philosophy and social criticism

Il giovane Ferretti

Dario Borso

Il marchigiano Massimo Ferretti (1935-1974) figura nell’ultima Garzantina-Letteratura come «una delle voci liriche più toccanti del secondo Novecento». Eppure è autore di un solo librino di poesie, Allergia. Se l’era fatto stampare a sue spese da una tipografia di Jesi nella primavera del ’55 e l’aveva subito spedito a pochi, tra cui Pier Paolo Pasolini quale redattore della rivista «Officina». PPP gli risponde il 2 dicembre, con una proposta: «Uscire su Officina significa essere presi in considerazione da tutti i principali lettori italiani, mentre uscire da Schwarz è un handicap», perché «ha pubblicato un pacco di inutili libri vanitosi». Pur avendo nel frattempo firmato con Schwarz, Ferretti ci sta, sicché a marzo ’56 sul n. 5 di «Officina» compaiono sei poesie da Allergia più la parte finale di un’ancor calda Ode a Pier Paolo Pasolini. E a sanzionare l’esordio, PPP aggiunge un saggetto suo dove Ferretti appare compare come rappresentante del «neo-sperimentalismo tout court, espressionistico» (mentre Zanzotto di quello ermetico e Sanguineti di quello politico).

La corrispondenza continua poi per un anno intero: PPP ritiene il giovane un «fantastico mistero», Ferretti risponde che il suo unico mistero è un’endocardite reumatica; PPP insinua qualche critica («estetizzi, ti compiaci del maledettismo»), Ferretti ribatte («non recito nessuna parte da maledetto: non mi importa niente della poesia, anzi la odio: voglio solo un po’ di pace») e chiede se a Roma potrà fare l’attore; PPP reagisce durissimo («Non fare il super-uomo, il solito poetastro rompicoglioni, dilettante e presuntuoso») esortandolo a continuare gli studi, salvo smorzare successivamente i toni («Ho esagerato un po’ nel fare il filisteo»).

Così si giunge ad aprile ’57, quando Ferretti sul n. 8 di «Officina» legge Al di là della speranza, replica di Franco Fortini a Una polemica in versi uscita sul numero precedente, dove un PPP avverso ai comunisti si era per la prima volta professato frequentatore «esperto di uomini venduti /nei più scuri mercati della vita», da cui riportare «attestati muti /d’allegria in cuore a una città nemica».

Ferretti, cui era evidentemente sfuggita Una polemica, rimane stupito da due passaggifortiniani. Il primo stigmatizza PPP: «Nei vicoli biechi /e teneri ti sciogli, dell’afosa /notte di Roma, e poi torni e ti rechi / intatto al verso. Quella libertà /che ti perdoni, ad altri tu la togli /e del nulla sei complice e del male /del tuo popolo. A corte, poi, ti vale /leggere come l’anima disciogli /nei tuoi poemi in nitide querele, /fra chi, come te, sa». Il secondo attacca l’Ode senza nominarne l’autore, «in odio a chi vanta nel verso tuo la Vita /miele dei morti e del peccato». La reazione di Ferretti si fissa in 78 versi intesi come «Appendice all’Ode» e titolati La canzone del filisteo. «Io non sapevo» è l’incipit, seguito da una specie diaggravante: «proprio io, l’esperto di cose sessuali». Non il moralista dunque, ma il ragazzo che tiene all’uscita dal cinema «un comizio di due ore /per spiegare tutti i segni fallici» della Bambola di carne di Ernst Lubitsch… E poi via, più seriamente:

Non giudico la forza del tuo male –

ma nella luce del tuo destino umano

ho perduto per sempre la mia fede,

la fede di credere nel mondo

ignorando il dolore di difendermi

dal cupo tarlo della diffidenza

che avvelena i palpiti più puri.

E se togliamo al canto la purezza

nell’età del romanzo funzionale,

che possiamo pretendere dai versi

che scriviamo per il mondo

e li leggiamo solo noi,

facendoci le corna e le moine,

troppo orgogliosi per sentirci in gruppo

e troppo vili per restare soli?

E per averti cantato dentro un grido

di chi ha patito tanto

da avere fiducia nel dolore,

ho dovuto subire l’invettiva

dei versi esangui d’un ideologo contrito:

io il miele me lo mangio sopra il pane,

e i miei peccati li sconto in questo mondo

dove nacquero e dove resteranno

implorati alla sacra maestà della Natura

e a lei ridati con grata devozione.

Ma all’onestà non posso rinunciare,

alla forza di essere me stesso

nella chiarezza e nelle confusioni

nella paura e nel coraggio estremo

nella furia e nelle debolezze;

non posso rinunciare alla potenza

di distinguere la vita dalla morte,

il bene immoto dal male sempre vivo.

PPP intanto sta approntando per il nuovo numero di «Officina» un’antologia di quattro giovani poeti neo-sperimentali: Arbasino, Pagliarani, Sanguineti e il Nostro, di cui mostra di apprezzare assai due poesie nuove, nonostante lo «stranissimo biglietto» di accompagnamento, da imputare a chissamai quale «orgoglio maledetto-provinciale»… finché a metà giugno riceve La canzone, che subito gira agli altri redattori: «ecco le ragioni del turbamento di Ferretti: ve le spedisco perché mio padre è curioso e legge tutta la mia corrispondenza».

Una copia rimase però a Jesi, riesumata ora dal fratello Maurizio che ringrazio. Andrà, spero, a riabilitazione parziale di Massimo, tacciato di omofobia da PPP nel 1963 in Il sogno della ragione, e da Walter Siti quarant’anni dopo in nota a un Meridiano Mondadori. Ingiustamente, ché Ferretti, a differenza di Fortini, accettava l’omosessualità, anche se a differenza di PPP ne rifiutava il mercimonio.

[da Vita, 29 luglio 2011]

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ISSN:2037-0857