Oltrenatura
Francesco Paolella
A proposito del libro di Louis-Georges Tin, L’invenzione della cultura eterosessuale, :duepunti, Palermo 2010.
Louis-Georges Tin si muove invece in una direzione diversa, avendo voluto compiere con questo libro appena tradotto in italiano un primo, importante tentativo di storia dell’eterosessualità (e non della sessualità). Ma che senso ha fare la storia dell’amore fra uomini e donne? Tin invece si chiede perché si sia scritto così poco di eterosessualità, mettendo in questione appunto il fatto che l’eterosessualità appaia come un fatto assolutamente naturale, assolutamente normale. E invece si tratta qui di rendere visibile e problematica proprio questa onnipresenza.
Per Tin, giovane ricercatore francese che si dedica agli studi letterari, oltre che ai gender studies e, diremmo soprattutto, all’attività militante contro l’omofobia (la Giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia è opera sua), porre la «questione eterosessuale» significa porre l’eterosessualità come problema anzitutto storico, mostrarne la contingenza – seppure oggi essa abbia più che mai prima forse l’onnipotenza di un “impero”).
L’eterosessualità è (sarebbe) talmente naturale ed evidente da non avere bisogno di una spiegazione (che per altro non si vede). Di più, questo tema apre il campo a tutta una serie di altre questioni: ad esempio, che rapporto c’è stato nei secoli passati in Occidente fra l’affermazione culturale dell’eterosessualità e l’organizzazione della società? E, ancora più radicalmente: è vero che tutte le culture umane sono necessariamente eterosessuali?
Occorrerebbe forse chiederci se le culture eterosessuali – cioè quelle in cui l’attrazione per l’altro sesso è ovunque figurata, coltivata, celebrata – non costituiscano piuttosto un caso particolare al quale ragioni storiche legate all’espansione economica e coloniale hanno dato le apparenze della generalità. Poiché in effetti in molte società le pratiche eterosessuali pur costituendo l’uso comune non sono mai esaltate nei modi dell’amore e ancor meno della passione. Costituiscono un’esigenza sociale obiettiva, che struttura evidentemente i rapporti sociali di sesso, nei quali vige in generale il dominio maschile; ma non sono affatto sublimate, poiché il desiderio dell’uomo per la donna è percepito nel contempo come necessario e secondario (p. 12).
Si tratta dunque di una “ossessione” per l’amore fra i sessi, che si è imposta in Europa lentamente, ma inesorabilmente, a partire dal XII secolo, ossia quando iniziò il passaggio (difficoltoso, contraddittorio) da una cultura essenzialmente omosociale (amore e amicizia fra uomini) a una cultura eterosessuale, attraverso l’affermarsi della società cortese.
Tin ha limitato il suo campo di indagine sostanzialmente alla storia francese e si sofferma soprattutto su esempi letterari. Ad ogni modo, egli riesce molto efficacemente a rappresentare come sia stato potente il rovesciamento di una cultura fondata sulle “passioni virili”, ad una cultura in cui dominavano le figure femminili. Se l’eroe, il cavaliere doveva prima temere le donne, o non ne doveva comunque avvalorare assolutamente la preminenza, ecco che con l’etica cortese divenne anzitutto un dovere (anche per fugare sospetti) diventare un cantore e un corteggiatore di donne.
Eppure questa valorizzazione simbolica [delle donne] non implicò automaticamente un miglioramento sul piano materiale. Al contrario. In effetti, se è vero che il XII e il XIII secolo furono epoche di idealizzazione del femminile, in questo periodo si rafforzarono tuttavia le norme e il controllo imposti alle donne, e la caccia alle streghe è solo un caso estremo a testimonianza di questo nuovo rigore. In definitiva, tutto avviene come se il discorso su la donna, su ciò che è, e soprattutto su ciò che deve essere, implicasse per un verso che si glorificasse una rappresentazione immaginifica del sesso femminile, e che per altro verso si castigassero le donne che sembravano discostarsi eccessivamente da questo ideale tirannico. L’inverso dell’idealizzare consiste nel demonizzare, nel peso sempre crescente dei vincoli sociali che obbligavano le donne a conformarsi sempre meglio all’immagine maschile del secondo sesso (p. 45).
Il libro attraversa dieci secoli di storia europea soffermandosi su tre fonti di resistenza (cavalleresca, clericale, medica) contro questa eterosessualizzazione della società. A ben vedere, i protagonisti del libro sono tre: oltre all’eterosessualità, le donne e gli omosessuali. Questo è senza dubbio un libro che non può fare a meno di mostrare come la sodomia sia divenuta omosessualità, con la medicalizzazione di questa che si impose nell’Ottocento. A ben vedere, lo stesso termine eterosessualità era nato nello stesso periodo in ambito psichiatrico nel senso appunto di una malattia psichica. Il ruolo avuto dalla medicina moderna nell’affermazione dell’eterosessualità, a cui prima si oppose, ma che poi rivalutò, è a nostro avviso il più significativo. La clinica dell’«erotomania» (già nota come «melanconia erotica») si trasformò radicalmente fra XIX e XX secolo. Se fino a un certo punto vigeva una tripartizione (normalità, eterosessualità, omosessualità), si impose poi definitivamente l’idea secondo la quale era soltanto l’omosessualità la vera, pericolosa anormalità. Senza dubbio molti fenomeni sociali (prima fra tutti il nascente femminismo) pesarono in questa ulteriore, definitiva normalizzazione dell’eterosessualità, condannando l’omosessuale a soggetto da dover essere spiegato, guarito, o, al limite, eliminato.
Molto interessanti, in questo senso, le pagine che Tin dedica al tema (massimamente politico) dell’educazione all’eterosessualità, dominante per tutto il Novecento e ancora oggi.
Per tutto il XX secolo, dunque, fondandosi sulle ricerche “scientifiche” più “avanzate”, i pedagogisti cercarono per un verso di indurre l’eterosessualità nei bambini, dichiarando però nel contempo che fosse qualcosa di assolutamente naturale, e per altro verso di reprimere le cause possibili di un’eventuale omosessualità, che evidentemente denunciavano come contro natura. Al prezzo di questo doppio paradosso, questa ingegneria sociale aveva dunque come obiettivo la fabbricazione del naturale (p. 187).
La storia delle riforme pedagogiche è anche la storia delle lotte preventive contro la masturbazione (omosessualità perfetta) e alla promiscuità: ecco allora l’introduzione delle classi miste, pur cercando sempre di mantenere ben chiare le differenze fra maschi e femmine; ecco la “bonifica” dai programmi scolastici – eterosessualizzando nei manuali le opere di Michelangelo o di Shakespeare.
La Francia di oggi è un paese dove vige la «laicità sessuale», ma dove in realtà la superiorità dell’eterosessualità è ribadita ovunque e continuamente. D’altra parte, l’educazione sessuale nelle scuole non soltanto eterosessuale?
tysm, n. 1, dicembre 2010
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