Appadurai: un’etica per il futuro
Marco Dotti
Esiste un’etica che il grande antropologo di origine indiana Arjun Appadurai ci invita a chiamare «etica della possibilità». Comprende tutte quelle forme di pensiero e azioni che «allargano gli orizzonti della speranza, espandono il campo dell’immaginazione, generando maggiore equità». È un’etica pervasa di futuro. Abbiamo incontrato Arjun Appadurai, al quale abbiamo posto alcune domande.
Quali sono, oggi, i pericoli maggiori a cui la globalizzazione ci sta esponendo?
Io li vedo nella crescente disuguaglianza. Li vedo nel traffico di armi e nel nazionalismo di matrice conservatrice.
Zone e contesti fortememente marcati dall’accoglienza e dall’apertura, si stanno richiudendo attorno a logiche da Stato – socialmente e culturalmente – chiuso. Pensiamo alla Danimarca, alla Finlandia…
Purtroppo per tutti, la reazione nazionalista alla globalizzazione è una reazione forte alla globalizzazione. Direi che è il prodotto di uno sforzo per compensare la dipendenza economica. Questo fatto accresce i marcatori culturali e razziali delle identità sovrane.
Come legge, in sintesi, la recente crisi prodotta dalle migrazioni in Europa?
La leggo come una grande sfida. Una sfida ma anche, al contempo, un promemoria.
In che senso un promemoria?
Nel senso che l’Europa è stata, per secoli, intimamente all’Africa e al Medioriente. L’inclusione dei rifugiati richiede un ripensamento di base sull’identità nazionale, ma anche su cittadinanza e dovranità in tutte le nazioni europee.
Dobbiamo essere mediatori, catalizzatori e promotori dell’etica della possibilità a fronte dell’etica della probabilità, di un impegno morale fondato sulla convinzione che una politica genuinamente democratica non può basarsi sulla valanga di numeri circa la popolazione, la povertà, il profitto e il saccheggio che minaccia di soffocare ogni ottimismo circa la vita e il mondo. Occorre, piuttosto incrementare l’etica della possibilità, che può offrire una base più estesa per il miglioramento della qualità della vita sul pianeta e accogliere una pluralità di visioni della vita buona (Arjun Appadurai)
La finanziarizzazione che la crisi del 2008 ha fatto esplodere in ogni piega della vita quotidiana ha svolto un ruolo in questa risposta degli Stati all’immigrazione e al riaffiorare della questione sociale in genere?
Sì, perché finanziarizzazione significa anche il denaro scivola e fluisce tra i confini nazionali e questa volatilità dei flussi monetari non è stata connessa all’uscita di persone che attraversano delle frontiere.
Da un lato il denaro, l’impersonale, dall’altro gli uomini. Non sembra esserci via d’uscita…
Io vedo una possibilità etica. Cè una via d’uscita, ma sarà necessario essere onesti. Dobbiamo pensarci ed essere cittadini onesti, politici onesti. Abbiamo bisogno di loro e di attivisti onesti che sviluppino assieme infrastrutture dove i confini tra le nazioni siano trattati come provvisori e efficienti, anziché assoluti e permanenti.
Etica, speranza, futuro: queste le tre parole chiave su cui articolare anche il discorso sul sociale?
Queste parole chiave appartengono a quel genere di scienze sociali che Marx, Durkheim e Weber, i padri di queste scienze, hanno cercato di creare. Questi padri hanno cercato di lanciare lo sguardo oltre lo steccato. Hanno cercato di generare valore sociale, oltre il profitto. Questa sfida rimane aperta e cruciale, sia per le scienze sociali, sia per l’umanità nel suo insieme. Senza eccezioni.
Nel suo lavoro, si è concentrato molto sul tema del futuro. Non è paradossale per l’antropologia rivolgere lo sguardo al domani, anziché al passato?
È indubbiamente paradossale, anche se non dovrebbe esserlo. Tutte le società pensano al futuro. Non ci sono società che non pensano al domani. L’anno che verrà, il prossimo raccolto, il rituale da compiere… L’antropologia è lo strumento migliore per capire come queste società orientate al futuro sono culturalmente differenti. Non esistono due immagini culturali del futuro perfettamente uguali e coincidenti. Questo è un fatto importante.
Perché è importante?
Proprio perché le visioni del futuro sono diverse diventa di vitale importanza conoscerle per preservarne la differenza. Cerchiamo soluzioni universali a problemi universali: la salute, la giustizia, la libertà. Possiamo trarre importantissimi insegnamenti dalla diversità culturale e dalle diverse immagini del futuro. La vita buona di tutti può dipendere da questo.
Possiamo concepire un’etica orientata da queste immagini del futuro?
Dobbiamo. Credo sia una dimensione obbligata del pensiero sociale. Senza un’etica per il futuro saremo condannati a consegnare le chiavi del domani ai nostri padroni, siano essi umani o non umani. Umani o tecnologici che siano se non apriremo la nostra etica alla riflessione sul futuro le cose potrebbero mettersi davvero male.
[cite]
tysm review
philosophy and social criticism
vol. 31, issue no. 34, july 2016
issn: 2037-0857
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