Mobi Dick e le banche centrali
di Christian Marazzi
La promessa delle banche centrali, della Federal reserve in particolare, di attenersi a politiche monetarie ultraespansive, a tassi d’interesse pari a zero e con acquisti mensili di enormi quantità di titoli pubblici e privati, rappresenta la cornice entro la quale i mercati borsistici sono destinati a crescere in modo abnorme nel corso dei prossimi anni. L’obiettivo è quello di stimolare l’aumento dell’occupazione, colpita dalla crisi pandemica, ma anche di accendere l’inflazione, che in prospettiva sembra il modo più indolore di alleggerire i debiti pubblici, anch’essi cresciuti non poco a seguito delle misure pubbliche di sostegno dell’economia reale.
Visto i precedenti, è lecito chiedersi se una tale strategia monetaria possa dare i frutti promessi. Per il momento siamo confrontati con una vera e propria dissociazione cognitiva, con da un lato i mercati finanziari che “tirano” e, dall’altro, un’economia reale che fatica a ritrovare un suo sentiero di ripresa. In questo processo di finanziarizzazione spinta, si possono individuare almeno tre fenomeni potenzialmente pericolosi. In primo luogo, come ricordava recentemente il Wall Street Journal, la proprietà delle azioni è sempre più concentrata nelle mani di pochi. Nel primo trimestre dell’anno, il 10 per cento più ricco degli statunitensi possedeva l’87 per cento delle azioni di maggiore rilevanza (nel 2009 la quota era dell’82,4 per cento).
“I ricchi hanno lasciato indietro il resto della società”, ad essere esclusa dalla crescita fenomenale delle borse è proprio la classe media. Il secondo aspetto da rilevare è l’azione di vere e proprie balene dietro determinati movimenti degli indici borsistici, in particolare del Nasdaq, che quest’estate ha visto crescere in modo assurdo il valore delle azioni delle grandi aziende tecnologiche. Nel solo mese di agosto il valore della Tesla è aumentato del 74 per cento, la Apple ha guadagnato il 21 per cento, Alphabet il 10, e così via. Dietro queste impennate, poi seguite da “correzioni” parziali, si è scoperto il gruppo finanziario giapponese Softbank (la “balena del Nasdaq”), che ha acquistato enormi quantità di opzioni cosiddette call (che sono contratti che danno il diritto di decidere se comprare un titolo a una certa data a un prezzo stabilito).
Questa ondata di acquisti, manco a dirlo, ha a sua volta alimentato altri acquisti cautelativi da parte delle banche, così da innescare una spirale al rialzo per nulla sana. Il terzo aspetto inquietante della finanziarizzazione in corso è la presenza di una massa enorme di piccoli invesitori (retail traders), un banco di milioni di pesciolini attirati da facili guadagni, che in modo gregario seguono la corrente, senza però avere le competenze necessarie per muoversi in questo mondo complesso e rischioso. Quanto questo processo possa durare è difficile da prevedere. Mesi, anni? Come nel romanzo di Melville: “Moby Dick non ti cerca. Sei tu insensato che cerchi lei”.