Per un disoccupato
di Juan Gelman
Padre,
dai cieli scendi, ho dimenticato
le preghiere che m’insegnò la nonna,
poverina, lei adesso riposa,
non deve più lavare, pulire, non deve
preoccuparsi d’andare di giorno per i vestiti,
non deve più fare le nottate, pena e pena
pregare, chiederti delle cose, brontolarti dolcemente.
Dai cieli scendi allora, se sei lì, scendi
che muoio di fame in quest’angolo,
che non so a che mi serve di esser nato,
che guardo le mie mani rifiutate,
che non c’è lavoro, non c’è,
scendi un po’, guarda
questo che sono, questa scarpa rotta,
questa angoscia, questo stomaco vuoto,
questa città senza pane per i miei denti, la febbre
che mi scava la carne,
questo dormire così,
sotto la pioggia, castigato dal freddo, perseguitato
ti dico che non capisco, Padre, scendi,
toccami l’anima, guardami
il cuore!
io non ho rubato, non ho assassinato, fui bambino
e invece mi colpiscono e mi colpiscono,
ti dico che non capisco, Padre, scendi
se sei lì, che cerco
rassegnazione in me e non trovo e vado
a farmi prendere dalla rabbia e ad affilarla
per colpire e vado
a urlare col sangue al collo.
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tysm literary review, Vol 6, No. 10, December 2013
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ISSN:2037-0857