philosophy and social criticism

Pierre Zaoui. Scomparire! Sovvertire!

Passants sous la puie dans une rue animee et populaire de Paris – Passers by in the rain, in a busy and popular street of Paris

di Francesco Paolella

Nota su: Pierre Zaoui, L’arte di scomparire. Vivere con discrezione, Il Saggiatore, Milano 2015, 138 pagine, 11 euro.

Qui non dobbiamo pensare alla discrezione (o arte di scomparire) come a una virtù, come a una possibile soluzione morale per la vita normale degli uomini (o almeno per alcuni fra gli uomini). Ci troviamo piuttosto nel campo minore (ma, proprio per questo, anche più libero) di un’arte che, pur non volendo risolvere grandi questioni né giungere a governare l’esistenza delle persone, può garantire delle esperienze significative, momenti preziosi e rari di abbandono davanti al mondo e alle sue apparenze.

Esperienze momentanee, discontinue (discrete appunto), ma che sanno bastare a loro stesse; esperienze che non sono mosse dal desiderio di una scomparsa definitiva dal mondo, per disprezzo del mondo, e che non sono mosse dai desideri (talvolta perversa) di uno spirito voyeuristico; esperienze mosse piuttosto dal bisogno di tirarsi fuori dal gioco, a volte crudele, del giudicare e dell’essere giudicati. A ben vedere, c’è una ambiguità di fondo nella discrezione così come ci è proposta da Pierre Zaoui: occorre ritirarsi di tanto in tanto dal mondo (e non come un eremita, va ribadito), per poterlo apprezzare, per non “inquinare” con la nostra presenza, il nostro sguardo visibile, con le nostre parole, tutto ciò che ci appare.

Non si tratta soltanto di esercitarsi nelle buone maniere (rimango in silenzio per lasciarti parlare). Né si tratta di fare un atto di semplice umiliazione (se non nel senso appunto di un ritirarsi per poter percepire il valore che è in ogni cosa fuori di me). Si tratta di una esperienza di liberazione momentanea dalla propria presenza, e dalla propria immagine pubblica. Da lì può venir una (pur fuggevole) felicità, una felicità pure minore e che nasce da una libera sottrazione, dalla rinuncia alla propria centralità, al possesso e alle ambizioni del possesso. Ed è anche una esperienza di bellezza, che ha più anche a che fare con la politica che con la morale.

Dove è possibile esercitare meglio questa arte? Non negli eremi, non nel deserto: ecco di nuovo l’ambiguità di cui si diceva più sopra. Occorre saper scomparire (o meglio: lasciarsi scomparire) proprio in mezzo agli altri, anzi essendo immersi nella folla. Dove si può essere più anonimi che in mezzo a mille altri uomini come me? Di più, ecco il flâneur in cammino che si perde per le strade affollate della metropoli come il soggetto a cui più facilmente può capitare di “vivere con discrezione”. In questo senso, l’arte di scomparire è un’arte periferica, minore sì, ma essenzialmente moderna, cosmopolita, proprio del mondo capitalista. Ed eccoci a tornare a Baudelaire (meglio, con il Baudelaire letto da Benjamin):

«Con Baudelaire, infatti, abbiamo visto che l’esperienza moderna della discrezione ai primordi era messa in gioco nella folla della città. Esperienza politica nel vero senso della parola, saper abitare la propria polis, la propria città moderna, ed esperienza tanto più pertinente politicamente in quanto nelle nostre società occidentali moderne non c’è più che il 2 o 3 per cento di contadini, e che le masse di popolazione suburbanizzata non offrono per il momento, almeno per quanto ne sappiamo, nessun modello alternativo di buona vita comune. […] In questo senso, la “folla” deve anche essere intesa come metafora di tutte le bellezze anonime che la nostra modernità produce: l’arte di strada e l’arte urbana in generale, le creazioni effimere del web, i bei gesti inosservati degli sportivi della domenica, persino i sorrisi fugaci in metropolitana» (p. 117).

Già così capiamo bene la portata di questa discrezione. Ed è raro leggere in termini positivi, ottimistici della folla, delle masse e dei loro mercati (reali e simbolici). Siamo portati immediatamente a pensare alle adunate oceaniche dell’epoca dei totalitarismi rossi e neri. E dunque a ritrovarvi soltanto alienazione, anonimato, la perdita dell’identità (e della libertà). Per Zaoui invece è proprio in mezzo alla folla che ci si può anche ritagliare un piccolo spazio di libertà paradossale. Liberiamoci per un momento da ciò che ci inchioda alla nostra identità, al controllo di ciò che ci circonda. Soltanto in mezzo a una gran massa di gente possiamo assomigliare davvero a un semplice elettrone, che si muove senza volontà, né paure, ne angosce.

Qui non c’è alcuna esaltazione del potere totalitario dei leaders di “gestire le folle”. Anzi: proprio questa nostra descrizione rappresenterebbe la possibilità – pure paradossale – di una forma minore, minima, di sovversione: la possibilità (virtù micropolitica), propria di una formica, di sottrarsi al dominio di ogni governo politico, ma anche dell’impero irresistibile della merce e dello spettacolo. E dunque l’esperienza di un “meno” che non si traduce in un “vuoto”, anzi nella capacità di riconoscere il bello, la bellezza che si nasconde per strada, e anche sul web, alzando gli occhi sulle “passanti” come insegnava Brassens tanti anni fa.

Dopo tutto, potrebbe restare comunque un dubbio: il dubbio per cui questa arte intermittente non sarebbe in fondo altro che l’ennesimo rifugio (inevitabilmente sedativo) nella conservazione. “Non c’è più niente da fare, consoliamoci con la discrezione!” Saremmo allora di fronte a un giochino per gente rassegnata e annoiata. Eppure, si tratta senz’altro di una sovversione minima, senza pretese e senza ragioni forti alle spalle, ma concreta. Non si può dire che reagire all’incantamento delle immagini, e all’esibizionismo spicciolo che ci divora il tempo, non possa essere vera sovversione.

[cite]

tysm review
philosophy and social criticism

vol. 26, issue no. 27

august 2015

issn: 2037-0857

creative commons licensethis opera by t ysm is licensed under a creative commons attribuzione-non opere derivate 3.0 unported license. based on a work at www.tysm.org