AVS e dintorni
Christian Marazzi
Dei risultati d’esercizio dell’AVS e dell’AI dello scorso anno (2015) colpisce in particolare la concomitanza tra il risultato negativo della ripartizione (- 579 milioni) e quello altrettanto negativo degli investimenti dei fondi di compensazione, ossia delle riserve dell’AVS (- 237 milioni). In entrambi i casi il peggioramento rispetto ai risultati del 2014 è netto e benché non sia il caso di troppo enfatizzare, come neppure di troppo relativizzare, vale la pena di cercare di capire il perché di questa concomitanza e cosa potrebbe succedere nel prossimo futuro.
E’ probabile che, almeno in parte, il risultato negativo della ripartizione dell’AVS, ossia la differenza tra i contributi assicurativi e le prestazioni versate nel corso del medesimo anno, sia da imputare all’aumento del numero di pensionamenti dei baby boomer, ossia dei nati tra il 1945 e il 1964. Sotto questo profilo, l’invecchiamento della popolazione e l’aumento della speranza di vita possono solo accentuare questa tendenza allo squilibrio tra entrate e uscite. A meno che vi sia un aumento della partecipazione al mercato del lavoro, in particolare delle donne e degli immigrati, un aumento tale da allargare la base contributiva. Semmai, il problema sta nella natura del mercato del lavoro, in particolare della massa salariale e nel tipo di occupazione. Da anni ormai assistiamo in Svizzera alla diminuzione del numero di posti di lavoro a tempo indeterminato e a un aumento dei posti di lavoro a tempo determinato, a tempo parziale, intermittenti, insomma precari, lavori destinati ad accrescere le lacune della copertura assicurativa sociale che in un futuro non troppo lontano lo Stato sarà chiamato a tamponare con le prestazioni complementari. La prospettiva di una “stagnazione secolare” su scala globale, ossia di una stagnazione della domanda di beni e servizi generata dall’aumento delle disuguaglianze, può solo peggiorare la situazione. Inutile dire che, per salvare l’AVS, una migliore ripartizione tra capitale e lavoro sarebbe necessaria, oltre che auspicabile.
Se si guarda al risultato degli investimenti delle riserve dell’AVS, create in origine appunto per far fronte alle fluttuazioni della ripartizione e all’invecchiamento della popolazione, non si può non pensare agli effetti perversi della finanziarizzazione che, anche in Svizzera, sta contagiando l’insieme dei fondi assicurativi. Ogni volta che i mercati finanziari crollano, come nel 2001 e nel 2008, si assiste al crollo dei rendimenti degli investimenti di questi fondi. Quindi il problema non è nuovo, è un aspetto dell’economia finanziarizzata con il quale occorre saper convivere. Di nuovo, però, c’è che dall’aprile dello scorso anno i rendimenti sui titoli pubblici decennali, nei quali l’AVS investe una parte importante delle sue riserve, sono negativi. E’ un fatto per certi versi epocale e destinato anch’esso a durare nel tempo, se è vero che la stessa Bce e la Banca centrale giapponese stanno seguendo le orme della nostra Banca nazionale.
Nessun allarmismo, d’accordo, ma è certo che da qui in poi occorre ripensare il sistema di finanziamento della nostra assicurazione sociale, troppo preziosa per esser lasciata in balia di interessi economici e finanziari che nulla hanno a che fare con l’interesse generale, di cui l’AVS è la migliore interprete.