Sicurezza umana vs. paradigma sicuritario
Marco Dotti
Sicurezza è diventata una parola passpartout. Parlarne, senza evocare spettri, è un rischio per tutti. Rischio di non essere compresi per noia o superficialità. Rischio del malinteso.
Ma a ripensare il tema ci aiuta l’ultimo numero di Concilium, rivista di teologia internazionale che annovera tra i propri fondatori i nomi del calibro di Karl Rahner, Yves Congar, Edward Schillebeeckx, Hans Küng, Johann Baptist Metz e Gustavo Gutiérrez. L’ultimo numero della rivista, diretta per la sua edizione italiana da Leonardo Paris, ha per titolo proprio Sicurezza umana.
Cosa intendiamo con “sicurezza umana”? Il concetto di “sicurezza umana” e la sua idea di fondo – rimarcano nel loro editoriale i curatori del fascicolo Michelle Becka, Felix Wilfred e Mile Babić – derivano dal rapporto del 1994 sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite.
Nel Rapporto (p. 24) si legge: «Il mondo non sarà al sicuro dalla guerra finché uomini e donne non avranno sicurezza nelle loro case e nel lavoro». Parole che, oggi, potrebbero essere facilmente fraintese. Ma lo scopo del Rapporto 1994 sulla “human security” era circoscrivere il tema al campo della stabilità e della dignità dell’umano nel suo senso più pieno. Persone, quindi, non Stati o territori.
Rileggiamo ancora ciò che sciveva l’United Nations Development Programme:
«Per troppo tempo la nozione di sicurezza è stata concepita a partire dal potenziale di conflittualità esistente tra gli Stati. Per troppo tempo la sicurezza è stata identificata con le minacce alle frontiere di un Paese. Per troppo tempo le nazioni si sono mosse alla ricerca di armamenti per proteggere la loro sicurezza. Per molti oggi il senso di insicurezza nasce invece da preoccupazioni riguardanti la loro vita quotidiana, piuttosto che dal timore di un cataclisma mondiale. La sicurezza del lavoro, la sicurezza del reddito, la sicurezza sanitaria, la sicurezza ambientale, la sicurezza dal crimine: sono queste le preoccupazioni emergenti in tema di sicurezza umana in tutto il mondo».
La sicurezza umana, prosegue l’editoriale di Concilium, presuppone una doppia libertà: dalla paura (fear) e dal bisogno (want). Tutte e sette le dimensioni della sicurezza umana evocate dal Rapporto delle Nazioni Unite – lavoro, reddito, sanità, ambiente, crimine, sicurezza della comunità, sicurezza politica – sono oggi poste sotto pressione e messe in scacco. Per questa ragione, il concetto stesso di human security va più che mai, e con urgenza, riportato al concreto. La situazione fortemente mutata nel corso degli ultimi decenni rischia di farne un concetto vuoto e, come tale, pronto a tutti gli usi. Anche i più deleteri. Il rischio è quindi veder rovesciare istanze legittime che, a causa della loro costitutiva ambivalenza, possono diventare armi fra le mani dei populisti.
Perché una rivista di teologia dovrebbe occuparsi di questioni del genere? Perché la riflessione teologica, come emerge nei contributi davvero interessanti proposti da Concilium, contribuisce a sfidare l’ambivalenza del concetto di “sicurezza” sul suo stesso terreno: la complessità. In particolare, nel contributo “Attribuire peso etico alla sicurezza umana e renderla utilizzabile sul piano politico”, Erny Gillen, amministratore delegato di Moral Factory für Ethik & Leadership, invita a leggere il tema della human security non attraverso contrapposizioni dialettiche, ma – come da indicazione della Evangelii Gaudium di Francesco – in base a tensioni polari.
Come esseri umani possiamo agire nel tempo e nello spazio, occuparci dell’unità e del conflitto. Articolare la “sicurezza umana” nella tensione fra tempo e spazio, fra unità e conflitto è un primo passo, verso una quinta tensione polare: quella fra realtà e idea.
La tensione vitale fra libertà e sicurezza, osserva Gillen, può essere fruttuosamente tenuta in piedi solo se riusciamo a non ridurla a false polarizzazioni. Solo così, oltre a fuggire dall’ambiguità che sembra sottendere ogni discorso sulla sicurezza, il grande tema della human security potrà giovarsi della complessità che lambisce, toccando i veri problemi che si agitano al cuore del plesso libertà-sicurezza-cura della persona umana.
Fonte: Vita magazine, 9 luglio 2018
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