Ghiaccio sottile
di Christian Marazzi
Forse l’ultima crisi è finita, ma ha esacerbato una profonda contraddizione nel cuore dell’Europa tra il bisogno di integrazione delle economie dell’Eurozona e il suo rifiuto da parte dei votanti.
È questo il nocciolo del ragionamento del settimanale Economist alla vigilia delle elezioni del parlamento europeo che si terranno tra il 22 e il e il 25 prossimi. Di fatto la ripresa economica europea è molto debole, la disoccupazione conta oltre 26 milioni di persone, il debito pubblico è ovunque molto elevato, i bilanci delle banche sono fragili e molti paesi membri si trovano sull’orlo della deflazione: una situazione simile a quanto è accaduto al Giappone nel corso degli anni ’90. Con la differenza però che in Giappone la stagnazione secolare ha potuto reggere perché era, e continua ad essere, un paese socialmente coeso, mentre in Europa è uno scenario del genere è altamente inquietante perché potrebbe esplodere in mille direzioni.
I mercati finanziari con tempismo sospetto hanno cercato di attenuare la crisi economica strisciante investendo abbondantemente sui debiti sovrani dei paesi cosiddetti periferici, col risultato che i tassi di interesse sui debiti pubblici – e quindi lo spread – sono diminuiti fortemente, anche se la situazione economica di questi stessi paesi non è affatto migliorata. In altre parole la finanza internazionale ha dato una mano ai governanti dell’Eurozona per contrastare i movimenti di opposizione all’Euro e la Banca Centrale Europea, da parte sua, si è detta pronta a intervenire con politiche monetarie non convenzionali, cioè all’americana, pur di salvare l’Euro dagli effetti pericolosissimi di una deflazione sempre più vicina.
Se le forze euroscettiche dovessero, come dicono i sondaggi, guadagnare tra il 25 e il 30% il sistema monetario europeo potrebbe rivivere – e qui il condizionale è d’obbligo – il rischio di disintegrazione di due anni fa, questa volta con esiti ancora più imprevedibili. Di sicuro le banche, che in questi mesi hanno accumulato un bel po’ di buoni del tesoro dei paesi maggiormente indebitati se la passerebbero parecchio male.
Il vero problema, come sostiene l’Economist è la democrazia, non l’economia o, sarebbe forse meglio dire, l’inconciliabilità tra finanziarizzazione dei mercati e spazi di sovranità democratica. La rivolta contro l’Euro e le politiche di austerità imposte dai mercati finanziari evocano esplicitamente un ritorno alla sovranità nazionale, cioè la restituzione ai parlamenti nazionali di quei poteri decisionali in materia di rilancio economico di cui sono stati privati dall’Europa della finanza.
C’è però da chiedersi se la sovranità nazionale, in un’economia globale e sempre più integrata, sia in grado di garantire l’uscita da questi anni di crisi. Troppe sono le similitudini con gli anni ’30, troppe.
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tysm literary review, Vol. 10, No. 15, June 2014
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