philosophy and social criticism

Nel ventre del Leviatano: Arno Schmidt. Dialogo con Dario Borso [I]

di Marco Dotti

21552AB

Il destino di Arno Schmidt sembra quello di uno scrittore arrivato troppo presto per essere compreso di petto e troppo tardi per essere ripreso per la coda: riconoscimenti e persino premi letterari gliene sono stati conferiti, ma lui sembrava trovarsi comunque fuori posto… Eppure, anche se Schmidt è sfuggito alle maglie della critica più imbonitrice, negli anni ha trovato una comunità di lettori assolutamente eterogenea: Jünger, Benn, persino Hermann Hesse… Ora però sembra venuto il tempo per una nuova ricezione di Arno Schmidt: alcuni tasselli critici anche da noi si stanno componendo, nuovi lettori avanzano. La tua recente traduzione e cura del Leviatano (Mimesis, Milano 2013 → qui) segna una tappa importante in questa direzione. Ci spieghi come e perché ti sei soffermato proprio su Leviathan oder Die beste der Welten, libro a suo tempo “mitizzato” che ha però un’importanza capitale, sia nella vicenda umana e letteraria di Schmidt, sia in quella della letteratura post bellica?

Dario Borso:* Troppo presto o troppo tardi? Inattuale insomma. A parte che le Considerazioni inattuali di Nietzsche vendevano e vendono un sacco, e quindi sono attualissime… ma più seriamente Kierkegaard, il doppiamente inattuale, perché fu inattuale in patria a metà dell’ottocento e inattuale in Germania mezzo secolo abbondante dopo. Eppure la sua Critica del presente (un saggio che ho appena finito di tradurre per la Morcelliana) è tuttora attualissima. Da un certo punto di vista, tutta l’opera di Arno Schmidt (1914-1979) è una critica del presente: i suoi romanzi sono setacci che trattengono i grumi simbolicamente più densi dell’epoca. Per stare all’aneddotica (che è una forma minore, ma non trascurabile, di storia): Arno è il primo scrittore tedesco a parlare dei campi di sterminio (nel Leviatano); il primo ad affrontare il nodo delle due Germanie (in Cuore di pietra); il primo a citare il computer (in Sera con bordo d’oro)…

La critica di Arno è una miscela esplosiva di anarchia e ironia, confezionata con gli strumenti dell’avanguardia (tra Joyce e l’espressionismo) e stabilizzata da un potente richiamo all’illuminismo radicale settecentesco. Proviamo a mettere in mano l’ordigno a un marxista ortodosso: gli scoppierà in mano, a meno che non si sbrighi a scagliarlo via.

MD: Eppure è proprio quanto è successo in Italia, negli anni Cinquanta e Sessanta…

DB: Michele Sisto ha ben fotografato la situazione editoriale di allora (→ qui: a una Feltrinelli che promuoveva i nuovi autori tedeschi, una ingessatissima Einaudi cercava di rispondere pescandone altri. Così il responsabile per la letteratura tedesca, Cesare Cases, all’epoca lukacsiano ortodosso, dopo aver fatto tradurre la sua personale bibbia, La distruzione della ragione, quel Cesare che non si spingeva oltre Brecht e Thomas Mann e intanto segava il Pasticciaccio brutto di via Merulana, opzionò Arno Schmidt.

Cosa pensasse Cases di Arno Schmidt nel 1954, lo puoi leggere → qui

L’articolaccio fu ristampato assieme ad altri in Saggi e note di letteratura tedesca (Einaudi 1963), ma poi fu l’unico a cadere nell’edizione tedesca (Europa Verlag, 1969). 

Per Cases bisognava evitare l’Arno politically uncorrect (piccolo-borghese, anarcoide ecc., secondo il gergo della Terza Internazionale), il critico del presente. E allora, ecco la soluzione.

Il primo libro di Schmidt si chiama Leviatano (1949), e contiene tre racconti: Leviatano o Il migliore dei mondi (il più importante, se dà il titolo alla raccolta stessa) sulla seconda guerra mondiale, e due racconti storici ambientati nel mondo greco-romano, scritti per rimpolpare il volume su espressa richiesta dell’editore Rowohlt. Ovviamente la prospettiva di Arno Schmidt rimane la stessa nei due racconti, ma dissimulata, in costume, e perciò più digeribile a stomaci stalin-comunisti, che detestavano il pessimismo di Arno, il suo non vedere il sol dell’avvenir.

Nel decennio successivo al Leviatano, Arno scrive altri racconti e romanzi, tutti sull’attualità fuorché uno ancora storico, Cosma (1955).

Arno Schmidt -Alessandro o della veritàCosa fa Cases? Unisce i tre racconti storici, e nel 1965 ne fa per Einaudi un libro autonomo affibbiandogli il titolo di uno dei racconti: Alessandro o della verità. In questo gioco delle tre tavolette, rimane fuori il racconto indigesto. La scelta, oltre che arbitraria (ovviamente non segnalata nell’edizione italiana), dev’essere stata frutto di ripensamenti vari, se a Emilio Picco fu inizialmente commissionata la traduzione di tutto il Leviatano. Così all’Einaudi si ritrovarono con un racconto non pubblicato, e rimediarono inserendolo l’anno dopo nell’ultimo numero del “Menabò” (anzi, a onor del vero il racconto in questione fu tradotto da Picco insieme a un’ignota Rosanna Berardi Paumgartner).

In sintesi: Cases opzionò Schmidt obtorto collo, spinto dalla concorrenza Feltrinelli, e fece tradurre quel che voleva lui, scempiando l’edizione originale onde occultare il politicamente dubbio. 

MD: Risultato?

DB: Risultato: un flop di vendite. Poco male, se altri poi avessero ritentato; ma la nomea di Cases (passato in breve tempo da posizioni staliniste a maoiste) intimidì altri editori, e così si arriverà al terzo millennio per vedere ancora qualcosa di Schmidt in italiano.

E questo grazie pressoché esclusivamente alla tedesca e lungimirante Fondazione Arno Schmidt, che ha iniziato a finanziare edizioni estere del Nostro. Così è nata la trilogia Figli di Nobodaddy tradotta da Domenico Pinto per la Lavieri (una microcasa editrice campana che ha venduto poco più di 100 copie a volume), poi i miei Pocahontas per Zandonai (1.000 copie in un anno), su cui rimando a quanto dicevano qualche tempo fa → qui, e ora Leviatano per Mimesis.

Ovviamente durante quest’assenza quarantennale di Schmidt dall’Italia, in inglese, francese e spagnolo le traduzioni di Arno si moltiplicavano.

:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

* Dario Borso insegna Storia della Filosofia all’Università degli Studi di Milano. Impegnato da sempre a decifrare la modernità (tra Marx e Hegel, tra Benjamin e Diderot), è noto soprattutto per le sue traduzioni da Kierkegaard e Celan.

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

tysm literary review, Vol 1, No. 2 – 28 january 2013

Creative Commons LicenseThis opera by t ysm is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 3.0 Unported License. Based on a work at www.tysm.org.

ISSN:2037-0857