philosophy and social criticism

“Un uomo felice sorpreso dal dubbio”: Hugo Claus

Cees Nooteboom

Hugo Claus (1929-2008)

Un giorno inizia una cosa così. Un’amicizia tra scrittori. Il ragazzino olandese che delle Fiandre non sa molto più di ciò che ha appreso durante un giro in bici, giunge in una stanza sulla Predikherenlei a Gand, in cui un giovane di Oostakker con una testa da Romano è seduto a un tavolo stile impero con decorazioni in oro, di fronte a un grande e colorato dipinto murale. Questa prima impressione resta l’immagine dominante, delinea il rapporto, la gerarchia. Il più vecchio, il più giovane. Il più vecchio, già allora, ha l’aspetto del maestro anche se tenta di spogliarsene con ironia. Il più giovane ha scritto versi consoni alla sua età, che rivelano le sue letture, la poesia di un’epoca passata. Il più vecchio dispone di un organo barocco entro cui soffiano i tempi nuovi, un’alta forma di retorica legata al suo paese natale, ma anche a una connaissance du monde che va molto al di là dei confini di quel paese – un composto alchemico tra nazionale e mondiale che trasmuta il piombo in oro. […]

Tutto questo avveniva più di cinquant’anni fa. Nella sua vita da vagabondo il più giovane – che allora ero io, e che rispetto all’altro sono sempre rimasto – ha sempre cercato questo contatto. Ho fatto visita a Hugo in un’infinità di appartamenti, a Nukerke, Gand, Anversa: uno scrittore nell’elemento naturale del suo mondo. Non c’è stato viaggio in Spagna senza questa immersione in un fiume di cene, giochi, pettegolezzi, negli annessi e connessi di un’opera poliedrica, un flusso inarrestabile di poesie, drammi, quadri, racconti, romanzi, una valanga di creatività, in cui nature e misure così diverse sono state continuamente temprate.

Una tale inondazione ti tenta, devi sapere molto bene chi sei prima di poterlo sopportare da un altro, e per scoprirlo ci vuole una vita intera. […] Tra le altre cose bisognava sapere come perdere a ping-pong. Se si faceva il gioco di parole per cui l’ultima lettera di un nome doveva diventare la prima di quello successivo, la disfatta era stabilita fin dall’inizio, poiché la sua riserva di poeti oscuri, pugili, pornografi letterari e ciclisti non aveva fine. Quell’amicizia ha significato per me l’iniziazione a molte cose a cui fino ad allora non avevo avuto accesso. […] E la letteratura? Ne abbiamo parlato? Non proprio, penso ora. Non era nemmeno necessario.

Tratto da: “Hem kennen was hem bewonderen”, in “Ich hatte tausend Leben und nahm nur eins“. Ein Brevier, hrs. Rüdiger Safranski, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main  2008; trad. it. di Marco Agosta e Fulvio Ferrari: Avevo mille vite e ne ho presa una sola, Iperborea, Milano 2011, pp. 52-54.

Creative Commons License This opera by t ysm is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 3.0 Unported License. Based on a work at www.tysm.org.

ISSN:2037-0857