philosophy and social criticism

La crisi svizzera e il “modello” tedesco

di Christian Marazzi

La Svizzera ha più di un motivo per preoccuparsi della crisi del “modello tedesco” che si sta consumando dopo un periodo di crisi globale in cui l’economia tedesca ha dimostrato la sua forza con la tenuta, addirittura l’aumento, delle esportazioni e il più basso tasso di disoccupazione dell’eurozona.

La Germania è il partner commerciale più importante della Svizzera, più di un terzo delle nostre importazioni proviene dalla Germania, e le esportazioni svizzere verso la UE sono destinate in buona parte verso la Germania. La Svizzera è il settimo investitore diretto in Germania (dove occupa 357.000 persone), mentre le società tedesche occupano 100.000 persone in Svizzera. Un indebolimento dell’economia tedesca ha quindi effetti diretti sulla nostra economia, a maggior ragione se i segnali di crisi sono di natura strutturale e non solo congiunturali.

Infatti, che la Germania in questi ultimi mesi stia subendo i contraccolpi della crisi geopolitica mondiale (Ucraina in particolare) e del rallentamento della crescita economica dei paesi emergenti è facilmente comprensibile.

Uno dei tratti caratteristici del “modello tedesco” è la forte dipendenza dalle esportazioni che è riuscita a rafforzare in virtù di politiche del lavoro (piano Hartz d’inizio anni 2000) che hanno compresso la domanda interna con la riduzione del costo del lavoro, come pure di una strategia monetaria che ha nazionalizzato i vantaggi degli investimenti speculativi sui debiti dei paesi deboli dell’eurozona europeizzando nel contempo (cioè trasferendole alla Bce) le perdite delle banche tedesche (grazie al dispositivo del Target 2).

Il vero nodo della questione, comunque, è di natura strutturale. Il “modello tedesco” è in crisi laddove appare vincente. Dietro la bassa disoccupazione, infatti, si cela un’occupazione a bassissimi salari e a bassissima produttività (lavoro part-time e mini-jobs), anche nei settori più protetti (come il manifatturiero e le branche legate all’esportazione) dove i salari sono cresciuti meno della produttività, riducendo in tal modo l’incentivo ad acquisire qualifiche appropriate e inibendo le imprese ad investire in ricerca e sviluppo. E quando investono lo fanno all’estero!

Di fatto, l’economia tedesca non investe da una quindicina d’anni, l’investimento globale è tra i più bassi d’Europa. L’investimento pubblico in infrastrutture, sanità, istruzione, università e ricerca, è ai minimi storici. Non c’è nulla di virtuoso nel pareggio di bilancio tedesco, c’è semmai incoscienza. “Dietro una performance stellare – è stato detto – la Germania mostra il volto di un paese che non punta sul proprio futuro”.

Forse è questo l’insegnamento più importante che la Svizzera deve trarre dalla crisi del “modello tedesco”.

tysm literary review

vol. 14, no. 20

november 2014

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