Lamento per san Giorgio
ANDRZEJ MANDALIAN
San Giorgio non esiste Non è morto
Né trafitto dalla lancia né con la lancia in mano
Né vincitore né morto da prode Non sulla sella
Né gettato di sella Non fu
Sottoposto a dura prova dai pagani
Né venduto né condannato al martirio
Né immerso nel piombo nella pece nell’immondizia
San Giorgio non è mai esistito
San Giorgio non fu san Giorgio
Le deposizioni di testimoni degni di fede
Non permettono di stabilire l’identità
Si parla di subdole icone
Di leggenda fraintesa L’armatura non era un’armatura
Il cavallo non era un cavallo le gesta non erano gesta
La vergine presente al fatto è scomparsa senza tracce
L’occhio della provvidenza ammicca anziché rispondere
E non servono più le tavole dipinte
Le tele stillanti oro la pietra rozzamente scolpita
San Giorgio non esiste
Il canone della virtù cavalleresca fu creato
In circostanze sospette
Secondo alcuni da un paio di zingari
che vagabondavano con la luna e con la favola eterna
Secondo altri in una locanda da frati questuanti
Con la mani vuote certo ma col boccale pieno
A servizio di qualche impostore vagabondo
La Chiesa accolse la notizia con la dovuta riserva
Ma il popolo la prese subito per buona
Il drago affollò le terre il cavaliere levò la lancia
Per difendere le caste fanciulle e i dolci neonati
Adesso è tutto un abbaglio una sembianza illusoria
Ben presto si saprà che il drago non sputava fuoco
Né sferzava con la coda E’ vero diamine
Il mondo non si compone più di quattro elementi
Il mondo finisce
S’adegua all’occhio ingannatore
Che scorge solo il multiforme anziché l’unità
Nessuno bada più alla liturgia ambrosiana
Nulla più vale la parola di papa Gelasio
San Giorgio è stato abolito
Tutto in regola
Nessuno più cavalcherà nei campi con la bianca armatura
Con la rossa croce
Nessuno più si mostrerà alle schiere presso Gerusalemme
Nulla rimarrà della leggenda nulla resterà delle gesta
Ma che accadrà della fanciulla
Fino a quando deve mantenersi casta
Che accadrà dei neonati
Fino a quando si riuscirà a tacere
In verità vi chiedo
Chi ucciderà il drago
Noi mansueti e poveri di spirito
Che facciamo fiduciosi la pace umili misericordiosi
Sempre puri di cuore Noi che soffriamo
Noi che piangiamo che abbiamo fame e sete
Noi la cui salvezza è tutta in questa frase
La realtà è menzognera e la vita fallace
Strappandoci a brandelli gli abiti da lutto noi gridiamo
San Giorgio non esiste
Guidaci san Giorgio!
[1972]
da Conoscenza Religiosa, 2, V (1973)
Nota sull’Autore
Andrzej Mandalian, poeta, prosatore, sceneggiatore cinematografico polacco, nacque a Shangai il 6 dicembre 1926. La madre polacca e il padre armeno erano membri del Komintern (Internazionale Comunista). Nel periodo delle grandi purghe staliniane il padre venne fucilato nel 1939 e la madre fu imprigionata. Sarà rimessa in libertà soltanto alla fine della II guerra mondiale. Mandalian iniziò gli studi di medicina a Mosca e, tornato in Polonia nel 1947, li portò a termine a Varsavia nel 1951. Con Tadeusz Borowski, Wiktor Woroszylski e Tadeusz Konwicki faceva parte del gruppo dei “brufolosi”, così chiamati ironicamente a causa della loro giovane età. Essi erano convinti fautori del realismo socialista ed elogiavano il regime politico polacco. Già in URSS aveva scritto i suoi primi versi. In quel periodo la sua prima lingua era l’armeno, che in seguito dimenticherà quasi del tutto, la seconda era il russo e la terza il polacco. Dopo la morte di Stalin trovò nel rapporto Chruščov il nome di chi aveva ucciso il padre. “Mi soffia negli occhi un vento nero” – scrisse nella sua “Autocritica” del 1956. Inoltre nel 1955 era stato pubblicato il famoso “Poema per gli adulti” di Adam Ważyk (v. il poema nella mia traduzione in musashop.wordpress.com) – un’aspra critica dello stalinismo imperante in Polonia in quegli anni, pietra miliare nella cosiddetta letteratura del disgelo. Come molti altri, anche Mandalian ebbe il suo ravvedimento politico e passò all’opposizione. Ma da quel momento tacque a lungo come poeta, dedicandosi alla traduzione della poesia armena e soprattutto russa (Gumiljov, Mandel’štam, Brodskij, Okudžava, Evtušenko). Scrisse anche alcune sceneggiature cinematografiche, tra le quali quella per il film “La dama di picche”, per la regia di Janusz Morgenstein e Jerzy Domaradzki.
Grazie alle insistenze degli amici tornò alla poesia, “a fatica e senza troppa convinzione” – come egli affermò – , pubblicando nel 1976 la raccolta “Paesaggio con cometa” e nel 1981 “Esorcismi”. Nel 1976 firmò la protesta contro le modifiche restrittive della costituzione e cominciò a collaborare con la stampa clandestina. Dopo un altro ventennio di silenzio e dopo la morte nel 2000 dell’amata consorte Joanna, slavista, saggista e professoressa di scienze filologiche, Mandalian pubblicò un volume di commoventi versi dal titolo “Brandello di sudario”. Il ciclo “Campana a morto” è un colloquio lirico con la defunta, profondamente personale, riflessivo, sussurrato. Il poeta parla della sua situazione esistenziale, della vita, e soprattutto della scomparsa della persona più cara.
Nel 1985 uscirono i racconti lirici brevi “Non sia mai” e nel 1993 la raccolta di racconti autobiografici “L’orchestra rossa”, la cui azione si svolge durante la II guerra mondiale, e descrive la difficile odissea verso lo spirito polacco, vissuta dal figlio di entusiasti e al tempo stesso vittime della rivoluzione comunista. Il critico letterario Ryszard Matuszewski afferma che questo quadro rappresentato attraverso la storia della realtà sovietica, è disegnato con una vena umoristica demistificatrice alla maniera gogoliana.
L’ultima raccolta di versi di Mandalian s’intitola “Il poema della partenza” (2007). E’ un reportage poetico finemente costruito nello scenario della Stazione Centrale di Varsavia, una metafora del nostro viaggio terreno. Incontriamo con il poeta gli emarginati della città: senzatetto, mendicanti, ubriachi di ogni tipo, la donna della latrina, la prostituta della stazione, la vecchia che si prende cura dei gatti… Dice la scrittrice Joanna Szczęsna: “… è come scendere nei vari cerchi dell’inferno dantesco, come una meditazione sulla Passione del Signore… La grandezza di questo poema è in ciò che costituisce il mistero della vera poesia, che tocca le corde dell’anima, che avvicina a ciò che non si può definire e che non si lascia definire, che rende familiare l’ineluttabile”. [Paolo Statuti]
[cite]
tysm review
philosophy and social criticism
vol. 23, issue no. 33, february 2016
issn: 2037-0857
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