philosophy and social criticism

Etica dell’immigrazione

Sergio Benvenuto

Oggi molti sostengono che il declino o il crollo dei partiti europei tradizionali (socialisti, popolari, liberali) è meritato. Qualcuno riprende la distinzione di Max Weber tra ‘politica dei principi’ o della convinzione, e ‘politica della responsabilità’: questi partiti ‘storici’ avrebbero seguito la prima, permettendo un indiscriminato afflusso di migranti, in nome del principio della mobilità delle persone corollario della mobilità dei capitali.

Ma così questi partiti al governo avrebbero rinunciato a gestire responsabilmente l’emergenza. E gli elettorati dei vari paesi li puniscono per questo. E’ corretta questa analisi?

Qualcuno propone come modello il Giappone, che non ha mai permesso immigrazione. I giapponesi si giustificano dicendo che le loro isole sono sovrappopolate. In realtà questa politica ha permesso la piena occupazione in quel paese nei decenni del dopoguerra. Eppure nessuno condanna il Giappone come paese xenofobo.

Premetto: il mio cuore batte per i migranti. Capisco perfettamente il bisogno che hanno degli esseri umani di fuggire da paesi in guerra, o miserabili, o corrotti, o tutte queste cose insieme, e cercare di costruirsi una vita decente altrove. Mi trovo perfettamente a mio agio nelle grandi metropoli multietniche, le uniche dove posso vivere. Ma la politica non si fa solo col cuore. Né col buonismo, né col cattivismo.

Le due posizioni polari – da una parte dire “tutti i migranti vanno accolti, senza se e senza ma” e dall’altra dire “non dobbiamo accettare migranti, senza se e senza ma” – sono ‘politiche dei principi’ entrambe irresponsabili. Perché la vera questione non è l’immigrazione, ma quanta immigrazione. E’ diverso se migrano verso l’Europa centomila persone, o un milione, o dieci milioni…

Vent’anni fa parlavo con un taiwanese, in un’epoca in cui la Cina continentale era molto più povera di Taiwan. Costui mi disse che non potevano permettere ai cinesi del continente di venire a Taiwan, altrimenti “la nostra isola affonderebbe”. L’Europa non è un’isola, ma se cento milioni di africani e asiatici giungessero in Europa, anch’essa affonderebbe. (Non è pura fantasia: un sondaggio Gallup ha rilevato che nel mondo vi sono più di 700 milioni di adulti che vorrebbero trasferirsi in un altro paese, e 165 milioni di questi nell’Unione Europea.)

Credo che i leader europei considerati irresponsabili da quei commentatori di cui sopra sappiano che l’immigrazione – se i suoi flussi sono controllati– è una opportunità per l’Europa, dato il suo declino demografico dovuto a bassa natalità e dato quindi lo squilibrio delle generazioni: una percentuale crescente di vecchi pensionati e una discendente di persone che lavorano. Tutti i dati mostrano che i migranti producono per noi più ricchezza di quanto spendiamo per loro. L’immigrazione si limita di fatto a compensare l’invecchiamento dei paesi europei.

Ma controllare i flussi è semplice solo sulla carta. Gli Stati Uniti per un secolo e mezzo hanno di volta in volta allentato e ristretto il rubinetto dell’immigrazione, a seconda della situazione economica del momento. Comunque, il controllo implica sempre, in qualche modo, scelte crudeli. A Ellis Island di fronte a New York, dove giungevano le folle di immigrati in America, si mandava indietro chi avesse qualche debolezza fisica e chi non superasse un test di QI.

I richiedenti non accolti dovrebbero essere rimandati nei loro paesi di origine, ma questo è problematico. Perché gli stati dei paesi da cui partono i migranti sono ben felici di disfarsi di una parte della popolazione misera o scontenta, che, se restasse, sarebbe un focolaio continuo di malessere e disordini. E poi i migranti mandano parte dei loro guadagni alle famiglie rimaste in patria, e questo aumenta il reddito del paese (anche l’Italia per decenni ha usufruito delle rimesse degli emigrati). Quando nella seconda metà del XIX° secolo milioni di italiani partirono per le Americhe, lo stato italiano non fece nulla per trattenerli, anzi. Stati come Nigeria, Senegal, Etiopia, Siria… si comportano allo stesso modo.

Mettiamo che gli europei riescano a convincere i paesi da cui salpano i disperati – Libia, Tunisia, Marocco… – ad accettare centri che filtrino chi richiede di migrare. Mettiamo che l’Italia decidesse di accettare 20.000 migranti, mentre i richiedenti sarebbero 50.000. Come selezionarli? Si può dare la precedenza a chi venga da paesi particolarmente infelici, ma è evidente che gli scartati cercherebbero comunque di raggiungere clandestinamente l’Europa. Le traversate disperate diminuirebbero, ma non scomparirebbero.

Un’altra soluzione sarebbe quella adottata con la Turchia: offrire ai paesi da cui si imbarcano una massa di denaro come compenso al loro impegno di tenersi chi voglia andare in Europa. Soluzione vantaggiosa per quei paesi, perché questo denaro non andrebbe solo ai migranti, ma anche a tanta gente che in quei paesi sarebbe addetta a quella che viene chiamata l’industria della migrazione. La chiamano così gli zenofobi, ma il “business degli immigrati” è inevitabile: bisognerà pur pagare chi si prende cura degli immigrati. Sarebbe per l’Europa un puro costo: dare tanti soldi per dei migranti che non produrrebbero ricchezza per l’Europa.

E’ quel che oggi si tenta di fare con la Libia: trattenere colà migranti in cambio di denaro. Cosa che appare crudele a tanti migranti: spesso hanno speso tutti i loro risparmi per venire in Europa, non in Libia. Per loro è una iattura.

Ma far arrivare in Europa una massa di migranti creerebbe – e già crea – reazioni di rigetto da parte di gran parte delle nostre popolazioni. La sinistra irremovibile, di pietra, non vuol capire che non si può fare solamente ciò che si considera eticamente giusto: bisogna tener conto, in democrazia, anche del parere dei propri concittadini. Non si possono imporre ai propri concittadini valanghe di stranieri. Anni fa dicevo che la massa migratoria avrebbe favorito ben presto i partiti di destra estrema, e che se la cosa fosse continuata avrebbe trionfato in Europa il fascismo. Ai centri d’accoglienza tanto criticati e denunciati, si sostituirebbero veri e propri Lager…  Spero di non essere stato profeta. Ma le recenti vittorie elettorali dei sovranisti (pare anche in Svezia, alle prossime elezioni…) mi dicono che forse, ahimè, avevo ragione.

La soluzione più semplice – quella che sotto sotto preferiscono Salvini, Le Pen e altri sovranisti – sarebbe di chiudere semplicemente tutti i porti europei e lasciar morire migliaia di migranti.In effetti, è vero che i naufragi sono in qualche modo programmati: si possono rifiutare dei rifugiati, non dei naufraghi.

E’ vero, la soluzione più crudele è la sola che scoraggerebbe davvero le masse migranti: si renderebbero conto che la strada dell’Europa è chiusa. Ma le leggi del mare impongono comunque di salvare chi è in difficoltà. I corifei di questa soluzione estrema troverebbero anche una giustificazione morale. Direbbero: “E’ vero, lasceremmo morire qualche migliaio di persone per dissuadere gli altri. Ma da anni muoiono già migliaia di persone tentando la traversata. Alla fin fine, il numero di morti si equivarrebbe. Intanto però l’esodo dall’Africa e dall’Asia cesserebbe”. Si possono trovare sempre alibi morali anche per le decisioni più spietate.

In effetti, le morti per mare di questi anni sono effetto diretto della politica europea dell’immigrazione. In teoria l’Europa dice di voler accettare i rifugiati, ma in pratica è quasi impossibile per un rifugiato – ad esempio, dalla Siria o dal Sudan – andare in un consolato di un paese europeo e ottenere il visto come rifugiato. Se un rifugiato giungesse in aereo in una città europea senza visto, verrebbe subito rimandato indietro. Inoltre, la politica europea è di confiscare le imbarcazioni con cui arrivano migranti non autorizzati. Questo significa che un’imbarcazione potrà servire per un solo viaggio; allora, per risparmiare, si useranno gommoni o barche buone per la rottamazione. E i risultati sono una caterva di morti. L’Europa proclama di voler accettare “chi ne ha diritto”, ma di fatto filtra così gli arrivi: tende a prendersi quelli che sopravvivono. Di fatto, la politica europea è già crudele, prima che Salvini diventasse ministro degli Interni.

Malgrado tutto questo, la critica ai leader europei come Merkel o a sua tempo Hollande è troppo severa. Dopo tutto, le leadership occidentali finora sono riuscite a contenere l’immigrazione entro limiti economicamente accettabili. Di fatto, non c’è più emergenza migranti. Ma si vede che non basta. E questo perché l’intero Occidente – la parte del mondo più ricca – è attraversato da una febbre anti-globalista. Il rigetto degli immigrati è solo un aspetto di questa febbre: gli altri sono il protezionismo, il rinchiudersi nelle frontiere, il sovranismo nazionalista… Non basta ripetere che gli arrivi dei migranti sono drasticamente diminuiti nel 2018 per placare i furori anti-immigrazione. Perché la percezione non corrisponde spesso alla realtà. La maggior parte degli europei si sente invasa da masse debordanti di stranieri, anche se la realtà è molto meno drammatica. Per esempio, cresce in Italia la sensazione che la criminalità aumenti, che le città diventino sempre più insicure, mentre tutte le statistiche ci dicono il contrario, che da venti anni i crimini diminuiscono. Ma la politica non si fa solo sulla base della realtà e della ragione, si fa anche sulla base dell’immaginario e del simbolico. Le leadership europee non sono irresponsabili, sono realiste, ma non basta essere realisti per attrarre consenso.

E’ notevole che per decenni intellettuali e militanti di sinistra non hanno mai cessato di criticare la globalizzazione neo-liberale, l’unificazione del pianeta come un unico grande mercato, il Washington Consensus. Eppure, il neo-liberalismo benedice sia i flussi di capitali che di forza lavoro. Ma di fatto questi critici non hanno proposto nessuna alternativa concreta e credibile al neoliberalismo. Trump e i suoi emuli invece la propongono, loro sono i veri anti-neoliberali oggi. E così la storia, ancora, sembra voltare pagina.

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