philosophy and social criticism

Deflazione, il vero pericolo

di Christian Marazzi

E se fossimo già in deflazione? Se lo chiedeva tre giorni fa Wolfang Münchau sulle colonne del Financial Times, citando alcuni dati tedeschi e francesi, i due paesi più importanti dell’eurozona. In Germania i salari reali, nel 2013, sono diminuiti e in Francia l’inflazione è caduta dallo 0,6 di dicembre allo 0,1 di gennaio, qualcosa di molto simile a quanto sta accadendo in Svizzera negli ultimi mesi, con un indice dei prezzi al consumo ormai prossimo allo zero.
Da mesi le autorità monetarie, primo fra tutti Mario Draghi, governatore della BCE, cercano di minimizzare i rischi di deflazione e così rimandano a data indeterminata la decisione di intervenire per contrastare ciò che gli economisti considerano un vero e proprio pericolo.

Perché la deflazione è un pericolo? Una riduzione netta dei prezzi, ad esempio dei prezzi agricoli, non aumenta forse il potere d’acquisto dei salari? Il problema vero della deflazione si presenta quando il calo dei prezzi, da settoriale, diventa generale: dato che alcuni costi fissi (affitti, interessi passivi,…) e gli stessi salari, essendo più rigidi verso il basso, non seguono immediatamente il movimento generale dei prezzi, i profitti subiscono una riduzione. La riduzione dei profitti, a sua volta, scoraggia gli investimenti, portando di solito alla riduzione del personale per comprimere i costi. Ne consegue in tal modo una diminuzione dei redditi. Ne consegue anche, in un’economia fortemente finanziarizzata come quella odierna, un dirottamento di parte dei profitti sui mercati borsistici, alla ricerca di guadagni facili.

Un altro effetto della deflazione, ben conosciuto sin dai tempi della Grande depressione degli anni ’30, è la riduzione della domanda di beni e servizi indotta dall’attesa di future diminuzioni dei prezzi: se prevedo che domani il prezzo di un bene che voglio acquistare diminuirà, mi conviene rimandare la spesa. E’ così che, alla fine, la domanda complessiva cala e, calando, fa diminuire ulteriormente i profitti, provocando ulteriori riduzioni dell’occupazione. Insomma, un vero e proprio circolo infernale.

Un altro pericolo della deflazione riguarda i debiti: da una parte, la deflazione fa aumentare il peso dei debiti, dall’altra, la stessa deflazione fa aumentare i tassi d’interesse reali. Nel primo caso, quello dell’aumento del peso dei debiti (e si pensi ai debiti pubblici), si cercherà di ridurre gli oneri di ripagamento comprimendo la spesa pubblica; nel caso dell’aumento dei tassi d’interesse reali, è certo che la conseguenza sarà una diminuzione degli investimenti, perché il costo del denaro risulta eccessivo.

Dopo anni di politiche d’austerità, che notoriamente non hanno contribuito a ridurre l’indebitamento pubblico (che, invece, è addirittura aumentato) o a generare crescita economica, un processo deflazionistico non farebbe altro che aggravare la crisi in corso.
Tutto sta nel capire se la riduzione dei prezzi che conosciamo a partire dal 2008 è destinata a tradursi in deflazione o se questo processo, opposto a quanto accaduto nel corso degli anni 2000 e fino allo scoppio della crisi, è un fenomeno temporaneo. La risposta dipende dalle politiche economiche e monetarie che verranno perseguite. Se si continua con l’austerità, con la riduzione forzosa del debito pubblico e dei salari, è molto probabile che la deflazione, da pericolo latente, si trasformi in pericolo reale.

E alle lacrime e sangue si aggiungeranno altre lacrime e altro sangue.

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tysm literary review, Vol 7, No. 12,  March 2014

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ISSN:2037-0857