“El mondo dele cele l’è bastardo”. Scuola e libertà: la lezione di Concetto Marchesi
di Marco Dotti
1. «Mandandoci questo articolo», si legge nella nota editoriale del “Politecnico” (n. 6, 3 novembre 1945), Concetto Marchesi, professore di filologia classica all’Università di Padova «ci fa sapere di essersi dimesso dall’incarico di Rettore di quella Università per favorire l’elezione al rettorato del prof. Egidio Meneghetti che si distinse particolarmente nella lotta contro i tedeschi». Altri tempi, altra consapevolezza, altra etica, altro stile. Persino nelle aule universitarie. Persino nel cosiddetto baronato.
Farmacologo, nato a Verona nel 1892, Meneghetti divenne effettivamente rettore dell’ateneo patavino, dal 1945 al 1947. Lo legava a Marchesi un’amicizia nata non troppi anni prima, nei gruppi clandestini di Giustizia e Libertà. Nel 1944 fu lui a organizzare la brigata partigiana “Silvio Trentin” e nel gennaio del 1945 venne tratto in arresto e deportato nel campo di concentramento di Bolzano, dove rimase fino a Liberazione avvenuta. Proprio nel campo di via Resia, Meneghetti assistette alla morte di Bortolo Pizzuti e di una ragazza ebrea. Morte voluta dal “boia di Bolzano”, Michael “Micha” Seifert e dal suo sodale, l’altro SS Otto Sein.
In Lager-bortolo e l’ebreeta. Una canta in piassa, scritto in dialetto veronese e pubblicato dalla Tipografia Valdonega, con disegni di Tono Zancarano (che, negli anni delle discriminazioni razziali, sfidò il Regime offrendo istruzione gratuita ai ragazzini ebrei), nel 1955, Meneghetti ricorderà in versi l’avvenuto:
El mondo dele cele l’è bastardo.
De giorno
un straco pisocàr
de pansa uda
slanguorido da sogni da slapàr
(…la carne cruda… e lardo… lardo… lardo).
De note
ocio sbarà nel’ansia del spetàr
el camion par el campo de Dachau
(…el vien… no’l vien… ton, ton… o Dio, l’è qua…
Ma l’è’l to cor che bate da s-ciopàr).
E sempre, note e giorno,
i du Ucraini
Missa e Oto
che iè del’Esse-Esse.
«El mondo dele cele l’è bastardo», scriveva dunque Meneghetti, ricordando la presenza di ucraini a guardia delle gabbie del Polizei- und Durchgangslager Bozen. Ma dopo quello delle “cele”, ora bisognava guardare alla scuola.
2. Torniamo quindi a Marchesi. Caustico l’attacco del suo pezzo, che non a caso accenderà ben presto la miccia di una polemica con lo stesso Vittorini e, all’interno e fuori del PCI, sull’eventualità o la necessità o l’inutilità di rendere “meritocratica”, “moderna” o semplicemente “antitotalitaria” l’istruzione di base:
«Ora che il fascismo è caduto, ora che la libertà è ricuperata che cosa si farà? C’è una aspettazione delle piccole cose che dovranno procedere ai privati interessi, e delle grandi cose che dovranno rispondere alle vaste ispirazioni di nuovo aspetto sociale. La scuola è un miraggio cui generalmente e quotidianamente si volge la comune attenzione perché non c’è casa che non ne senta il problema». [1]
Il 6 gennaio 1946, al V Congresso del Partito Comunista Italiano, ricordando (anche) il dibattito innescato sul “Politecnico”, Marchesi ribadirà:
«Ho sentito dire che la scuola deve formare l’uomo moderno; io non so che cosa sia quest’uomo moderno. La scuola deve formare l’uomo capace di guardare dentro di sé e attorno a sé; a formare l’uomo moderno provvederanno i tempi in cui egli è nato. Ogni uomo è moderno nell’epoca in cui vive».
Va ricordato che il V Congresso del PCI, svoltosi a Roma dal 29 dicembre 1945 fu il primo dopo il primo “legale”, dopo la caduta del fascismo. Concetto Marchesi parlerà il giorno prima della chiusura dei lavori congressuali, avvenuta il 7 gennaio 1946.
Polemiche contingenti a parte, il perno attorno al quale ruota la riflessione di Marchesi è la scuola in quanto fattore di resistenza:
«Ricordo che la crisi profonda della nostra scuola, soprattutto universitaria, è cominciata da quando il predominio e il fascino della tecnica moderna ha sovrapposto i fini della utilità a quelli della scienza, i valori materiali a quelli del pensiero, i progressi tecnici a quelli spirituali, ciò che serve per la prepotenza dell’uomo a ciò che serve per la sua elevazione. Sulla base della utilità e della ricerca interessata si impedisce o si arresta il processo della intima formazione individuale. (…) Prima di avviarsi allo studio di una data scienza o arrestarsi nell’esercizio di un determinato lavoro, giova all’essere umano istruirsi e formarsi in una scuola che non sia specializzata; che non gli dia nozioni concrete, ma quasi al di fuori della sua realtà quotidiana; che gli allarghi l’orizzonte delle cose finite e sperimentate; che faccia seguire al mito della favola il mito della storia». [2]
Ancora:
«Non sembrerà esagerato affermare che quello scolastico si presenterà subito all’Assemblea Costituente come uno dei problemi capitali della rinascita del Paese se si pensa che attraverso la scuola verranno gli esperti della tecnica, della cultura, della produzione, della pubblica amministrazione: che nella scuola si formano c si fonneranno non solo gli artefici della vita sociale, ma gli artisti della vita spirituale… Noi vogliamo che milioni di italiani entrino nel circolo della vita nazionale. Chi darà i mezzi per questa leva dell’intelligenza? Si troveranno: non già nelle elargizioni dei mecenati milionari, ma nelle finanze dello Stato che provvedere a ridurre e a contenere le private fortune; si troveranno nel concorde tributo di tutti i cittadini che sentiranno nella scuola il presidio della nazione. In tanta rovina della Patria bisognerà certamente coltivare la terra, risuscitare l’artigianato, sollecitare e aiutare in ogni modo l’industria come potremo e come ci sarà concesso. Qui, nel lavoro paziente, è il nostro sostentamento: ma nella scuola è la nostra salvezza». [3]
Oggi, che queste «leve dell’intelligenza» si rivelano sempre più schiacciate tra un radicale precariato dell’insegnamento e un’esistenziale precarizzazione dell’apprendimento in salsa “digital”, possiamo dar torto a Marchesi? O, piuttosto, non converrà a tutti ricominciare da lui?
IL DISCORSO INTEGRALE DI CONCETTO MARCHESI → qui
Note
[1] Si cita dall’antologia, a cura di Marco Forti e Sergio Pautasso, “Il Politecnico”, Bur, Milano 1975, pp. 374-376.
[2] Concetto Marchesi, Nella scuola, la nostra salvezza, in Marco Forti e Sergio Pautasso (a cura di), “Il Politecnico”, cit., p. 376.
[3] Idem.
NB: approfondimenti sulla vicenda del Lager di Bolzano, si possono leggere nel quaderno a cura di Giorgio Mezzalira e Carlo Romeo, “(Circolo Culturale ANPI di Bolzano, Bolzano 2002, scaricabile qui)
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tysm literary review, Vol. 6, No. 9, November 2013
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