philosophy and social criticism

Isis, Tomorrow. The lost souls of Mosul

di Eugenio Baldi

Isis, Tomorrow. The lost souls of Mosul di Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi, documentario. 2018, 80’.

Giugno 2014: la città di Mosul cade preda dei miliziani dell’Isis che ne distruggono molti dei siti più importanti, fra cui numerose moschee e statue e, seguendo il più classico degli spartiti dittatoriali, molti fra i testi presenti nella biblioteca cittadina, una delle più grandi e importanti di tutto l’Iraq.

Ottobre 2016: l’armata formata dall’esercito iracheno e dai curdi Peshmerga, militari della regione del Kurdistan iracheno, coadiuvata da un consistente appoggio militare da parte delle forze speciali statunitensi, comincia una controffensiva che li porterà, nel Luglio 2017, ad annunciare il riacquisito controllo della città.

Dal silenzio mediatico che ne è conseguito, si ha la percezione che la situazione si sia normalizzata in quanto, da sempre, i paesi del “primo mondo” misurano il loro livello di sicurezza e benessere solo in relazione agli eventi avvenuti all’interno degli stessi; se, quindi, dal punto di vista geopolitico la questione ha sicuramente perso la rilevanza che aveva all’epoca per un Occidente spaventato dall’avanzata dello “Stato Islamico”, da un punto di vista sociale, culturale ed economico, la situazione è di una gravità simile a quella che era rilevabile dopo l’insediamento del califfato.

Durante il 75esimo Festival del Cinema di Venezia i registi e sceneggiatori Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi, presentando il documentario Isis, Tomorrow. The lost souls of Mosul, evidenziano le attuali condizioni di una città devastata non solo, ovviamente, da un punto di vista architettonico ed economico, ma soprattutto per le condizioni di vita dei superstiti.

Dopo un interessante resoconto della guerra appena terminata, l’opera si sofferma nella quasi sua interezza sull’analisi sociale dei rapporti tra la parte della popolazione dissidente e coloro che invece avevano nelle loro famiglie membri aderenti al regime, alternando riprese in esterna ad interviste a esponenti di entrambe le fazioni.

Ne viene fuori un quadro assolutamente desolante, di una violenza che sembra assurdo poter ignorare.

La popolazione di Mosul contava molti abitanti che per le ragioni più diverse hanno deciso di arruolarsi per l’Isis; se i combattenti sono stati tutti eliminati o catturati nel corso del conflitto, nella città rimangono le loro famiglie, donne e bambini che vengono considerati dal resto della popolazione come altrettanto colpevoli. Viene spontaneamente da chiedersi se sia giusto che i figli paghino le colpe dei padri e se la risposta può sembrare piuttosto scontata, ciò che le famiglie orfane di un miliziano del califfato sono costrette a subire lascia ancora più sconvolti. Nonostante i bombardamenti abbiano distrutto la gran parte degli edifici sono state allestite delle scuole, uno dei primi passi per cercare di tornare, lentamente, ad uno stile di vita normale, eppure i figli di soldati jihadisti spesso non ne hanno accesso o vengono ghettizzati e bullizzati dai compagni, come, ahimè, dagli insegnanti. La città sopravvive grazie ad aiuti umanitari che spesso non vengono distribuiti alle famiglie degli ex-oppressori, costringendole a dover sopravvivere con razioni minime di cibo e acqua. Molti di questi bambini sono stati mutilati per evitare future ritorsioni e per lanciare un messaggio chiaro ai nuclei familiari ritenuti sgraditi: non meritano di vivere dignitosamente.

Tutto ciò non avviene a livello istituzionale ma fra vicini di casa, fra compagni di scuola. 

L’arma che l’Isis ha lasciato nei territori in cui è stato sconfitto è la sua progenie, che subendo ghettizzazioni e atrocità sarà indotta, probabilmente, a continuare la spirale di violenza. Alcuni di questi bambini inoltre, sono stati cresciuti con una cultura di odio tale da indurli a dichiarare alle telecamere che il loro sogno è “sgozzare un americano”; altri invece non capiscono la logica dietro il fondamentalismo islamico e le guerre politiche: semplicemente vedono il nemico in coloro che gli hanno privati dei genitori.

Questo modo di analizzare l’attuale condizione di Mosul sfoca molto la concezione di chi siano i buoni e i cattivi nel quotidiano: come sempre non esistono un bianco e nero perfettamente scindibili, ma numerose scale di grigio che danno la consapevolezza di come non si possano fornire risposte semplici a problemi così complessi.

Dopo aver sollevato la problematica con interviste molto toccanti e profonde, il documentario lascia quindi molte questioni alla riflessione dello spettatore, che si trova con la sola certezza che l’atteggiamento con il quale viene attualmente gestita la situazione è il più sbagliato e inumano possibile. Come si dovrebbe quindi trattare con le persone istigate alla cultura dell’odio?

Il tipo di ritorsioni che essi stanno subendo a causa dei legami di parentela servirà (oppure è mai servito, nel corso della storia) a qualcosa?

Questa è la risposta di un orfano di un miliziano jihadista, rimasto fedele al califfato: “perdere Raqqa, Sirte o Mosul non significa nulla, è solo terra. Per sbarazzarsi di noi dovrebbero sbarazzarsi del Corano.”

Si ha proprio la sensazione che questo sia il preludio di una nuova stagione di conflitti intestini come se ne vedono molti nel Medio Oriente da decenni a questa parte. Si riuscirà a far reintegrare le due parti? L’interrogativo più interessante e più importante a cui il documentario non riesce e non vuole rispondere è questo.

Le immagini sono struggenti, le risposte degli intervistati profonde e toccanti, la scrittura è intelligente e riesce perfettamente nell’arduo compito di non schierarsi, la fotografia e le musiche sono perfettamente al servizio di un documentario impeccabile anche dal punto di vista tecnico.

Questo lavoro, frutto di una dedizione sociale ammirevole, è il prodotto della reporter e giornalista Francesca Mannocchi, da molti anni dedicata a reportage sulle difficili situazioni che il Medio Oriente e il Nord Africa stanno attraversando in epoca recente, e del fotografo Alessio Romenzi, collaboratore di numerose testate di rilievo internazionale come Time Magazine, International Herald Tribune, Los Angeles Times, Newsweek, L’Espresso, Der Spiegel, Paris Match e Stern, prevalentemente documentando conflitti e flussi migratori.

Entrambi hanno ricevuto numerosi premi grazie al loro prezioso lavoro.

Isis, Tomorrow. The lost souls of Mosul è stato prodotto da FreemantleMedia Italia con Rai Cinema.

Director: Francesca Mannocchi, Alessio Romenzi
Production: FremantleMedia Italia (Gabriele Immirzi), Rai Cinema, CALA Filmproduktion (Martina Haubrich), Wildside (Lorenzo Gangarossa)
Running Time: 80’
Language: Iraqi Arabic
Country: Italy, Germany
Screenplay: Francesca Mannocchi, Alessio Romenzi
Cinematographer: Alessio Romenzi, Francesca Mannocchi
Editor: Emanuele Svezia, Sara Zavarise
Music: Andrea Ciccarelli
Sound: Stefano Bari (D-Color)

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