Mircea Eliade nell’oceano della modernità
Simone Paliaga
Mircea Eliade, Oceanografia, edizione italiana a cura di Roberto Scagno, traduzione di Cristina Fantechi, Jaca book, Milano 2007.
«Vi sono attorno a noi persone che comprendono moltissime cose, ma che non si sono mai chieste perché vivono, perché accettano i criteri etici di tutta quanta la società, perché evitano la sincerità, perché sopportano giorno dopo giorno un’esistenza che potrebbe essere diversa». Sono parole che Mircea Eliade scrisse tra il 1930 e il 1932 e che sono confluite nel 1934 in Oceanografia. Pur accollandosi sulle spalle settanta primavere, le questioni sollevate rimangono intatte, perché non fuggono la realtà.
Eliade, dopo gli anni trascorsi in India, mai ha cercato infatti il chiostro dove rinserrarsi. Ha preferito vivere nel presente, affrontandone i grovigli e i problemi senza indietreggiare nemmeno davanti all’engagement politico. Ha aderito alla Legione dell’Arcangelo Michele di Corneliu Zelea Codreanu fino a scontare, per questo, anche alcuni mesi nelle patrie galere. Il presente, per lui, non va abbracciato né difeso. Ma vissuto, per intuirne le forze inedite e alimentare l’onda che lo scavalcherà. Dinanzi alla crisi non bisogna disperare. Quando tutto sembra perduto niente lo è. Anche se occorre coraggio. La nuova generazione deve abbandonare le querimonie e i piagnistei e gridare «Ebbene?». Allora riuscirà a infilzare la “decomposizione totale”, il “pantano sociale”. Perché tutto «ciò che marcisce intorno a noi è un’esortazione alla vita, che ci invita a imitare il suo gesto iniziale: la creazione, il gesto della vita che sa ricominciare tutto daccapo».
Quando il pensiero e il mondo paiono toccare la stabilità, quando l’uniformità di pensieri confonde il consunto con l’attuale (il pop dei nostri giorni?) giunge il momento del ridicolo. Il gaffeur è chi osa pronunciare pensieri che agli altri sembrano goffi e bizzarri. Che suscitano riso e comprensione ma che godono dello slancio per andare oltre una realtà ammuffita. Saranno pensieri imperfetti, forse poco rigorosi ma rimettono in moto energie e slanci. Fanno magari trasecolare i benpensanti adusi a rincorrere tutti gli appuntamenti mondani, ma donano entusiasmo. «Non ho memoria di alcuna trasformazione dell’umanità, di alcun guizzo audace che non siano sembrati ridicoli ai contemporanei». Solo il ridicolo solleva interrogativi e dubbi, non così quanto è razionale, legittimato, verificato e riconosciuto. Che anzi paralizza il mondo, perché non riguarda più la vita che si appresta a manifestarsi, ma solo ciò che è morto, e ha già dato il suo contributo,«buono ormai per le famiglie, le istituzioni e la pedagogia».
Per trovare le forze che intarsiano il presente non occorre sprofondare negli abissi dell’anima ma seguirne le correnti di superficie che riverberano quanto accade nel profondo. Oceanografia per Eliade è il tentativo di esaminare la vita quotidiana dell’anima e affrontare i problemi semplici, che nessuno prende più in considerazione proprio perché troppo grandi o troppo semplici. «Ciò che mi turba più nei miei contemporanei è questo strano oblio del senso primo dell’esistenza, questo disinteresse verso le necessità più urgenti della nostra intelligenza». Vi è chi conosce tutto dell’etica ma non sa neppure riconoscere una vera amicizia. Si trova chi vanta di aver risolto problemi irrisolvibili ma è incapace di riconoscere la sua stessa esistenza come un vero prodigio.
Affannarsi, essere occupati sono lo stigma del mondo moderno. Tenersi impegnati di continuo acuisce l’incapacità di interrogare le cose che più ci stanno a cuore. Nel momento in cui si spalanca il tempo libero e si offre l’occasione di affrontare i problemi, si inseguono le distrazioni automatiche pensate per riempirlo (sport, cinema, letture, flirt) ma che non fanno altro che ucciderlo. «Lo spirito moderno ha la spiacevole tendenza a uniformare tutto, ad automatizzare persino le manifestazioni più spontanee. Questa piattezza non ha niente a che vedere con l’armonia e il ritmo che sono lo scopo più valido di ogni vita». Solamente quando ci si abbandona al tempo che fugge si riacquista la capacità di ascoltare, per cogliere ciò che veramente conta. Allora la banalità che ci circonda si ammanta di un’aura miracolosa, gli eventi sbalzano dall’uniformità. «Uno dei doveri dell’uomo nuovo è quello di essere presente a se stesso, di coincidere con la vita, con le forze irrealizzate; vivere la storia che si fa non quella che si consuma». E attimo dopo attimo cercare di cogliere i movimenti del tempo che ci portano verso l’avvenire. Questa scelta richiede uno spirito combattivo che accetta il confronto, consapevole che «sono perdute solo le battaglie non intraprese. E non si è sconfitti se non quando si rifiuta il combattimento».«Ci vuole molto meno coraggio a disperare che a sperare contro ogni evidenza, contro ogni speranza”. Parole per tempi ultimi. Per i tempi nostri.
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