Per una genealogia dell’immaginario tentacolare. “Tentacle erotica. Orrore, seduzione, immaginari pornografici” di Marco Benoît Carbone.
di Elisa Fiorucci e Antonella Festa
Benoît Carbone, Tentacle Erotica. Orrore, seduzione, immaginari pornografici, Mimesis, Milano-Udine, 2013 ISBN:978-88-5751-673-8. Prefazione di Massimo Fusillo
Partiamo da un tentativo di definizione. Benché il Tentacle Erotica – o Tentacle Rape, oppure ancora Tentacle Porn – non rappresenti un corpus unico e unidirezionale, esso fa riferimento ad uno strano tropo visuale che fa leva sul potenziale metaforico del polpo. E che, a partire dall’ultimo decennio, si intreccia ad una particolare declinazione dell’immaginario sessuale in cui entità dotate di tentacoli – che hanno nel polpo la matrice comune – intrecciano rapporti sessuali con personaggi umani, per lo più figure femminili di cui non sempre è certa la consensualità.[1]
Attraverso questa “cartografia dei movimenti dell’immaginario” legati alla figura retorica del polpo, Marco Benoît Carbone rende conto dell’ evoluzione del porno tentacolare in un’ottica transnazionale, fino alla sua configurazione nel panorama transmediale contemporaneo. La sua ricerca, dettagliata, meticolosa, complessa, restituisce al lettore la varietà di forme espressive attraverso cui si irradia il tentacle erotica, seguendo il continuum antropologico-estetico che dai primi shunga del Giappone del primo Ottocento, giunge fino alla ricomposizione di una matassa variegata di riferimenti, resa possibile da Internet, a cui si assegna finalmente un nome – comprovato dall’apparizione della sua definizione in strumenti come wikipedia.
Tale ricognizione segue ordinatamente tre direttrici principali: arte giapponese del periodo EDO; produzione letteraria, cinematografica e di manga che incrocia horror ed erotismo; proliferazione della pornografia sub-culturale grazie alla svolta digitale.[2]
Per comprendere la natura del Tentacle Erotica è infatti indispensabile partire cronologicamente dagli shunga del periodo EDO (1603-1868), contesto in cui uno degli artisti giapponesi più conosciuti e apprezzati sia in Oriente che Occidente, Katsushika Hokusai, dipinge l’immagine emblematica in cui si è vista l’origine del Tentacle Porn: Polpi e pescatrici di perle (“Tako to ama”, 1814). La restituzione di Benoît Carbone del dibattito intorno alla funzione sociale e mitico-simbolica degli shunga, ci conduce a comprendere come questi funzionassero da strumenti di compensazione di una realtà sociale opprimente attraverso mondi fittizi, abitati da una sessualità polimorfa e contraddistinti da quelli che saranno i caratteri fondanti del Tentacle Erotica: la consensualità dubbia e la natura teriomorfa degli amplessi in cui il polpo,“immediatamente associabile al tentacolo, ricapitola tutte queste istanze della mostruosità, del grottesco e della bestialità.”[3]
Attraverso un vigoroso scambio culturale fra Oriente ed Occidente, i tentacoli sono giunti a lambire ed influenzare alcune tendenze dell’arte novecentesca fino a creare quello che può essere definito un canone visuale, che dagli shunga giunge sino ad alcune opere di Rodin, Picasso e Dalì, oltre che una fitta schiera di artisti giapponesi contemporanei, da Moriguchi a Kawasaki.[4]
La creazione del paradigma moderno del Tentacle Erotica, seguendo l’autore, avverrà tuttavia nella seconda metà nel Novecento con il manga Urotsukidōji di Toshio Maeda (da cui poi l’OAV omonimo di Hideki Takayama), in cui il ricorso ai tentacoli è spiegato dal tentativo di aggirare le paradossali regole della censura giapponese. È, questo, un passaggio chiave per comprendere la nascita del tentacolo come figura ipertrofica che tornerà nell’immaginario pornografico orientale ed occidentale, e che l’autore ha il pregio di restituire in maniera chiara al lettore. In ragione di una separazione netta fra il dominio del reale e quello del fantastico, i legislatori giapponesi ammettevano la rappresentazione di una sessualità polimorfa, legata a pratiche feticistiche, perversioni e violenze – finanche pederastia e rapporti fra minori – , purché rimanessero nell’alveo dell’immaginario e non sconfinassero nella realtà attraverso la rappresentazione realistica degli organi genitali. Ecco, allora, la funzione del tentacolo, sostituto del suo referente proibito, il fallo, libero di muoversi a suo piacimento con fluttuante invasività in una iperbolica amplificazione delle sue funzioni e dell’immaginario che queste alimentano.
Un secondo passaggio fondamentale è la ricezione degli OAV presso il pubblico europeo ed americano attraverso l’assimilazione del Tentacle sex nel paradigma culturale della pornografia asiatica o giapponese e la riduzione della complessità del fenomeno ad una stereotipata opposizione Occidente/Oriente in cui il primo termine è portatore di modernità, razionalismo, emancipazione femminista ed il secondo di un’alterità che condensa tradizionalismo, irrazionalità, misoginia. Tale opposizione ha fatto dell’Oriente il produttore di una pornografia deviata, orrorifica, perversa, connotata in senso negativo. In realtà, il nesso tra fantastico, mostruoso ed erotico non è una peculiarità orientale, ma ha carattere transnazionale e bastino alcune figure mitiche come Baubò e Pasifae a dimostrarlo. Inoltre, come Benoît Carbone precisa, la circolazione degli original anime video nei canali internazionali è il risultato dell’interazione tra produzione,distribuzione e pubblico. In particolare, i distributori isolano il prodotto dal contesto originario e lo manipolano al fine di renderlo più rispondente ai gusti dei mercati europeo ed americano, rivestendolo dei caratteri dell’alterità e dell’estremo. Da qui la proliferazione di lungometraggi nel cinema americano in cui assistiamo a questa commistione fra horror ed erotismo – da Dunwich Horror a La casa, da Rosemary’s Baby ad Alien, fino a La mosca e ad altri film di Cronemberg – in cui il Tentacle erotica opera una sorta di “erotizzazione della violenza del corpo orrorifico o, viceversa, una trasformazione orrorifica del corpo erotico”,[5] molto spesso attraverso il marchio dello stupro, o comunque, della violenza. A dimostrazione del carattere transnazionale del binomio orrore-erotismo, più legato ad aspetti simbolici e psicologici universali, che a determinati contesti culturali.
Ma il Tentacle Erotica inizia ad occupare un posto stabile nell’immaginario solo con la svolta digitale e col canale distributivo della rete. È qui che l’autore rende conto di una miriade di serie televisive, videogame, rape game che, intrecciati con le mutazioni del dominio pornografico emerse dagli studi di Biasin, Maina e Zecca,[6] aprono il grande dibattito sul Tentacle Erotica quale dominio maschilista o istanza liberatoria. Se da un lato, infatti, l’associazione tra sesso e violenza che si esprime nel Tentacle Rape solleva questioni inerenti la normalizzazione dello stupro e della violenza e la riproduzione patriarcale e coercitiva della pornografia mainstream, è anche vero che tali aspetti di una sessualità polimorfa possono essere assunti come istanze sovversive e liberatorie, che si contrappongono alle rigide e omologanti prescrizioni di una sessualità normativa. Non è un caso, quindi, che il Tentacle Rape si sia diffuso nei percorsi carsici dell‘alternative porn, una pornografia autodiretta e women-friendly che contempla, oltre a pratiche BDSM libere e consenzienti, anche la riappropriazione e risemantizzazione di appellativi maschilisti e denigratori come bitch e slut. Tutto un insieme di subculture punk, cyborg e goth recuperano pertanto il Tentacle Erotica e le sue valenze violente incanalandole in pratiche contro culturali libertarie. Pur non potendoci esimere dal riconoscere il confine labile fra piacere e violenza che le varie forme espressive del Tentacle Erotica propongono, vale la pena ricordare che anche il discorso femminista anti-censorio da cui è scaturito il c.d. post-porno propone una decostruzione della soggettività normalizzata e stereotipata del porno mainstream, sganciandosi dalla rappresentazione di un piacere controllato e coerente con la divisone dicotomica della sessualità eteronormativa. I testi di Annie Sprinkle, Linda Williams, Beatriz Preciado e Donna Haraway ci parlano di una pornografia che si apre alla moltiplicazione degli sguardi e degli immaginari, non più catturati dentro ad un dimorfismo presentato come dato naturale, bensì liberi di trovare le forme rappresentative più consone ai proprio desideri.[7]
Dunque, tra riproduzione di forme sessiste e denigratorie ed istanze sovversive, la posizione anticensoria dell’autore appare estremamente interessante. Contrario alla normalizzazione della sessualità a delle forme prestabilite, egli invita piuttosto a valutare i singoli casi come produzioni specifiche di un determinato contesto e analizzarli in quanto tali.[8] Attraverso una ricognizione transnazionale e transtorica dell’immaginario e della cultura materiale sottesi al tentacle sex, Benoît Carbone arriva a concludere che ciò di cui dovremmo avere timore è, caso mai, la furia di un demone che, costretto sotto la cappa repressiva della normalità, riaffiora veemente dagli abissi in cui abbiamo preteso di confinarlo a prendersi la sua vendetta sulla realtà da cui è stato bandito. Possibilità di vendetta che invece manca al polpo, che il nostro sguardo specista ci impedisce di considerare come il termine altro su cui si consuma “la grottesca e mortale suzione in un sesso alieno, reso ancora più atroce dalla necrofilia del pubblico ludibrio”[9] Del resto il suo particolare antropomorfismo richiama le caratteristiche umane per negarle subito dopo nella forma fisiologica, rendendolo, al contempo, vicino e lontano dall’umanità. Ma proprio per questo capace di introdursi nelle inclinazioni naturali dell’immaginario, fino a diventare una figura chiave dell’immaginario erotico e mostruoso, grazie al fascino ambiguo che da esso promana. Abietto e seducente, mostruoso e lussurioso, il Tentacle sex è, nell’analisi di Benoît Carbone, “come la sonda di un corpus antropologico in cui si manifestano incessantemente la repulsione per l’alterità e l’attrazione verso di essa.”[10]
Note
[1]Occorre, tuttavia, dare conto dell’esistenza di un particolare tipo di Tentacle Rape, chiamato “yaoi” e diretto ad un pubblico femminile, in cui fra le vittime rientrano anche giovani uomini che intrattengono rapporti passivi con altri uomini, in cui la violenza raggiunge livelli molto alti. In generale fra i soggetti ricorrenti del Tentacle Erotica ci sono anche gruppi di ragazzi molto giovani, finanche minorenni.
[2]Tale suddivisione permette all’autore di rendere conto in maniera chiara del fenomeno, data la galassia sterminata e transmediale del Tentacle Erotica.
[3]M. Benoît Carbone, Tentacle Erotica. Orrore, seduzione, immaginari pornografici, Mimesis, Milano-Udine, 2013, p. 53.
[4] Per i riferimenti si veda Benoît Carbone, op cit, pp.17, 68-69.
[5] Ivi, p. 33
[6] Due aspetti fondamentali di questa mutazione prodotta dalla tecnologia digitale vanno qui esplicitati: uno è il processo di “pornificazione del mainstream”in cui rientra la diffusione del tentacolo stupratore , e l’altro è la dilatazione della “pornosfera contemporanea nei nuovi mondi del cyberspazio” in cui i tentacoli hanno avuto modo di proliferare ed espandersi. Cfr E. Biasin, G. Maina, F. Zecca ( a cura di), Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media, Mimesis, Milano, 2011, pp.13-14.
[7] Per un approfondimento delle varie posizioni delle autrici si veda: A. Sprinkle, Hardcore from the heart. The Pleasure, Profits and Politics of Sex in Performance, Continuum International Publishing Group, 2001; A. Sprinke, Post-Porn Modernis, San Francisco, Kleis, 1998; B. Preciado, Manifesto contra-sessuale, Milano, Editore il Dito e la Luna (collana Vibrazioni), 2002; B. Preciado, Testo Yonqui, Espansa Libros, S.L.U., 2008; D. Haraway, Simians. Cyborgs and Women. The Reinvention of Nature, New York, Routldege, 1991 (trad. parz. Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Milano, Feltrinelli Editore, 1995); L. Williams, Hardcore: Power, Pleasure and the Frenzy of the Visible, University of California Press, Berkeley-London-New York, 1999.
[8] Vedi Benoît Carbone, op. cit., p. 89
[9] Ivi, p. 105
[10] Ivi, p. 104.
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tysm literary review, Vol 6, No. 8, September 2013
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