Piccoli editori oltre la crisi
Maria Teresa Carbone
Per raccontare come i piccoli editori in Italia fanno fronte alla crisi, si potrebbe, prendendo le cose alla lontana, partire da Giuseppe e dal sogno delle vacche grasse e delle vacche magre. Siamo, come si ricorderà, nel primo libro della Bibbia, la Genesi, e Giuseppe, figlio prediletto di Giacobbe e per questo detestato dai fratelli, è stato venduto come schiavo. Per una serie di vicende tutt’altro che marginali Giuseppe si è ritrovato innocente in un carcere egizio, dal quale uscirà presto grazie alla sua capacità di interpretare un sogno del Faraone: «Salirono dal Nilo sette vacche, belle di aspetto e grasse e si misero a pascolare tra i giunchi. Ed ecco, dopo quelle, sette altre vacche salirono dal Nilo, brutte di aspetto e magre, e si fermarono accanto alle prime… Ma le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di aspetto e grasse». Giuseppe non solo decodifica il sogno, annunciando che l’Egitto avrà sette anni di prosperità, seguiti da sette di carestia, ma – ed è quello che qui conta – suggerisce una soluzione per affrontare le avversità: nella fase delle vacche grasse si preleverà un quinto del raccolto, da utilizzare come riserva negli anni difficili, gli anni della crisi, appunto.
Esercizi di storica prudenza
Ora, non è dato sapere se i piccoli editori italiani abbiano nel ventennio scorso riletto con profitto la storia di Giuseppe, ma – per intelligenza e per intuito e magari per una dose di fortuna – tutti o quasi tra quelli che abbiamo interpellato hanno saputo costruirsi un tesoretto più o meno cospicuo (di autori, di titoli e in certi casi di denari sonanti) che consente loro di guardare agli anni delle vacche magre con un atteggiamento certo preoccupato, ma almeno all’apparenza meno timoroso di quello di tanti responsabili delle grandi case editrici.
Parlano volentieri, questi editori «non grandi», anche perché con lo stato di crisi – cioè con la necessità quotidiana di operare, a causa delle dimensioni ristrette, secondo rigide scale di priorità – convivono da sempre, e hanno sviluppato la reattività dei piccoli animali costretti a condividere il territorio con giganteschi predatori. Ora, osservando lo spaesamento dei tirannosauri, sono incerti se temere mortiferi colpi di coda o se invece proprio la recessione scombinerà le carte e rappresenterà per loro, i piccoli, un terreno di riequilibro, se non di riscossa. Anzi, Marco Cassini, direttore editoriale di minimum fax e recente autore per Laterza di un volumetto, Refusi, che descrive molto bene i patemi e le gioie di un piccolo editore, parla esplicitamente di una nuova «ecologia» del mondo editoriale, soprattutto se si riuscirà a far passare quella legge, tante volte annunciata e sempre svanita nel nulla, che determini per i libri un prezzo fisso, o se non altro precisi limiti di sconto, mettendo al riparo le sigle indipendenti dagli effetti rovinosi delle campagne promozionali dei grandi.
«Per noi piccoli sostenere una situazione del genere è davvero complicato, e l’unica strada che possiamo battere è quella delle alleanze», afferma Ginevra Bompiani, direttore editoriale di nottetempo, che difatti insieme ad altre case editrici di dimensioni più o meno esigue (e con il sostegno ovviamente caloroso delle librerie indipendenti) sta tessendo una rete di contatti e di iniziative appunto per riesumare, e far finalmente approvare, la legge sul prezzo dei libri.
Ma soprattutto, la crisi vista dalla parte dei piccoli editori sembra fornire l’occasione per mettere meglio a fuoco il progetto su cui ognuna di queste sigle ha costruito la sua storia e la sua personalità, perché proprio il progetto coincide poi, in sostanza, con il patrimonio accumulato tenacemente e faticosamente negli anni delle vacche grasse. Così Daniela Di Sora, direttore editoriale di Voland, spiega di avere finora avuto segnali solo indiretti della crisi, un po’ perché «venivamo da un anno pessimo per problemi di distribuzione e il fatto di averli risolti ci ha aiutato molto», ma soprattutto perché a febbraio (e come ogni febbraio) è uscito l’ultimo romanzo di Amélie Nothomb, vero e proprio tesoretto della casa editrice romana con la quale l’autrice franco-belga ha instaurato un rapporto di stima consolidata. Ragion per cui, dice Di Sora, «sebbene i segnali di crisi non manchino (per esempio siamo stati subissati di curricula mandati da persone, anche capaci, che si erano ritrovate a corto di lavoro), possiamo affrontare i prossimi mesi con relativa calma: così abbiamo deciso di limitarci a rinviare la pubblicazione di due testi all’anno prossimo. Anzi, essendo convinta che in casi come questi, o chiudi o rilanci, ci siamo procurati tre titoli forti su cui puntare nel 2009: un saggio autobiografico di André Schiffrin, che parla proprio di editoria e uscirà a maggio, per la Fiera del libro di Torino, un romanzo di Esther Freud e una Guida della Parigi ribelle».
Se il gruzzolo di Voland si chiama Amélie Nothomb, quello di e/o si incarna in uno volume leggero, L’eleganza del riccio, della francese Muriel Barbéry, che con le sue quasi ottocentomila copie vendute in Italia ha consolidato l’appartenenza della casa editrice romana a una «fascia media», che si sta facendo sempre più affollata. «In effetti – nota Sandro Ferri, direttore editoriale di e/o – dopo una lunga immobilità qualcosa si sta muovendo nel mercato editoriale italiano : nell’arco degli ultimi anni, o addirittura degli ultimi mesi, case editrici come la nostra, ma anche come Sellerio, con il fenomeno Camilleri, o come Fazi, con i vampiri di Twilight, si sono ritrovate in una dimensione nuova, che presenta indubbi vantaggi, ma anche problemi non da poco, perché dobbiamo competere con le majors, senza averne le disponibilità finanziarie». Abituata a long seller come Cassandra di Christa Wolf o I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante, che avevano superato la soglia delle centomila copie vendute, ma nell’arco di anni, e/o – nella persona di Ferri – non sembra incline a farsi travolgere dall’euforia: «Certo, il dopo-Barbéry ci permette di affrontare la crisi – che comunque c’è e si sente – con relativa tranquillità. Ma questo in sostanza vuol dire che possiamo continuare a pubblicare i nostri libri, quelli per cui i lettori hanno imparato a conoscerci, senza tagliare la programmazione. Del resto, nonostante le pressioni in questo senso, non ci eravamo gonfiati a dismisura e abbiamo mantenuto una media più o meno costante di circa venticinque novità l’anno». E dunque, gli autori su cui e/o punta in questo vero o presunto annus horribilis sono poi gli «autori di casa», Massimo Carlotto che dopo qualche anno torna con un nuovo caso dell’Alligatore o l’algerino di lingua italiana Amara Lakhous, protagonista a suo tempo di un piccolo caso editoriale con Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio. «Più che usare il ricavato dell’Eleganza del riccio spendendolo in anticipi stratosferici, preferiamo investire nella qualità, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con le librerie», osserva il prudente Ferri.
Autori, anzi autrici, di casa anche per nottetempo, che conta molto sull’uscita, a settembre, del nuovo libro di Milena Agus, forziere della sigla romana con Mal di pietre. E altre scrittrici italiane promette nell’immediato futuro Ginevra Bompiani, convinta, come i colleghi, che la strategia migliore consista nel non snaturarsi, ma cauta nell’azzardare previsioni: «Non so se quella che abbiamo davanti è la crisi, o la paura della crisi. Nel nostro caso, in autunno le librerie avevano ridotto gli ordini, tranne poi accorgersi che avevano sbagliato i calcoli, costringendoci a rapide e costose ristampe. Del resto, la Fiera della piccola editoria in dicembre a Roma è andata benissimo e così poche settimane fa il Salon du Livre a Parigi, a dimostrazione che il libro è un bene-rifugio, che costa poco e nei momenti difficili non subisce flessioni. C’è solo da sperare che anche le catene di librerie, i distributori e i grandi editori si rendano conto che la politica del bestseller ad ogni costo è un vicolo cieco, che serve solo a inquinare il mercato».
Malgrado la prepotenza dei grandi
Per minimum fax l’antidoto alla crisi si chiama Revolutionary Road, che con le sue quasi trentamila copie vendute da gennaio, grazie anche al film uscito in parallelo, permette a Marco Cassini di guardare al 2009 senza affanni (anche se il graduale passaggio a Einaudi dei libri di quello che è stato finora il nome-bandiera della casa editrice, Raymond Carver, «non ci fa certo piacere»). In genere Cassini è persuaso che nelle fasi di crisi i lettori si privino solo dei libri «superflui», un fatto questo che danneggerebbe i grandi editori, propensi a pubblicare opere dalla vita breve, e premierebbe i piccoli, che hanno, come si diceva, un «progetto». E a chi gli fa notare che forse questo è un pio desiderio, più che un dato di fatto, il direttore editoriale di minimum fax segnala che per la prima volta le classifiche dei libri più venduti comprendono, accanto ai giganti editoriali, diversi titoli usciti per sigle piccole, un tempo escluse dalle top ten. Così, naturalmente, il libro forte dell’anno sarà, accanto a un nuovo romanzo di Richard Yates finora inedito in Italia, una antologia in puro stile minimum fax, Anteprima nazionale, racconti sull’Italia del futuro, come la vedono gli scrittori più o meno «giovani».
E non può che puntare sul suo tesoro, un catalogo tutto costruito sulla migliore letteratura scandinava, e nordica in generale, Emilia Lodigiani, direttore editoriale di Iperborea, che nei prossimi giorni manderà i suoi libri a «Caffè Amsterdam», il Festival della letteratura olandese in corso dal 15 aprile a Milano. «Noi ragioniamo su tempi lunghi, se non altro perché le traduzioni dallo svedese o dal finlandese non si improvvisano in pochi mesi, ma guarda caso abbiamo già pronta la nostra misura anticrisi, una collana di gialli e noir nordici che uscirà a settembre, e che segna la nostra entrata nel campo della letteratura di genere, un’entrata tardiva ma caratterizzata da titoli di grande qualità che si inseriscono benissimo nel nostro catalogo».
In questo coro misuratamente ottimista, suona dissonante la voce di Marco Vicentini, della padovana Meridiano Zero, che prevede a breve termine «un ulteriore sfoltimento del panorama editoriale, con chiusura di diversi piccoli editori e ridimensionamento dei medi, la chiusura di tante librerie indipendenti.» Previsioni fosche, che non impediscono a Vicentini di cercare di «tamponare» la situazione («sulle misure anticrisi sono scettico») aprendo il suo catalogo, finora centrato soprattutto sul noir, anche alla musica e puntando sui tascabili. Tradotta in altri termini è quella che Vincenzo Sicchio, direttore editoriale della minuscola sigla di audiolibri Full Color Sound, ha definito spiritosamente «la strategia Coco Chanel» – oggetti di qualità a buon mercato, che nel suo caso cercheranno addirittura di espugnare uno dei fortilizi più difficili e più ambiti, l’edicola.
[apparso su il manifesto, 12 aprile 2009]