Gabriel Tarde: sonnambulismo psico-sociale
di Marco Dotti
Gabriel Tarde, Che cos’è una società?, a cura di Andrea Cavalletti, Cronopio, Napoli 2010.
La prima versione di Qu’est ce qu’une société? venne pubblicata da Gabriel Tarde nel 1884, sulla “Revue philosophique de la France et de l’étranger” e ripresa, sei anni dopo, con alcune sottili variazioni, come terzo capitolo di Les lois de l’imitation, uno dei lavori capitali del sociologo francese. La questione è chiara, precisa, persino dura se si vuole, ed è interamene inscritta nella domanda del titolo: che cos’è una società? Una trama di relazioni economiche, di istituzioni, di legami giurici, di patti e fatti liberamente decretati e scelti da uomini liberi e uguali – risponderebbe un sociologo positivista. La risposta di Tarde è però di tutt’altro tenore e racchiude il significato della sua attualità e della sua – opportuna – riproposta per i tipi di Cronopio e la cura di Andrea Cavalletti. La società, argomenta Tarde, è imitazione. Che ne è dunque dell’uomo, con tutto il suo carico di socialità? L’uomo, chiosa l’autore, è un prodotto del sonnambulismo sociale e come un sonnambulo ha solo e soltanto idee suggerite, anche se le crede individuali e spontanee. Per Tarde gli uomini sono simili a formiche e, come formiche, seguono con inconsapevole geometria un ordine che sorge da contagio imitativo. Il saggio breve di Tarde, osserva acutamente Cavalletti nella sua postfazione, pone le basi per un vero e proprio laboratorio alternativo, per quanto minoritario, al grande cantiere che Durkheim e la sua scuola avrebbero di lì a poco approntato. Non, quindi, scienza della mentalità collettiva o psicologia sociale, ma microsociologia e persino, entro certi limiti, microfilosofia che non scinde il quotidiano dalla grande deriva storico-temporale, l’individuale dal sociale, il pubblico dal privato. Non a caso, gran parte dell’attenzione di Tarde è rivolta allo psichismo e al magnetismo che proprio in quegli anni affascinavano gli spiritisti e, nella stessa Parigi che il sociologo ha sotto gli occhi, ossessionavano August Strindberg e il suo circolo infernale. La vita urbana è per Tarde la vita sociale per eccellenza, condensata in un punto massimamente intensivo. La vita sociale è di regola una «cascata di magnetizzazioni successive e concatenate» che nascono da un impulso primario capace di produrre un effetto-domino. «Se in ogni società vi è una gerarchia», osserva, «è perché in ogni società vi è la cascata alla quale, per essere stabile, la sua gerarchia deve corrispondere». Spesso l’impulso che generà tutto è dato da un uomo particolarmente prestigioso che, con l’ammirazione che suscita, produce imitazione e tutti quegli effetti di sonnambulismo oggetto dell’attenzione di Tarde. Questi effetti si manifestano su tutti i piani – non solo nella moda o nel costume – e nelle dimensioni non solo del comunicare ma anche del fare. Una «ipotetica socialità assoluta», scrive Tarde, «consisterebbe in una vita urbana così intensa che la trasmissione a tutti i cervelli della città una buona idea comparsa da qualche parte in seno a uno di essa sarebbe immediata». Proprio per questa ragione, Armand Mattelart aveva tempo fa ricordato come come la riflessione di Tarde stia alla radice di quella che si potrebbe definire “l’era del pubblico”. Se nella folla il contagio era per contatto fisico, nel pubblico l’imitazione-suggestione si produce a livello mentale. Il pubblico, si potrebbe azzardare, è una folla a distanza e il contagio è quell’epidemia estatica che oggi più che mai ha nome “informazione”.
[da il manifesto, 24 dicembre 2010]
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