philosophy and social criticism

Roussel – Janet – Roussel

Enrico Valtellina

Roussel – Janet – Roussel

appunti su critica e clinica

enrico valtellina – copyleft 2009

Non un’analisi, il testo che segue è un foglio caduto dal tavolo di lavoro, metafora fuori tempo, piuttosto un copia e incolla. Tappa di un percorso. Toppa di un discorso.

Pierre Janet, clinico francese amico di Bergson, formatosi con Charcot alla Salpêtrière, cattedratico al Collège de France, stimato da Jung anche più di Freud e di cui Deleuze, in una lezione a Vincennes, dice essere grand parmi les plus grands, in uno dei suoi libri più suggestivi, De l’angoisse à l’extase, riporta il caso clinico di Martial. Martial Canterel è l’eroe di Locus solus. Quanti lo conoscano sanno che dietro l’avatar della divulgazione psichiatrica si cela Raymond Roussel.

Raymond Roussel, caso letterario, Raymond Roussel, caso clinico.

Del caso letterario si sono occupati Leiris, Foucault, Breton e tanti altri cultori delle eccellenze ai margini del campo letterario. Anche Sciascia ha scritto un bel libro sul caso, questa volta poliziesco-investigativo, del suo misterioso suicidio a Palermo.

Del caso clinico si è occupato Janet, che lo ha avuto in cura. Dopo Palermo, in cui lasciò la vita, Roussel avrebbe dovuto recarsi in Svizzera da Binswanger. Possiamo solo rimpiangere che l’incontro non abbia avuto luogo. Riporto i passi dedicati a Roussel in De l’angoisse à l’extase. A seguire brevi conclusioni.

Pierre Janet – De l’angoisse à l’extase

Estratti su Raymond Roussel

Dal vol. 1

Sono note le estasi di Plotino, quelle di Nietzsche e la celebre estasi di J. J. Rousseau al bois de Vincennes, rimando alle belle descrizioni che ne fa fatto Seillère. Ma voglio riportare una delle mie osservazioni, a cui farò riferimento anche nel seguito del testo, quella di Martial. Quest’uomo di quarantacinque anni, conduce una vita tutt’affatto singolare, vive solo, molto ritirato, molto isolato, in un modo che pare ben triste, ma che sembra riempirlo di gioia, visto che lavora pressoché costantemente. Lavora in modo regolare un numero determinato di ore al giorno, senza permettersi alcuna irregolarità, con un grande sforzo e spesso con grande fatica, ad elaborare delle grandi opere letterarie: «sanguino, dice, su ogni frase». Queste opere letterarie, di cui non è mio compito giudicare il valore, non hanno riscosso sino ad oggi alcun successo, non sono lette che da pochi iniziati, e per lo più vengono considerate insignificanti. Ma il loro autore coltiva rispetto ad esse un’attitudine ben peculiare: non solo prosegue il suo lavoro con instancabile perseveranza, ma afferma la convinzione assoluta ed inammovibile sul loro «incommensurabile valore artistico». La fiducia nel valore della propria opera, il richiamo alla posterità contro l’ingiustizia dei contemporanei, sono cose naturali in un autore ed in una certa misura legittime, ma sembra che in Martial tale convinzione si presenti in modo anormale. Attribuisce alle sue opere un’importanza smisurata, e non è mai smosso dall’evidenza degli insuccessi, non ammette per un istante che l’insuccesso sia giustificato da imperfezioni, non accetta la minima critica e il minimo consiglio, perseverando con fede assoluta nel destino che gli è riservato: «giungerò a vette estreme, e son nato per una gloria folgorante. Magari ci vorrà molto tempo, ma raggiungerò ad una gloria ancora maggiore di quella di Victor Hugo o di Napoleone. Wagner è morto venticinque anni troppo presto e non ha potuto conoscere la sua gloria, spero di vivere abbastanza per contemplare la mia… C’è in me una gloria immensamente potente, come in una granata non ancora esplosa… Questa gloria si diffonderà su tutte le mie opere senza eccezione, si rifrangerà su tutti gli atti della mia vita, ricercheranno ogni gesto della mia infanzia e ammireranno il modo in cui giocavo a “mondo”… Nessun autore è stato né potrà essermi superiore, anche se fino ad oggi nessuno se n’è accorto, che volete, ci sono granate che si innescano con difficoltà, ma quando esplodono! Che volete, ci sono dei predestinati! Come dice il poeta: ecco che si sente una bruciatura in fronte… La stella che si porta in fronte splende. Sì, ho sentito una volta che avevo la stella in fronte e non lo scorderò mai più». Queste affermazioni a proposito di opere che non sembrano destinate a conquistare un vasto pubblico e che tanto poco hanno attirato attenzione, sembrano indicare debolezza di giudizio o esaltazione d’orgoglio, evidentemente patologici e in rapporto ad uno stato di agitazione. Ora, Martial non merita né l’uno né l’altro rimprovero: è perfettamente giudizioso rispetto ad ogni altra questione, modesto e timido, piuttosto che esaltato, vive uno stato di depressione con tendenza alle ossessioni e alla debolezza della volontà riflessa. Questa convinzione di gloria non è in relazione con uno stato psicologico presente, è il residuo di un disordine psicologico ben precedente, che solo può darne spiegazione.

Martial, giovane nevropatico, timido, scrupoloso, spesso depresso, ha manifestato a diciannove anni uno stato mentale che egli stesso giudica straordinario. Rivoltosi alla letteratura, preferita ai suoi studi precedenti, intraprese la scrittura di un’opera in versi che intendeva concludere prima del compimento dei vent’anni. Giacché l’opera doveva realizzarsi in migliaia di versi, lavorava assiduamente, pressoché senza pause, giorno e notte, senza provare alcun senso di fatica. Poco a poco si senti pervadere da uno strano entusiasmo: «si sente quando c’è qualcosa di particolare che rende tale un capolavoro, che si è un prodigio: ci sono bambini prodigio che si manifestano a otto anni, io mi sono rivelato a diciannove anni. Ero pari a Dante e Shakespeare, provavo ciò che Victor Hugo, ormai anziano, sentiva a settant’anni, ciò che Napoleone sperimentò nel 1811, ciò che Tannhauser sognava al Venusberg: sentivo la gloria… No, la gloria non è un’idea, una nozione che si apprende constatando che il vostro nome volteggia sulle labbra degli uomini. No, non si tratta del sentimento del proprio valore, della consapevolezza che si merita la gloria. No, non sentivo il bisogno, il desiderio della gloria, e nemmeno ci avevo mai pensato in precedenza. Questa gloria era un fatto, una constatazione, una sensazione, avevo la gloria… Ciò che scrivevo era pervaso di sfavillii, serravo le tende per timore che potessero uscire dalla finestra i raggi luminosi che promanavano dalla mia penna, volevo d’un colpo ritrarle per illuminare il mondo. Trascinare questi fogli avrebbe prodotto dei raggi tanto luminosi che sarebbero giunti fino in Cina, e una folla sperduta si sarebbe abbattuta sulla mia casa. Poco potevano le mie precauzioni, la luce si irradiava dalla mia persona ed attraversava i muri, portavo il sole in me e non potevo impedire questa straordinaria folgorazione di me stesso. Ogni frase era ripetuta in migliaia di esemplari e scrivevo con migliaia di penne fiammeggianti. Con ogni probabilità, all’apparizione del volume, questo focolare abbagliante si sarebbe svelato e avrebbe illuminato l’universo, ma non sarebbe stato creato allora, lo portavo già in me… Vivevo uno stato di felicità sconosciuta, un colpo di piccone mi aveva fatto scoprire un filone meraviglioso, avevo vinto il premio più strabiliante. Ho vissuto più in quel momento che in tutto il resto della mia vita». Nel frattempo Martial si disinteressava di tutto il resto e gli costava fatica interrompere di quando in quando il lavoro per mangiare qualcosa. Non era assolutamente immobile, scriveva, faceva qualche passo, ma restava ore immobile, con la penna in mano, assorto nelle sue fantasticherie e nel sentimento della sua gloria.

Questo entusiasmo e questi sentimenti, con oscillazioni, si protrassero il tempo della scrittura dei suoi versi, cinque o sei mesi, diminuirono decisamente durante la stampa del volume. Quando il libro apparve, il giovane autore scese in strada colmo d’emozione e, quando si accorse che la gente non si voltava al suo passaggio, il sentimento di gloria e luminosità si esaurì bruscamente. Allora cominciò una profonda crisi di depressione melanconica accompagnata da un bizzarro delirio di persecuzione, una forma ossessiva dominata dall’idea delirante della denigrazione universale degli uomini, gli uni contro gli altri. Ritroveremo più oltre questo sentimento a proposito delle nostre ricerche sugli atti e i sentimenti di valorizzazione sociale. Questa depressione durò a lungo e guarì molto lentamente, lasciando tracce che permangono a tutt’oggi.

Ma da questa crisi di gloria e illuminazione ha conservato la convinzione inammovibile che egli aveva avuto la gloria, che possedva la gloria, che gli uomini la riconoscessero o meno, poco importa. Ama citare a tal proposito un passaggio del libro di Bergson sull’«energia spirituale»: «si tiene all’elogio e agli onori nell’esatta misura in cui non si è sicuri di essere riusciti. C’è della modestia, al fondo della vanità. È per rassicurarsi che si cerca l’approvazione ed è per sostenere la vitalità forse insufficiente della propria opera che la si vuole circondata dalla calorosa ammirazione degli uomini, come si mette nella bambagia il bimbo nato prematuro. Ma colui che è assolutamente certo di aver prodotto un’opera valida e durevole, non sa che farsene degli elogi e si sente al di sopra della gloria, perché sa che la gioia che prova è una gioia divina». Martial ha scritto altri volumi, è vero, ma non per realizzare qualcosa di superiore alla sua prima opera, non ci sono progressi nell’assoluto, ed egli ha raggiunto al primo volume l’assoluto della gloria. Al più, questi volumi ulteriori aiuteranno il pubblico ignorante e ritardatario a leggere e vedere gli irraggiamenti del primo.

Egli ha in effetti conservato un secondo sentimento, il desiderio intenso, la passione folle di ritrovare, non fosse che per cinque minuti, I sentimenti che hanno inondato il suo cuore per qualche mese quando aveva diciannove anni «Ah, quella sensazione di sole morale, non l’ho più ritrovata, la cerco costantemente e continerò sempre a cercarla. Scambierei tutti gli anni che mi restano da vivere per ritrovare per un istante quella gloria. Sono Tannhauser che rimpiange la Venusberg». Spera che un certo successo mondano potrebbe riportare quella sensazione interna di gloria, ed è per ciò che scrive nuovi libri e che talvolta si produce in manifestazioni autoaffermative. «Ma poco importa il loro successo o il loro fallimento, ciò rimanda solo la constatazione collettiva della gloria, ma non ne intacca in alcun modo la realtà».

Molte cose si possono apprendere da questa bella osservazione, segnalo solamente che su più punti si approssima a ciò che si ritrova nelle estasi religiose. In queste estasi laiche, in quelle di Jean-Jacques Rousseau, di Nietzsche, in quelle di Martial, ritroviamo l’arresto della maggior parte delle azioni esteriori, il lavoro interiore, la ripresentazione continua della storia, la fede assoluta che persiste successivamente alla crisi per anni e soprattutto il sentimento di gioia strabordante. Ma manca la grande e solenne immobilità dell’estasi, J. J. Rousseau va e viene, Martial conduce una vita pressoché normale, un pasto fugace poi torna nella sua camera, si siede alla scrivania e lavora, scrive, elabora indefinitamente i suoi versi. Il soggetto conserva interessi umani, perché la politica, la gloria letteraria, presuppongono che ci siano dei cittadini, dei lettori, che tengon conto delle loro azioni e delle loro opinioni. La felicità prospettata è decisamente grande, ma non differisce moltissimo dalla devozione che portiamo ai re o agli scrittori celebri, non è una felicità assolutamente inedita. Sarei portato a dire che questi stati, in particolare in Martial, sono analoghi alle consolazioni di Madeleine, quando esce dall’estasi, ai suoi stati di raccoglimento. Malgrado queste differenze, il contenuto delle idee si approssima alle concezioni religiose, si tratta di filosofia, di politica ideale, di letteratura immaginaria e di pura bellezza artistica. Martial coltiva una concezione decisamente interessante della bellezza letteraria, bisogna che l’opera non contenga nulla di reale, nessuna osservazione del mondo o degli spiriti, null’altro che combinazioni assolutamente immaginarie: sono idee di un mondo extra-umano. La vera estasi, con immobilità, disinteresse assoluto per la vita e una felicità al di là dell’esperienza umana, prenderà necessariamente una forma più religiosa, condurrà a una vita divina, una vita in Dio, una vita da Dio. L’osservazione di Flournoy ci presenta un individuo fino ad allora irreligioso che, dopo un periodo di esaurimento, sperimenta una autentica crisi d’estasi, in cui si sente sollevare, in cui «sente Dio»: «non è possibile, dice, che Mosè sul monte Sinai sia stato in una comunicazione più intima con Dio». In seguito a tale crisi rimase convinto di avere sentito Dio e si convertì. Le idee e i sentimenti religiosi fanno parte della definizione dell’estasi completa.

Dal vol. 2

Esiste, come ho dimostrato, un gruppo di fenomeni che possono essere definiti estasi laiche, meno perfette delle estasi propriamente religiose, seppur con forme analoghe. Se si considerano tali estasi laiche, vi si troveranno le stesse trasformazioni delle credenze. Martial parla della gloria come i mistici parlano di Dio, la certezza di possedere la gloria non tollera alcun dubbio, benché non si fondi su alcuna ragione: «È una vera ispirazione, è più vera di una percezione, è una specie di percezione luminosa, perché questa gloria esplode, si manifesta attraverso raggi luminosi che promanano dalla sua penna dai suoi fogli, da tutta la sua persona». Questa gloria inverosimile è del resto poco logica, è ovunque, in lui e fuori di lui, è un’idea e un essere, come egli stesso è Napoleone e Victor Hugo, rimanendo sempre se stesso. Si potrebbero ripetere utilizzando le parole di Martial la maggior parte degli studi che stiamo conducendo su Madeleine.

Il testo si conclude evocando Madeleine, altra meravigliosa eroina del libro. Dall’esposizione di Janet del suo caso clinico, non traspare molto della curiosissima biografia di Raymond Roussel. Tra gli uomini più ricchi di Francia, si era fatto costruire per viaggiare una specie di roulotte, che doveva essere ben singolare, se anche Mussolini andò a visitarla al suo passaggio a Roma. Durante i suoi viaggi si disinteressava completamente ai luoghi in cui si trovava. Ogni prima delle rappresentazioni delle sue opere teatrali finiva in tafferugli. Per rivivere l’estasi laica, la gloria, l’étoile au front dei suoi diciannove anni, sperimentava gli effetti paradossi dei barbiturici. Cosa che in parte credo possa assolvere Raymond da buona parte della sintomatologia riportata da Janet.

Digressione.

“Per me l’immaginazione è tutto”, scriveva Roussel. L’immaginazione onirica trascendente, contrapposta da Foucault nell’introduzione a Traum und Existenz di Binswanger all’immaginario, repertorio iconico determinato, è quanto più faccia segno all’immaginazione come pratica della scrittura di Roussel.

C’è da chiedersi quale catalogazione clinica toccherebbe a Roussel in tempi di DSM. Nel repertorio dell’immaginario psichiatrico contemporaneo, dai limiti ben più angusti dello sguardo di un grande clinico come Janet, le collocazioni potrebbero essere molteplici, disturbo generalizzato dello sviluppo, spettro autistico, in una delle sue eteree partizioni, AS, HFA, PDD-NOS. Ma anche bipolare, schizoide, il tutto aggravato da un evidente disturbo narcisistico della personalità. E la soluzione: non più barbiturici ma neurolettici e antidepresssivi.

Leggendo Roussel si manifesta in tutta la sua gloria lo splendore della trascendenza immaginativa, tanto più meravigliosa se contrapposta alla povertà dell’immaginario psicodiagnostico che la giudica.