Visto di recente dopo il restauro, in occasione del “Cinema ritrovato” e in un’ambiente suggestivo come Piazza Maggiore a Bologna, si ha ancora la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di grande che non risente affatto del passare del tempo.
Monicelli con “I compagni” è riuscito a creare uno di quei film virtualmente immortali, che parlando di lotta di classe, trattano un argomento che riguarderà sempre ogni fase della storia dell’uomo. Le dinamiche tra i personaggi potrebbero essere traslate al giorno d’oggi e risultare credibili e ugualmente d’impatto, nonostante il film, distribuito nel 1963, parli del malcontento di un gruppo di operai di una fabbrica torinese di fine Ottocento.
Stanchi dei turni di quattordici ore senza nemmeno un’assicurazione contro i frequenti incidenti, il gruppo di protagonisti decide di accennare uno sciopero, tentativo che fallisce ma che attira le attenzioni del professor Sinigaglia, esperto organizzatore di proteste operaie. Questi cercherà di guidare gli operai verso un percorso di riscossa sociale che si interromperà sul più bello.
Alcune delle ragioni di questo fallimento sono rintracciabili non solo per un’iniziale incapacità di organizzarsi, ma soprattutto per una scarsa convinzione del gruppo in ogni fase dell’agitazione che si tradurrà ben presto, in una doppia vittoria della classe dirigente borghese. Si entra infatti nel meccanismo della dialettica servo-padrone in cui gli operai, in questo caso schiavi a tutti gli effetti, non si rendono conto del potere materiale e dell’influenza che hanno nell’economia della fabbrica: riescono infatti a ridurre quasi sul lastrico i loro “padroni” a loro insaputa, arrendendosi però per primi in questa gara di resistenza dove non riusciranno nel loro intento.
Il personaggio del professor Sinigaglia, interpretato dal leggendario Marcello Mastroianni, ricorda stilisticamente la figura centrale del quadro “Il Quarto Stato”, di Giuseppe Pellizza da Volpedo. La celebre tela raffigura una fiumana (che è anche il titolo di una versione precedente del quadro) di proletari e sottoproletari (come si evince dal significato di “Quarto Stato”). In una delle scene finali del film, dopo il celebre discorso motivazionale del professore agli operai, ormai stremati dopo un mese di proteste, viene compiuto l’ultimo tentativo, una marcia verso la fabbrica per tentare di occuparla per l’ultima volta. La compostezza dei personaggi del quadro è sostituita da una costante incertezza e la presenza dei soldati chiamati a difendere lo stabilimento disperde le ultime speranze. Sinigaglia stesso pur cercando di guidare il gruppo è comprensibilmente spaventato e forse comincia egli stesso a non credere alle proprie parole.
Nel finale sono messe in scena non solo la sconfitta degli operai, conseguenza della loro dispersione dopo lo scontro con l’esercito, in una scena finale in cui sono costretti a tornare mestamente al lavoro, ma anche l’abbandono della speranza nel futuro con la morte di Omero, protagonista delle sequenze iniziali del film. Il suo posto in fabbrica verrà preso dal fratellino sul quale la famiglia aveva investito molto consentendogli di andare a scuola, un lusso tutt’altro che scontato. Monicelli ci aveva già insospettito sull’esito di questa vicenda quando Omero era andato a prendere il fratello a scuola e il maestro lo aveva avvertito di uno scarso impegno del bambino (destinato a lasciare la scuola per lavorare). Alla richiesta di quest’ultimo di andare a lavorare insieme al fratello manifestando un normale desiderio infantile di sentirsi più grande, Omero si infuria dicendo, profeticamente, che sarebbe stato meglio morire che lavorare lì.
Monicelli crea un film profondamente triste, che ha dalla sua non solo un’efficace caratterizzazione dei personaggi, un montaggio fresco e un’ottima messa in scena, ma anche degli scambi di battute che suonano ancora molto attuali. L’esempio principe è la discussione tra il ragazzo piemontese e la bambina, figlia di immigrati siciliani: il primo accusa la seconda di essere venuta a rubare il lavoro ai torinesi, la seconda risponde che è grazie alla forza lavoro di una famiglie come la sua che il triangolo industriale è arrivato a prosperare così tanto.
Questo lavoro è quasi un unicum a livello di genere, inserito in una filmografia dove Monicelli si è spesso occupato di denuncia sociale, anche se lo ha fatto principalmente attraverso le commedie, consegnandoci un cinema che non perde forza nonostante il trascorrere degli anni.
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