L’eternità impersonale del fisco
Tra il XII e il XIII secolo, attraverso una sottile interpretazionegiuridico-teologica, il fisco divenne la struttura portante del potere temporale, costituendone l’architrave spirituale, seppur concretissima per i sudditi sottoposti a tassazione e prelievi. «Anima dello Stato», lo definirà il giurista Baldo degli Ubaldi.
di Mika Satzkin – Marco Dotti
Ernst Hartwig Kantorowicz, I due corpi del Re. L’idea di regalità nella teologia Medievale, trad. di giovanni rizzoni, Einaudi, Torino 2012.
Secondo il classico principio “Ubi fiscus ibi imperium”, il fisco è l’altro corpo che sopravvive alla morte del corpo fisico del re. Quest’ultimo, per la dottrina riaffermata nel XVI secolo dal giurista inglese Edmund Plowden, è uomo a tutti gli effetti nel tempo, ma per quanto attiene le cose pubbliche egli è fuori del tempo, immortale ed eterno. Corpo fisico e corpo politico coesistono nella regalità, ma pur vivendo come essere mortale, il re in quanto Re non muore: «the king, as King, never dies». La sua sovranità è inalienabile.
Inizialmente fiscus designava nient’altro che il patrimonio personale dell’imperatore – che i romani distinguevano da ærarium, il patrimonio del popolo. Quando col termine fiscus si prese a considerare l’intero patrimonio del sovrano, proveniente da pubbliche entrate, si aprì la questione cruciale della sua trasmissione e della sua inalienabilità.
Il fisco divenne così, tra il XII e il XIII secolo, attraverso una sottile interpretazione giuridico-teologica, la struttura portante del potere temporale, costituendone l’architrave spirituale, seppur concretissima per i sudditi sottoposti a tassazione e prelievi. «Anima dello Stato», lo definirà il giurista Baldo degli Ubaldi.
Questa immutabilità sarebbe attestata anche da un’assonanza – la derivazione è criticata – etimologica che avvicina fiscus a fixus, nel senso di stabile e perpetuo.
Il fisco assunse così quella specificità di fiscus sanctissimus che nel XIII secolo lo portò a essere considerato un elemento di continuità all’interno dell’Impero o di un regno, indipendente dalla vita fisica del sovrano, così come le proprietà ecclesiastiche erano indipendenti dalla vita del singolo vescovo o papa. L’eternità impersonale del fisco divenne la condizione per l’eternità impersonale dello Stato, così come quella di Cristo lo era per la Chiesa.
Da vicarius Christi, il re divenne vicarius fisci e il suo carattere perpetuo e impersonale iniziò a dipendere dal carattere perpetuo e impersonale della sfera pubblica cui il fisco apparteneva.
Il motto Cristus-Fiscus fece così la sua comparsa, calando la propria ombra sul nuovo Stato laico, non più centrato su una regalità teologica “cristocentrica”.
tysm literary review, vol. 10, no. 15, june 2014
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