philosophy and social criticism

Un’impostura sanguinaria

Danilo Zolo

Il vento di rivolta che ha investito i paesi del Maghreb e del Masrek, dalla Tunisia alla Libia, all’Egitto, allo Yemen, al Bahrein, non annuncia una nuova primavera delle popolazioni arabo-islamiche. La libertà, la democrazia, la giustizia, un minimo di benessere  sono un sogno ancora molto lontano. I loro nemici sono potenti.

La guerra che l’altro ieri gli Stati Uniti, assieme ai loro alleati europei, hanno scatenato contro la Libia è la prova della loro volontà di porre sotto il proprio controllo l’intera area mediterranea oltre che il sudest asiatico. L’esaltazione dei diritti umani, la garanzia della sicurezza e della pace sono pura retorica, l’ennesima sanguinaria impostura dopo le tragiche aggressioni all’Iraq e all’Afghanistan e dopo le stragi che lo Stato di Israele – strettissimo alleato degli Stati Uniti – ha compiuto e continua a compiere contro il popolo palestinese.

Gli Stati Uniti cercano di nascondere la loro vocazione neocoloniale e neoimperiale sotto il mantello dell’ennesima humanitarian intervention. La disinvolta violazione della Carta delle Nazioni Unite e l’uso opportunistico del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite provano la loro incontenibile volontà di potenza. Si ripete alla lettera il modello dell’aggressione criminale della Nato contro la Serbia del 1999, voluta dal presidente Bill Clinton per la “liberazione” del Kosovo. Si è trattato di un intervento “umanitario” che ha fatto strage dal cielo di migliaia di persone innocenti e ha consentito alla potenza statunitense di crearsi una immensa base militare – Camp Bondsteel – nel cuore del Kosovo.

È sufficiente una rapida lettura della risoluzione 1973 del 17 marzo, con la quale si è deciso il “No-Fly Zone” contro la Libia, per cogliervi una gravissima violazione della Carta delle Nazioni Unite, oltre che del diritto internazionale generale. La violazione della Carta è evidente se si tiene presente che il comma 7 dell’art. 2  stabilisce che “nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che appartengano alla competenza interna di uno Stato”. È dunque indiscutibile  che la “guerra civile” di competenza interna alla Libia non è un evento di cui poteva occuparsi militarmente il Consiglio di Sicurezza.

Oltre a questo, l’articolo 39 della Carta delle Nazioni Unite prevede che il Consiglio di Sicurezza può autorizzare l’uso della forza militare soltanto dopo aver accertato l’esistenza di una minaccia internazionale della pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione (da parte di uno Stato contro un altro Stato). Questa è dunque una seconda, assoluta ragione che rende criminale la strage di persone innocenti che gli Stati Uniti e i loro alleati europei stanno facendo in Libia. E copre di vergogna il governo italiano impegnato con i suoi aerei militari a versare il sangue di un popolo di cui si dichiarava enfaticamente amico sino a qualche settima fa.

E non ha alcun senso servirsi – come più volte fa la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza — della cosiddetta “responsabilità di proteggere” (Responsibility to Protect). Si tratta della contestatissima risoluzione 1674 del 28 aprile 2006 del Consiglio di Sicurezza. Accertata una grave violazione dei diritti umani da parte di  uno Stato, il Consiglio di Sicurezza – si sostiene – può  dichiarare che si tratta di una minaccia della pace e della sicurezza internazionale. E può quindi adottare tutte le misure militari che ritiene opportune.

Non è necessario spendere molte parole per argomentare che il Consiglio di Sicurezza non è competente ad emanare nuove norme di diritto internazionale. Ed è altrettanto ovvio che  la “guerra civile” interna alla Libia non rappresentava e non rappresenta tuttora una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, come del resto ben cinque membri del Consiglio di Sicurezza (Germania, Russia, India, Cina e Brasile) hanno implicitamente sostenuto rifiutando di votare a favore della  risoluzione. Di più, essi hanno deplorato l’aggressione sanguinaria che Francia, Inghilterra e Stati Uniti hanno scatenato contro la popolazione libica in nome della tutela dei diritti umani. Altre vie potevano essere imboccate alla ricerca di un’intesa fra le parti in conflitto.

Fino a poco tempo fa eravamo convinti che gli Stati Uniti avessero cambiato volto grazie al nuovo presidente Barack Obama. Ma ora siamo certi che il volto non basta e che può addirittura fungere da maschera. È sempre più chiaro che la politica del presidente Obama nei confronti del mondo islamico – si pensi non solo alla tragedia afghana, ma anche alla disperata condizione del popolo palestinese – è perfettamente in linea con la logica imperialista e guerrafondaia dei presidenti che lo hanno preceduto.

Nulla è cambiato nella strategia egemonica degli Stati Uniti e questo avrà conseguenze molto gravi proprio nei confronti del popolo libico che si finge di voler salvare dalle violenze di un dittatore. È agevole  prevedere che la guerra non cesserà finché Gheddafi non sarà fatto prigioniero o ucciso (così come il leader iracheno Saddam Hussein venne impiccato per volontà del presidente degli Stati Uniti, George Bush J.). Ed è altrettanto facile prevedere che a guerra conclusa gli Stati Uniti eserciteranno il loro potere per garantirsi il controllo della Libia – come oggi controllano militarmente il Kosovo – per sfruttarne le ricchissime risorse energetiche, come è già accaduto in Iraq. Questa è, e sarà, la “guerra giusta” del Mediterraneo di Barack Obama e della sua ancella Hillary Clinton.

thanx to crockhaus

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ISSN:2037-0857