philosophy and social criticism

Erri De Luca: «Uso la mia poca voce pubblica da altoparlante per voci silenziate»

Francesco De Luigi

A margine dello spettacolo “Solo andata”, realizzato assieme con il Canzoniere Grecanico Salentino, scrive: “Dopo avere difeso la mia parola contraria, é tempo di pronunciare parole favorevoli alla fraternità”. Dopo aver pubblicato il libretto “La Parola Contraria”, e difeso quindi la libertà di parola e di espressione, come stabilito tra l’altro nell’articolo 21 della Costituzione italiana, scaturito in seguito al processo, che ha subito nel settembre 2013, in cui stato incriminato per “istigazione a commettere reati”, in seguito a interviste in sostegno della lotta NOTAV in Val di Susa, concluso dopo cinque udienze il 19 ottobre 2015 con l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, ora è giunto dunque il tempo di “pronunciare parole favorevoli alla fraternità”, come è lei stesso a scrivere. Quali sono queste parole? Quali sono le azioni che quotidianamente possiamo praticare a favore della fraternità, a favore di tutti e soprattutto di chi soffre, degli emarginati, dei migranti, dei reietti della società?
Considero insufficiente il sentimento della tolleranza, che indica una resistenza e un’usura del sistema nervoso, il tollerante prima o poi si stanca. Di fronte al più solenne ordine del giorno dei nostri tempi, lo spostamento di miriadi di esseri umani da un continente all’altro, è chiamato alla prova il sentimento della fraternità. Si manifesta in modi diretti e innumerevoli, incontrando ogni giorno l’umanità spaesata che attraversa le nostre stazioni. Qualunque gesto di riguardo, di premura, anche il saluto, agisce e stabilisce un’intesa, a contrasto e smentita di chi tra noi pratica l’atto osceno di respingere”.

Lei, che fin dalla giovane età si è sempre impegnato politicamente, che, ancora studente, sul finire degli anni Sessanta fece parte a Roma del Gaos (Gruppo di Agitazione Operai e Studenti), dal quale si originerà Lotta Continua, del quale diventò il responsabile del servizio d’ordine, e che in seguito, dopo aver svolto svariati lavori manuali, negli anni Ottanta e Novanta si impegnò attivamente nel sociale, ad esempio in Tanzania come volontario in un programma riguardante il servizio idrico di alcuni villaggi, durante la guerra nei territori dell’ex Jugoslavia, negli anni ’90, e ancora nella primavera del ’99 a Belgrado, durante i bombardamenti della Nato. Lei, quindi, che oltre ad essere un intellettuale è stato anche un uomo d’azione, che ha messo in pratica quello che ha scritto, che ha combattuto per dei veri ideali, che è sempre stato dalla parte dei più deboli, oggi, dopo tutto, è ancora possibile avere degli ideali e lottare in nome di questi?
Ho fatto parte di una vasta comunità che agiva su scala di mondo, condividendo lotte di liberazione. Oggi la gioventù è più isolata, anche se meglio connessa. Oggi nessuna gioventù nostrana si raduna sotto l’ambasciata turca per protestare contro la prigione dei suoi dissidenti. L’azione diretta ha smesso di avere la precedenza, si preferisce magari firmare una petizione in rete. Vengo da un’altra educazione civica, una che ci siamo dati da soli”.

Sulla base della sua esperienza politica, del suo attivismo sociale, qual è attualmente lo stato di salute della sinistra italiana?
La sinistra si distingue per la sua fedeltà alla trinità laica di libertà, uguaglianza, fraternità. Da queste precedenze si misura l’appartenenza o meno a una condotta di sinistra. Da noi questo semplice esame produce risultati scarsi di applicazione.

 

Ha ancora senso oggi parlare di sinistra, di comunismo, di lotta di classe?
La lotta di classe riguarda una condivisa coscienza di sfruttati contro un sistema di sfruttamento. Non c’è n’è traccia. Dovrebbe organizzare il salario sottopagato, contro chi approfitta del bisogno di lavoro della nuova immigrazione. Il comunismo è servito nel secolo scorso a migliorare la condizione di vita degli operai e a rovesciare imperi coloniali. Queste urgenze sono scadute, insieme ai termini che le identificavano.”.

In quale forma di lotta oggi si riconosce di più?
Nelle lotte di comunità che a maggioranza si battono per la difesa della loro salute, per la sanità della loro terra, aria, acqua. Da Taranto a Val di Susa, dalla terra dei fuochi alle trivellazioni in mare resiste un diritto alla legittima difesa al quale mi associo”.

 

Cosa ne pensa dunque della sinistra extraparlamentare attuale e di tutti quei movimenti, non solo in Italia, ovviamente, che lottano per i diritti dei migranti, per il diritto alla casa, per il reddito di cittadinanza, per il lavoro…?
Sono presìdi di coscienza civile, luoghi dove si pratica democrazia di pronto intervento.

Pier Paolo Pasolini, nel 1974, in uno dei suoi articoli del Corriere della Sera, passato ormai alla storia, scriveva: “Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”. Esistono ancora oggi intellettuali “pasoliniani”, o sono in via d’estinzione? Si può forse dire che lei rappresenta uno dei pochi, se non l’unico intellettuale in Italia nel senso che ne dava Pasolini?
Pasolini apparteneva a un tempo in cui un intellettuale aveva voce accolta nella grande informazione, dai giornali governativi alla televisione. Noi abbiamo avuto un premio Nobel della letteratura, Dario Fo, che è stato isolato e censurato per decenni. Non mi considero un intellettuale impegnato, sono un cittadino che di volta in volta assume degli impegni civili così urgenti da non potermi sottrarre. Uso la mia poca voce pubblica per fare da altoparlante a voci silenziate, che gridano senza nessun ascolto.

Tornando, infine, al teatro e alla scrittura: che cosa rappresentano per lei queste due forme d’espressione artistiche? Quanto, la letteratura e il teatro, possono incidere nella società di oggi, che potremmo dire, oltrepassando Guy Debord, del post-spettacolo?
La scrittura serve a tenere compagnia, lo so da lettore. Poi serve a migliorare il proprio vocabolario e perciò a migliorare il sistema difensivo contro lo spaccio di vocabolario falso da parte dei poteri.
Il teatro è la forma d’arte più antica e immediata, può mettere in scena la sera quello che è successo la mattina. Gioca ogni volta in diretta sulla scena il suo spicciolo di suggestione e di credibilità. Io ci salgo da ospite, sono più spesso seduto in platea, anziché sopra la pedana, così come sono più spesso lettore che scrittore.

[cite]

 

tysm review
philosophy and social criticism
vol. 32, issue no. 34, october 2016
issn: 2037-0857
creative commons license this opera by t ysm is licensed under a creative commons attribuzione-non opere derivate 3.0 unported license.
based on a work at www.tysm.org