Al corpo la parola
Ilde Mattioni
Walt Whitman, La parola del corpo, a cura e traduzione di Luciano Parinetto, Stampa Alternativa, Roma-Viterbo 2000.
«Riesaminate tutto ciò che vi è stato detto a scuola, in chiesa o nei libri, e gettate via quanto è per voi motivo d’insulto: la vostra stessa carne diventerà un grande poema, non solo nelle parole ma in ogni movimento e giuntura del corpo».
Che cosa altro dire, dopo che queste parole di Walt Whitman ci hanno invitato a far tabula rasa di pregiudizi e paure, mostrandoci quanto possa essere sovversiva l’emozione di un corpo che “pensa” e desidera?
«Questa emozione per il corpo», scrive Luciano Parinetto nel saggio che apre il volume, «è in grado, oltre al razzismo, di scavalcare ogni, a sua volta, razzistico, pretesco, nazifascsista, borghese pregiudizio per ogni emozione, anche erotica, che non riguardi una sessualità, un eros, che non siano finalizzati alla riproduzione» (p.25).
In Whitman la parola diventa una vera e propria “parola” del corpo, e come tale è rivoluzionaria. «Il giorno della pubblicazione di una vera letteratura del corpo», scriveva Allen Ginsberg, «sarà giorno di Rivoluzione». Quel giorno, «il povero Genet illuminerà i mietitori dell’Ohio», Artaud si incontrerà con Blok e «l’Orecchio di van Gogh» apparirà, screditandole, sul dorso di tutte le banconote dell’Impero (cfr. Allen Ginsberg, Death to Van Gogh’Ear!).
È un eros libero quello che scorre tra le parole di Whitman, poeta magnificamente tradotto (e altrettanto magnificamente introdotto) da Parinetto. Libero è l’eros che non viene costretto alla finalità riproduttiva, o asservito all’ideologia del lavoro «che del corpo ha fatto, invece che un’armonia, una utilità».
Parinetto ci presenta uno Whitman immerso nel lofting (il “non fare”, il wu wei taoista) capace di confondersi e sciogliersi, felicemente, nella moltitudine della proprie contraddizioni, liberando la propria coscienza da ogni residuo di mediocrità borghese. Nell’orizzonte di Whitman non c’è spazio per la colpa o per dio: il cielo non è offuscato da alcun dogma. Nulla, qui, «cade davvero in perdizione/o può cadevi. Non nascita, o forma,/ o identità: nessun oggetto al mondo» (p.169).