philosophy and social criticism

Relazione al Comitato Centrale delle Comunità

Adriano Olivetti

Milano, 10 luglio 1949

Manifesto Olivetti di Giovanni Pintori (1949)

Collaborarono a Comunità dei socialisti e dei cattolici, ma essa rimase, in quel tempo, quasi esclusivamente una rivista di cultura. Si richiamava talvolta all’ordine politico delle Comunità, ma i suoi legami colla vita reale erano del tutto insufficienti e insoddisfacenti. Non avendo una forza politica caratterizzata alle sue spalle, non riuscì nemmeno a divulgare in modo concreto e intelligibile i principi comunitari, che pure anche allora erano i soli a contendere sul piano teorico le ideologie invecchiate dei partiti politici.

Intanto la vita travagliata del Partito Socialista [Italiano] di Unità Proletaria, a cui appartenevano la maggioranza degli scrittori, [si] volgeva verso il proprio sfacelo, verso la scissione che era inevitabile. Tuttavia le idee di Comunità avevano trovato un importante campo di espressione nell’Ufficio Studi del Partito stesso, in via Piemonte a Roma.

Lunghe sedute, durate ore e ore per lunghi mesi, mi resero consapevole che le idee di «Comunità» più caratteristiche sul piano politico, ad esempio la riforma della rappresentanza, partendo dalle nuove unità amministrative, la creazione di Comunità provinciali, potevano essere accettate da quei membri del Partito dotati di larga cultura politica, onde nell’insieme l’Ufficio Studi era largamente informato e assai favorevole alle nostre idee.

Le quali furono per merito principale del Professore [M.S. Giannini] introdotte nello schema di avanprogetto costituzionale, che un’apposita commissione, nominata dal congresso di Firenze, presentò nei giorni precedenti [al]la costituente alla Direzione del Partito.Senonché la relazione della commissione rimase negli archivi della Direzione e non credo che fu nemmeno passata in copia ai costituenti neo-eletti. L’opera di Comunità diventava, in quell’atmosfera e in quel tempo non ancora maturo, sterile. L’ultimo articolo di fondo nel settembre di quell’anno porta delle affermazioni che conviene ricordare, perché servono ancor oggi a inquadrare la nostra posizione.

«La ricerca di una nuova soluzione feconda per la nostra vita politica deve trovarsi in ben altra direzione, dopo un processo serio, capace di analizzare fino in fondo il processo di crisi e di evoluzione dei due grandi movimenti di massa: socialismo e democrazia cristiana, in entrambi i quali in tutta Europa e per cause comuni la crisi e il disagio sono evidenti. In questi due grandi organismi non si è ancora operato il processo di democratizzazione interna, in mancanza del quale lo stato di manifesta interiorità dei suoi spiriti migliori sembra protrarsi indefinitivamente.

Tuttavia vi è – entro questo stato di cose – una situazione non sufficientemente considerata; anche quando fosse sancito e operante in queste due grandi organizzazioni politiche uno statuto tradizionalmente democratico, esso comporterebbe una tragica contraddizione. Se, come pensiamo noi, la democrazia pura è insufficiente a garantire nello Stato le libertà individuali, questa democrazia sarà ugualmente falsa e inconcludente nella vita dei grandi partiti, ove si riproducano, sia pure su un piano diverso, gli stessi dati e gli stessi termini del problema. Solo un partito sostanzialmente nuovo nel suo modo di essere, non nella sua etichetta, che presentasse nella sua azione politica una molteplicità di valori ormai da tutti reclamata, potrebbe garantire nella vita politica italiana l’innesto di forze nuove, suscitare l’entusiasmo dei giovani, essere lievito di una vera rinascita». «Se la democrazia politica è invecchiata occorre ritrovare ad ogni costo quel pluralismo delle fonti del potere che caratterizzano in Gran Bretagna il Labour Party, la cui forza segreta risiede nella sua caratteristica di essere una complessa integrazione di forme politiche, forze sindacali e di organismi cooperativi. L’effettivo riscontro nella struttura interna di partiti socialisti europei di un tale pluralismo funzionale è minimo».

[testo tratto da Adriano Olivetti, Fine e fini della politica, a cura di Davide Cadeddu, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010]

tysm, n. 1, dicembre 2010

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