paura della quale nessun rimedio, nessuna condotta però risulta davvero efficace.
Montaigne è stato un uomo che ha dovuto combattere con i limiti e le carenze del proprio corpo: oltre al “mal della pietra” (i calcoli renali che lo hanno assillato incessantemente), prima di tutto lo scemare del “vigore sessuale”, di cui ha scritto con grande disinvoltura nel celebre capitolo Su alcuni versi di Virgilio.

E se nel libro di Compagnon vediamo Montaigne lo scettico, possiamo scoprirvi anche l’uomo impegnato nella vita pubblica (prima e dopo l’avventura dei Saggi), che non ha scelto semplicemente di ritirarsi dal mondo. Piuttosto ha cercato di difendere il più possibile la propria libertà, ritagliandosi degli spazi di pace in un contesto travolto dalla guerra (e dalla guerra civile, specie per motivi religiosi). Da questa necessità, da questa urgenza deriva forse la diffidenza di Montaigne verso il nuovo, verso il cambiamento, verso le “riforme”. A che pro cambiare?

«Pretendere di modificare lo status quo significa correre il rischio di peggiorare le cose anziché migliorarle. Lo scetticismo di Montaigne lo porta al conservatorismo, alla difesa della consuetudini e delle tradizioni, arbitrarie quanto si vuole, ma che è inutile sconvolgere se non si ha la certezza di poter fare di meglio» (p. 65).

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TYSM LITERARY REVIEW, VOL. 10, NO. 15, JUNE 2014

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