Come e perché parlare di libertà? La proposta di Magatti e Giaccardi
di Luca RIBOLIni
Un testo capace di rapportare in presa diretta il lettore a quelli che di solito chiamiamo “i massimi sistemi” (politica, economia, cultura, natura) è Generativi di tutto il mondo unitevi (Feltrinelli, Milano 2014) dei sociologi e docenti in Università Cattolica a Milano Mauro Magatti e Chiara Giaccardi.
È un saggio rilevante per varie ragioni. La prima è la portata universale del tema: la libertà, la sua crisi, i suoi possibili frutti. La seconda è l’approccio plurale: gli autori si avvalgono tanto della filosofia e delle scienze umane quanto delle lettere e delle arti, della storia contemporanea e della psicoanalisi. Infine non è solo un’analisi argomentata dell’esistente o del recente passato: Magatti e Giaccardi ambiscono soprattutto a offrire una prospettiva praticabile, basata sulla facoltà di ognuno di dare vita a relazioni e progetti; in una parola: di generare. Il tutto in 140 pagine.
Emergono alcune parole chiave nel saggio. Le prime due sono, appunto, libertà e generatività. Chi genera? Chi eredita da altri e originalmente rielabora e coinvolge. Ne sono un esempio l’imprenditore, l’insegnante, l’amministratore, il fondatore di associazioni, l’artista, il padre e la madre: soggetti che testimoniano come la vita sia una promessa, e che traducono l’aspettativa di un futuro buono in una collaborazione paziente, attenta, versatile.
Prendere liberamente iniziativa, essere fedeli a quanto suscita ammirazione, aprirsi con rispetto all’altro: ecco le prospettive offerte dagli autori, con la discrezione di chi indica una via e si affida all’immaginazione feconda di chi legge. Si tratta di vie d’uscita dalla trappola della solitudine e della grettezza: un portato della violenza dei vari totalitarismi intenti, a loro volta, a giustificarsi politicamente e scientificamente.
La libertà personale, evitandone gli eccessi sterili, adolescenziali, autoreferenti, si giudica dai suoi frutti, sostengono gli autori, e solo nella condivisione questi ultimi prendono corpo. Infatti «il tutto è superiore alla parte non perché l’annulla, ma perché la valorizza, mentre la mette in relazione».
La terza parola chiave è pensiero. Al posto del delirio di onnipotenza, dell’auto-centratura e della ripetizione ottusa, gli autori propongono l’ascolto e l’amore alle parole, l’ospitalità in se stessi dell’altro – individuo oppure evento, sia concreto sia trascendente –, la presa di posizione chiara e aperta.
Alcune conseguenze di tale modo di intendere il legame sociale: una scuola e un’impresa pensate come istituzioni – nate da singoli o da gruppi quanto dallo stato –, fondate sulla cooperazione di ogni attore coinvolto e sulla formazione continua, un welfare fatto non di assistenzialismo impersonale ma di corresponsabilità, politiche pubbliche capaci di sviluppare i vari tentativi nati dal basso per una vita buona, una rete che sappia favorire le relazioni sia online che offline.
Concepire – nei suoi vari significati – questo saggio come un dialogo fra Magatti e Giaccardi e il centinaio di autori citati (da Cicerone, Agostino, Dante a Freud, Arendt, Bauman, Von Hayek) è opportuno; ma senza eludere il fatto che i due scrivono a partire da un’esperienza personale e composita: di cittadini insediati sul territorio, di studiosi, di coniugi e amici.
Una metafora adatta a descrivere il saggio è quella del convivio: ognuno si arricchisce delle parole e del cibo che porta l’altro. Vale la pena – o meglio: l’investimento – farne parte.
Si capisce allora facilmente che un’altra parola chiave è profitto reciproco.
[cite]
tysm review
vol. 22, issue no. 22
april 2015
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