Conversazione su Pier Paolo Pasolini
di Ōshima Nagisa
«Oshima, Pasolini e Fassbinder (…) gli alleati dell’Asse nazi-fascista hanno dato i natali a questi tre registi, un genere di autori che non si era mai visto prima (. . .) hanno rivelato come la ricchezza dei loro paesi sia stata portata avanti attraverso il nascondimento dei crimini perpetrati dalla generazioni dei loro padri» (Yomota Inuhiko)
Ōshima Nagisa: Buongiorno a tutti e benvenuti a questo festival. Mi chiamo Ōshima Nagisa e sono stato scelto per fare il presidente della commissione esecutiva di questo “Pasolini Film Festival”. Ad essere onesti però non ricordo il perchè ho accettato questa carica…
Tanaka: Ho sempre pensato che Lei fosse un ammiratore di Pasolini e ci sono molte cose che ancora non sappiamo e vorremmo chiederLe a proposito, ad esempio se il cinema di PasoliniLe piaccia o meno. Fra l’altro ci è stato detto che l’ha anche incontrato, ci potrebbe dire inoltre qualcosa sull’impressione che la persona Pasolini le ha lasciato e parlarci del suo cinema?
Ōshima Mi mette in difficoltà con tutte queste domande complicate! (ride) Non posso proprio dire di aver incontrato Pasolini, comunque fu al Festival di Venezia del 1970 se non sbaglio, quando io portai Shōnen (Boy, 1969) e lui andò a Venezia per presentare il suo film Porcile (1969). In quegli anni però si era nel cosiddetto periodo delle proteste e moltissimi giovani e studenti andavano ripetendo “Come, ancora si fanno delle stupidate come i festival?!” così alla fine in quell’edizione nessun premio fu assegnato. “Assegnare dei premi è borghese, fare delle graduatorie fra delle opere d’arte è altrettanto stupido, limitiamoci a proiettarli!” questo era ciò che si diceva.Dopo la proiezione dei film ci si raggruppava e se ne discuteva animatamente. Questa era l’atmosfera tumultuosa che regnava.
Essendo la prima volta che partecipavo ad un festival del cinema di calibro internazionale, pensai però che sarebbe stato un peccato non vestirmi in maniera elegante e così decisi di mettermi uno smoking bianco. Ma questo abito non era per niente adatto all’atmosfera della manifestazione. Mi sembra che uno del gruppo di Pasolini, Pierre Clémenti se non erro, arrivò al festival in camicia e piedi scalzi, e a piedi nudi salì sul palco a parlare. Fu una cosa bellissima, anche Iwashita Shima [Nota 1] partecipò a quell’edizione e quando vide Pierre Clémenti corse tutta in fibrillazione verso di lui.
Fu in quest’atmosfera così concitata che vidi Porcile di Pasolini, in realtà però senza capirci niente. Non lo capii proprio per niente. Ancora oggi nessuno continua a non capirci un bel niente. Mi ricordo ancora vividamente quell’esperienza. Quindi il fatto che io sia stato scelto come presidente di questa commissione esecutiva è forse dovuto al fatto che in qualche modo non capendo i film di Pasolini ho qui la possibilità di vederli e di ravvivare il mio interesse, penso che sia questa la ragione della mia nomina.
Tanaka Oggimostreremo al pubblico qui presente Accattone (1961), l’opera prima di Pasolini, che sarà qui proiettata per la prima volta nei teatri giapponesi.
Ōshima Accattone l’ho visto e questo sì, diciamo che l’ho capito. Semplificando un po’ si potrebbe dire che è un film sulla povertà (ride). In verità l’ho fatta anch’io una cosa del genere come mia opera prima. [Nota 2] Penso che sia possibile affermare che sia io che Pasolini condividiamo uno stesso punto di partenza, si inizia cioè descrivendo le condizioni di vita delle persone povere e poi da lì si sviluppa qualcosa.
Ma c’è una cosa che mi tormenta e che a dire il vero non è propriamente un problema, spesso i registi si arrovellano su chi sia un loro kōhai e chi un loro senpai,[Nota 3] Pasolini è nato dieci anni prima di me, nel 1922, ma è diventato un regista due anni dopo il mio debutto cinematografico. È una cosa che mi disturba, in realtà non dovrei preoccuparmi di tali questioni, ma non riesco a decidere se considerarlo mio kōhai o mio senpai. La rivista cinematografica Cinema Junpo mi chiese di scriverne, cioè di scrivere che cosa rappresentasse per me Pasolini, ma è una questone per me molto difficile da trattare.
Forse per questo non capii il suo Porcile, perchè Pasolini è una persona che non posso definire e che ha realizzato dei lavori assai difficili da comprendere, non potevo non domandarmi cosa significasse tutto ciò e ancora oggi non riesco a venirne fuori. Ma è proprio questa la cosa più interessante riguardo al regista italiano.
I critici cinematografici dicono cose così a caso come “non capisco i film di quel regista”,a me continuano a dirlo da una quarantina di anni (ride) Ma quando ti dicono frasi del genere significa che sei nei tuoi anni migliori, sei a posto, se non comprendono i tuoi lavori significa che cercheranno di vederli ancora una volta. Al contrario, una volta che li avranno compresi, non gli resterà altro che lodarti e così finiranno di guardare i tuoi film perché, a questo punto, non saranno più interessati a te.In questo senso, un punto chiave per restare regista il più a lungo possibile è o di fare dei film di difficile comprensione, almeno io penso che sia così. Ma c’è ancora una cosa che mi dà da riflettere, il fatto che io sono ancora qui che faccio film mentre Pasolini non c’è più.
Tanaka: Adesso Lei sta lavorando a un film intitolato Gohatto (Taboo, 1999), una storia che si svolge alla fine del periodo Edo nella città di Kyoto. È questo un film “comprensibile”?
Ōshima È un film problematico! (ride) Anche questo lavoro molto probabilmente non rientra esattamente nell’immagine comune che molti hanno della cosiddetta fine del periodo Edo o della Shinsengumi.[Nota 4] Penso prorio che lo definiranno “uno strano film”. Ho lottato durante tutta la mia carriera per sopravvivere come regista pur facendo film “strani” e penso che anche Pasolini abbia affrontato le stesse difficoltà ad un certo punto della sua carriera. Il suo approccio si potrebbe definire quasi “mitico” o meglio ancora “medioevale”, ha preso storie che tutti conoscevano ma le ha trasformate in qualcosa di diverso da ciò che tutti si aspettavano. Ha provato a vivere come autore di film ed essere un regista è un affare assai complicato. Penso che Pasolini fosse ossessionato dal fatto di esprimersi come poeta e come romanziere, ma ad un certo punto la sua poetica cominciò a prendere la forma di film e quindi avrà lottato per poter allo stesso tempo mantenere il suo stile e poter mostrare i suoi lavori al pubblico. I film dovevano e devono inoltre anche garantire un buon ritorno ai botteghini, per lui stesso ma anche per le finanze di molta altra gente, se un lavoro abbia successo o no, e se attiri o meno molti spettatori sono questioni assai importanti. Per Pasolini è stata dura perchè non voleva scendere a compromessi, desiderava fare film che lo soddisfacessero personalmente ma anche vedere gli spettatori accorrere ai suoi film. Scegliendo di descrivere il mondo mitico o o medioevale poteva ancora esprimere la sua particolare visione del mondo ed allo stesso tempo richiamare la gente nelle sale. Dopo Medea, in film come Edipo Re e anche nella trilogia della vita, le sfumature si acuirono, ma penso che il suo ultimo lavoro Salò o le 120 giornate di Sodoma rappresenti la sua agonia, un agonia derivata dal dubbio se continuare sulla via che aveva intrapreso o meno. Ma non so se la sua agonia fosse vera, non lo so proprio, ecco perché devo vedere i suoi film ed in questo modo dimostrargli il mio rispetto.
Tanaka Fra l’altro Salò o le 120 giornate di Sodoma si svolge proprio a Salò che si trova nel nord Italia vicino a dove spesso Pasolini trascorse le vacanze estive, in Friuli Venezia Giulia. Prima di questo film ne realizzò altri che si svolgevano a Roma o anche in mondi lontani come I Racconti di Canterbury e Il Decameron ma con Salò o le 120 giornate di Sodoma si avvicinò molto alla terra dove era cresciuto. Lei ora è impegnato in un’opera che si svolge a Kyoto, la sua città natale. Ci potrebbe parlare della relazione fra l’essere registi e la propria terra natia?
Ōshima Sì, sto realizzando un film a Kyoto ma è per puro caso. In verità non mi piace per niente girare in questa città, o meglio è proprio Kyoto stessa che non mi piace. Sono nato a Kyoto perché mia madre è originaria di questa città, era il periodo in cui le donne per partorire ritornavano alla propria casa natale ecco perchè sono nato qui. Ho frequentato l’Università di questa città dove era andato anche mio zio, ma la odiavo. Odiavo Kyoto. Volevo lasciarla al più presto possibile ed è per questo che dopo la laurea sono entrato in una casa di produzione cinematografica, non che amassi troppo il cinema, volevo solo lasciare Kyoto. Una delle ragioni per cui odiavo così tanto questa città era mio padre. Mio padre era uno scienziato al Ministero dell’Agricoltura, Silvicoltura e Ittica, per questo mi chiamò Nagisa (in giapponese “costa”, ndt).
Sono nato nel 1932 e a quel tempo era davvero strano chiamare un bambino Nagisa, per me fu un disastro, la gente mi chiamava “Nagisa-chan, Nagisa-chan”,[Nota 5] solo perché ero un bambinetto carino (ride), ma io l’odiavo perchè suonava così femminile. Quando avevo sette anni e mio padre morì fummo costretti ad andare a Kyoto. Metà della mia vita consiste in questo odio verso questa città, o qualcosa del genere. Tutte le volte che ho girato dei film negli studi di Kyoto ho scelto dei temi che non avessero niente a che fare essa. Solo una volta, nel documentario Kyoto My Mother’s Place realizzato per la BBC, ho reso esplicita la mia relazione fra me e questa città. Ma è un film della BBC quindi difficilmente avrete l’occasione di vederlo. Per essere sinceri questa è una tattica che i registi usano spesso, “ho sentito che Ōshima ha fatto anche questo tipo di film però è difficile da vedere”. Fino a quando la gente continuerà a dire cose del genere, la mia carriera è salva ! (ride)
Vorrei però che tutti lo potessero vedere almeno una volta. Credo che i registi abbiano questo doppio sentimento, il desiderio che i propri lavori siano visti da tutti ma allo stesso tempo non farli vedere a nessuno. Per avere successo come registi dobbiamo riuscire a controllare questi sentimenti. Èmia opinione che Pasolini a questo riguardo sia stato troppo onesto.
(23 Aprile 1999)
Traduzione di Deguchi Izuru
NOTE
[Nota 1] Nota attrice giapponese che ha recitato anche per Ozu Yasuhiro e per alcuni importanti film della cosiddetta Nuberu baagu nipponica, su tutti Shinjū: ten no amijima (Double Suicide, 1969) diretto da Shinoda Masahiro, suo attuale marito.
2 [Nota 2] Si tratta di Ai to kibō no machi (A Town of Love and Hope, 1959)
3 [Nota 3] È necessaria qui una piccola spiegazione sui questi due termini difficilmente traducibili in italiano. Sono due parole di ampio uso specialmente nell`ambito scolastico, sportivo ma anche lavorativo (e questo il nostro caso) che stanno ad indicare la relazione tra il senjor o una specie di mentore, colui che ha piu` esperienza (senpai) ed il junior, il pupillo o semplicemente colui che e` appena arrivato in un ambiente (kōhai).
4 [Nota 4] Speciale corpo di polizia formato prevalentemente da Rōnin, creato nella seconda metà del diciannovesimo secolo.
5 [Nota 5] Chan è un appellativo diminutivo usato come vezzeggiativo specialmente per le bambine.
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tysm literary review, Vol 1, No. 4: “Ōshima Nagisa“, Matteo Boscarol (ed.) – march 2013
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