Colonizzati da segni senza senso. Lo stupore infantile di Elémire Zolla
Esce per i tipi di Marsilio una nuova edizione de Lo stupore infantile. Il libro, ben noto al pubblico zolliano, contiene un inedito quadernetto di appunti vergati a mano dall’autore su alcuni dei giochi infantili più classici dal “Gioco del mondo” ad “Un due tre… stella”.
di Raffaele K. Salinari
Cosa aggiunge questa appendice all’opera di Zolla sulla capacità dei bambini di comprendere e rinnovare i cardini stessi della Filosofia perenne, della Tradizione?
Lo stupore infantile di Elémire Zolla (con un inedito sui giochi dei bambini, a cura di Grazia Marchianò, Marsilio, Venezia 2014 , isbn: 978-88-317-1836-3)
In verità, leggendo le fitte paginette del quaderno e le annotazioni dell’autore a margine dei giochi descritti, viene subito in mente il verso della settima delle Elegie duinesi di R. M. Rilke in cui l’autore dice «Non crediate essere il destino più che l’intensità dell’infanzia». Si intuisce, allora, quasi una doppia lettura di queste pagine, suggerita anche obliquamente nell’introduzione della Marchianò.
Da una parte, dunque, troviamo certamente un promemoria atto a completare alcune intuizioni contenute nel libro, in cui ogni gioco tradizionale, oggi desacralizzato e secolarizzato, viene giustamente ricondotto alle sue ascendenze sacre, divinatorie, catartiche, sacrificali o ordaliche, ma, e qui sta l’arcano, come direbbe lo stesso Zolla, si intravede oltre il velo del materiale usato dall’erudito, una volontà personale di tornare proprio in illo tempore, di farsi trasporta dalla forza poetica dell’evocazione ai momenti dell’infanzia unitaria, di ricongiungersi in qualche modo, seppur attraverso la mediazione del ricordo, con uno stato di Unità fatalmente perduto negli anni della maturità. Quando, in una conversazione di poco posteriore alla composizione di Lo stupore infantile, gli fu domandato: «Oggi, a settant’anni, qual e il punto di arrivo cui e pervenuto?», aveva risposto sorridendo: «Sono tornato alla prima infanzia, il cerchio si e chiuso!».
Così Grazia Marchianò, moglie e curatrice delle opere zolliane, spiega l’inserimento del quadernetto trovato per caso durante la revisione del materiale originario del libro. Eppure, eppure, Zolla sa bene che non si torna mai nello stesso posto, e nello stesso tempo. Il panta rei dell’esistenza sposta in continuazione, come nel rotolare dei dadi, il nostro punto finale che, mentre lo dichiariamo raggiunto, è già cambiato. E allora? Chi mente, quale dei due Zolla dichiara ciò che sa non essere vero? Quello che afferma «il cerchio si chiude» o il saggio che cerca ancora di evocare, non riuscendoci, la luminosità dello stupore infantile ripercorrendo i giochi di lui stesso bambino? In realtà nessuno dei due mente poiché, Zolla ce lo ripete in continuazione, esiste una Realtà che ammette il Terzo Incognito, quella del Mundus Imaginalis, il Mondo dell’Angelo tanto caro alla visione mazdea, in cui non vige il principio di esclusione aristotelico ma troviamo la compresenza di stati animici e di conseguenza noetici apparentemente oppositivi ma che formano non dualismi ma dualitudini, cioè coppie di opposti che ricostruiscono l’Unità perduta.
È questo, forse, il senso di un’appendice così autobiografica, personale, che spinge l’orizzonte del libro nel territorio intimo dell’anima di un autore che di sé ha sempre parlato poco, volendosi presentare come uno studioso della tradizione ma non introducendoci mai ai suoi percorsi personali se non come riflesso delle nozioni contenute nei suoi libri. Zolla lamentava sempre l’evidenza che il nostro Mundus Imaginalis fosse colonizzato da segni senza senso, come sogni-collage che si assemblano nella notte senza che se ne possa trarre alcuna visione; in sintesi, diceva che non Immaginiamo più sciamanicamente. Ecco, allora, come Corbin definisce, nel capitolo introduttivo di Corpo spirituale e Terra celeste, il Mundus Imaginalis come il «luogo» in cui avviene la percezione del «Mondo come Angelo», cioè come insieme vitale ed interconnesso non gerarchicamente in tutte le sue parti.
La chiave interpretativa di questo mondo spirituale come matrice di una visione perspicua delle connessioni che attraversano il mondo fenomenico si ritrova nella posizione di coloro che vengono chiamati i «Platonici di Persia»: gli Ishrāqīyūn del ceppo spirituale di Sohravardī (XII secolo).
L’espressione Mundus Imaginalis è l’equivalente latino dell’arabo ‘ālam al-mithāl, al‘ālam al-mithālī, in italiano «Mondo Immaginale», termine-chiave, poiché i termini latini hanno il vantaggio di fissare le tematiche, preservandole da traduzioni aleatorie. E qui che agisce la nostra Imaginatio Vera, quella facoltà cognitiva – Nous Poietikos o Intellectus Agens, in arabo al-‘aql al-fa’āl – di cui parla anche Aristotele: la capacità dell’intelletto non solo di cogliere le essenze che accomunano degli oggetti, ma di attualizzarle, dando forma così alla realtà sui generis che forma la nostra Geografia Immaginale.
Un esempio di civiltà ispirata dai «sogni Immaginali», all’inizio del secolo scorso, furono i Sioux Dakota: essi trassero ispirazione politica ed artistica dal loro capo che, in Alce Nero parla, racconta la storia della visione sciamanica che guidava la consapevolezza simbolica di un intero popolo.
«Amico, ti racconterò la storia della mia vita; e se fosse soltanto la storia della mia vita credo che non la racconterei, perché che cosa è un uomo per dar importanza ai suoi inverni, anche quando sono già così numerosi da fargli piegare il capo come una pesante nevicata? Tanti altri uomini hanno vissuto e vivranno la stessa storia, per diventare erba sui colli. È la storia di tutta la Vita che è santa e buona da raccontare, e di noi bipedi che la condividiamo con i quadrupedi, e gli alati, e tutte le cose verdi; perché sono tutti figli di una stessa madre ed il loro padre è un unico Spirito».
Ecco come Zolla vuole farci leggere i suoi appunti, o meglio, come forse avrebbe voluto che noi li leggessimo, un esperimento simile al Libro Rosso di Jung, summa personalissima della sua storia psichica attraverso immagini fissate sulla carta negli anni e infine portare alla luce nella fase ultima delle sua vita. Non dunque un semplice processo autobiografico ma una appassionata ricerca delle fonti immaginali che hanno dettato alla sua esistenza le determinati simboliche sulla quali cercare, in tarda età, di chiudere un cerchio che, in realtà, è e rimane piuttosto una spirale.
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TYSM LITERARY REVIEW, VOL. 10, NO. 15, JUNE 2014 Creative Commons LicenseThis opera by t ysm is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 3.0 Unported License. Based on a work at www.tysm.org. ISSN:2037-0857 [cite]