Selfie o la fine della fotografia
di Francesco Paolella
Nota su Ferdinando Scianna, Lo specchio vuoto. Fotografia, identità e memoria, Laterza,Roma-Bari 2014
Nell’epoca degli autoritratti condivisi (alias selfies), ecco arrivare la fine della fotografia così come l’abbiamo pensata e utilizzata finora. Ogni selfie – la cui moda ancora impera, ancora non si sa per quanto tempo – serve più che altro per certificare l’esistenza in vita di chi lo crea e lo consuma. Ogni fotografo, in quanto tale, non fa che scegliere, dal momento in cui scatta a quello in cui sceglie, fa una selezione per individuare, nella massa di immagini che ha via via immagazzinato, quelle che vuole mostrare e poi conservare. In questo senso, la fotografia è di per sé memoria. Il nostro attuale fervore nel fotografare (e nel fotografarsi) non fa che banalizzare e mettere in crisi quest’opera selettiva.
Grazie alla tecnologia non più costosa, non ci sono mai stati tanti “fotografi” in giro: e così come un blog non si rifiuta a nessuno scrittore (rifiutato), così chiunque può ambire a raccogliere e diffondere le proprie immagini. Eppure la fotografia soffre per questo suo “eccesso di successo”. Perde il contatto con la realtà e rischia di precipitare nel non senso.
Tutti subiamo il potere delle immagini; le immagini, e appunto in primo luogo il selfie, ci obbligano a produrre una nuova identità per ognuno di noi; ci fanno scivolare in una post-realtà. Scianna in questo nuovo libro parla di questa nostra come dell’“era della post-fotografia”.
Di sicuro le fotografie serviranno sempre meno per documentare e per identificare. Si ridurranno a un gioco estetico, in cui il voler essere (il voler far sembrare) prevarrà sempre sull’essere.
Il selfie elimina il ruolo del fotografo che ci fa un ritratto. Ed elimina la stessa fotografia come oggetto a cui piegarsi e contro cui (probabilmente) ribellarsi (“In quella foto non sembro io!”). Perché in mezzo fra l’autoritratto e la successiva condivisione c’è il momento di una (inevitabile?) falsificazione. L’ideologia del ritocco domina tanto quanto quella dell’autoritratto in sé.
Una spaventosa inflazione di immagini porta all’autodistruzione dei mezzi per realizzarle, dei pensieri e dei desideri che ne sono alla base.
Per tutte queste ragioni, le importanti considerazioni di Ferdinando Scianna sulla storia della fotografia e sul mestiere (in senso ampio) del fotografo, sul nostro rapporto con la memoria come sulla nostra eterna tendenza a costruirci una immagine di sé, ci sembrano a un tempo antiche e iper-moderne. Fa bene Scianna a ricordarci che ogni fotografia è strutturalmente ambigua e che immagini cambiano non meno di noi che le facciamo e le riscopriamo semmai dopo decenni abbandonate in un cassetto.
La nascita della fotografia è stata una vera rivoluzione per la “psiche del mondo”. Da sempre le immagini hanno avuto un significato enorme per il potere (la storia è una continua damnatio memoriae) e per la vita di ciascuno. Ma ormai siamo immersi in una melma indistinta di narcisismo, banalità e ambizione: attraverso le immagini ognuno spera disperatamente di farsi vedere. Nessuno, però, segue con interesse chi sta perennemente in posa.
tysm literary review
vol. 16, issue 21
january 2015
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