philosophy and social criticism

La forza delle generazioni

di Simona Chiapparo

Remo Bodei, Generazioni. Età della vita, età delle cose, Laterza, Roma-Bari 2014

Nei flussi del presente digitale, le forme temporali dell’umano sono incessantemente investite e  trascinate in un magma che estremizza, fino ad una insostenibile deriva,  il πάντα ῥεῖ (pánta rêi) eracliteo. L’ambiguità di correnti contrapposte di senso, che da tale magma scaturisce, circonda gli eredi della specie umana. Agli eredi, Remo Bodei dedica una raffinata analisi etimologica nelle pagine di chiusura del suo recente ed emozionante saggio Generazioni. Età della vita, età delle cose.

Il termine erede – spiega Bodei – traduce il latino heres che scaturirebbe dalla radice indoeuropea *ghar, ossia “colui che prende”. Oppure, secondo un’ipotesi del linguista e filologo ottocentesco Franz Bopp, recentemente ripresa da Massimo Cacciari, dalla forma indebolita del greco cheros che significa “il diventato orfano”.

Un complesso crocevia semantico che esprime con chiarezza la cruciale condizione esistenziale dell’individuo contemporaneo, il cui futuro si annulla in un pervasivo dilagare dell’immediato. Lo aveva già presagito Alexis de Tocqueville – racconta Remo Bodei – che nel secondo volume de “La démocratie en Amèrique” del 1840 indagò le dinamiche di sviluppo della società americana, dove il progresso democratico e il correlato instaurarsi di una prossimità emotiva tra le generazioni determinò  l’inizio di una disgregazione dei rapporti all’interno della famiglia.

La cesura tra le generazioni che si osserva successivamente in tutte le comunità occidentali (con qualche contaminazione anche in scenari orientali, quali quello giapponese) si va embricando ad un irreversibile meiopragia, ovvero un’insufficienza funzionale degli apparati e degli organi rappresentanti l’autorità: dalle figure genitoriali alle componenti istituzionali. Un disgregarsi delle coordinate di tempo e significato che si innesta nell’Ungleichzeitigkeit teorizzato da Ernst Bloch, ossia nella dimensione stridente della “non-contemporaneità”, sulla quale Bodei si era già soffermato in  Multiversum del 1984.

Paradosso intrinseco alla globalizzazione del mondo odierno, in cui convivono esistenze accomunate da un medesimo tempo cronologico, ma appartenenti a tempi storico-culturali assolutamente non convergenti: dalle tribù dell’Amazzonia ai gruppi urbani delle metropoli europee. Così come sono non convergenti – se osservate dall’interno – le medesime  micro-società di cui si compone l’Occidente, disarmonicamente attraversato da faglie di discontinuità che si esprimono in fratture costanti tra le esperienze soggettive.

Tra reazione e rivoluzione, gli individui contemporanei, sedotti dall’accelerazione biotecnologica che impatta sulla “attuale scansione delle età della vita” – scrive Bodei – si ritrovano scaraventati in luoghi di inaspettata auto-reclusione.

Nel mutare delle relazioni interpersonali, spicca il passaggio cruciale dalla prospettiva verticale alla dimensione orizzontale. Bodei riflette, in particolare, sul rapporto tra genitori e figli che appare oggi basato su logiche riverberanti di implosive eguaglianze. Su queste eguaglianze sembra infrangersi la capacità genitoriale più importante, ossia – chiarisce Remo Bodei, citando lo psicologo Francesco Stoppa – quella di “concepire e accettare la propria funzione di tramite”. Allora ad infrangersi non è soltanto il patto tra le generazioni, ma la stessa dinamica generatrice della specie umana che si fonda sull’alternarsi degli inizi e delle fini.

Si configura una vera e propria fisiopatologia del ritiro e dell’isolamento che riavvicina genitori e figli in quella condizione che il sociologo tedesco Norbert Elias definì “la solitudine del morente”. Rinnegare il legame delle generazioni, in nome del sogno impossibile di evitare la propria morte, spinge gli individui a racchiudersi in uno spazio-tempo di anaffettività che li rende eredi prematuri e alienati di un destino tragico, in quanto innaturale.

Pur di anestetizzarsi da questo destino che preme sui pensieri e sulle emozioni, si tenta un rifugio prendendo parte (spesso senza troppa convinzione) in battaglie ideologiche e socio-politiche (quali quelle sui diritti dell’infanzia, del welfare e della previdenza sociale), a tratti abbagliati – o inconsciamente affascinati, in preda al “ritorno del rimosso”, per dirla con Freud – da rappresentazioni estetiche collettive, come le narrazioni mediatiche di eccidi di massa o di esecuzioni capitali (si pensi alla attuale vicenda jihadista dell’IS).

E nonostante gli sforzi, l’anestetica fuga conduce solo alla voragine di chi – scrive Bodei, sulla scia dell’opera dantesca De Monarchia – “assorbe quanto ingoia e non restituisce niente”. Una tesaurismosi che rende gli individui portatori, in vita, di una fine tossica e corrosiva, che niente ha a che fare con la naturale morte.

Il libro di Bodei è un invito a comprendere e a guarire, in nome di un rinnovato patto tra le generazioni che non proteggerà dalla morte, ma che salverà la vita. Perché infondo, come afferma Somni 451 in Cloud Atlas, ultimo film dei fratelli Andy e Lana Wachowski: «La nostra vita non ci appartiene. Dal grembo materno alla tomba, siamo legati agli altri. Passati e presenti. E da ogni crimine, e da ogni gentilezza, generiamo il nostro futuro».

tysm literary review

vol. 12, no. 20

october 2014

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issn:2037-08